Le imprese della Sardegna artigianale in esposizione al "Macef" di Milano

di Sergio Portas

 

Nelle moderne democrazie la "classe dirigente" si fa carico della sua fortuna, in soldi e potere,per garantire a chi è meno fortunato che, anche lui, se solo giocherà onestamente, potrà aspirare a divenirne parte, se non lui i suoi figli. Questo comporta che vengano messe in atto, in modo programmatico, politiche sociali atte a garantire una mobilità verso l’alto che premi i più meritevoli, i più bravi. Ora a me pare che nel nostro paese ci troviamo davanti a una situazione di tradimento di questo patto non scritto. Chi più ha più vuole avere, chi ha raggiunto posizioni di vertice non ha la minima intenzione di lasciarle, lungi dal premiare i migliori (che se ne vanno dall’Italia) i posti più remunerati e di prestigio vanno ai famigliari, agli amici di partito. Di qualunque partito e colore. Duole sottolinearlo ma della "rivoluzione" promessa dal nuovo partito di berlusconiana memoria, sceso in campo una quindicina d’anni fa,non si scorge traccia alcuna. Anzi, a me pare, che la degenerazione di un costume che è in atto nel nostro paese da tempi ben più lunghi stia arrivando a punte non più sopportabili. Da quella base della piramide sociale che regge la baracca italiota, ma alla quale vanno le briciole della torta. La "crisi epocale", scatenata dalla "classe dirigente" mondiale, per chi non è protetto fa intravvedere lo spettro della disoccupazione  che non fa più dormire a nessuno sogni tranquilli. Questa lunga un pò barbosa premessa per raccontarvi della rappresentanza degli artigiani sardi al Macef della fiera di Milano, sponsorizzata dalla Regione Sardegna. Il che vuol dire che alcuni dei nostri, vostri, soldi, diligentemente versati al fisco, sono serviti a portare (quasi) gratis quindici artigiani sardi alla megafiera milanese. I vostri, nostri, soldi hanno pagato il costo ,salato, dello spazio occupato, 400 metri quadri,l’allestimento dello "stand", la messa delle luci ecc. Albergo (costoso) e mangiare a carico degli artigiani. Ci guadagnano tutti, in primis la Fiera, poi l’architetto che organizza lo stand, buoni ultimi gli artigiani. Che sono contenti di esserci naturalmente, un po’ meno di come sono stati trattati, insomma di come sono state valorizzate le loro opere, come il tutto si sia svolto secondo una regia che gli ha visti subire più che essere i veri protagonisti dell’evento. Che meno di 200.000 euro non è costato di certo. Ora visto che un singolo espositore, se intraprendente di suo, poteva organizzarsi autonomamente la propria esposizione, con ben altri risultati di visibilità, spendendo 2500-3000 euro, fate voi il conto di quanti artigiani avrebbero potuto presenziare se quella cifra fosse stata garantita a ognuno di essi. Ecco, la "classe dirigente" sarda deve darsi una regolata e, a mio avviso, la società civile sarda pure essa. Se non riuscirà a trovare mezzi opportuni per esigere un rendiconto puntuto dei soldi che vanno nel calderone del bilancio regionale e come sono spesi( dilapidati), sarà sempre peggio. Lo stesso discorso vale per la società civile italiana tutta.  E ora veniamo ai sardi che esponevano nella capitale lombarda in una manifestazione di assoluto valore internazionale (1600 espositori venuti da tutto il mondo). L’eccellenza della bigiotteria, dei gioielli, articoli per la casa, tessuti, lavori in legno, pietra, oro, argento e quanto la fantasia umana si è inventata per rendere la casa più abitabile, più accogliente, più preziosa in senso lato. A Galdino Saba è andata benissimo: ha venduto tutto il suo catalogo, più volte. I suoi gioielli in filigrana sarda, fenici ed etruschi li definisce lui, sono andati a ruba. Nonostante non  fossero supportati da una sistema di luci adeguato. Non ce ne erano proprio di faretti, che avrebbero potuto sprizzare lamine di bagliori atti a colpire le pupille dei compratori. Vicino a lui le sorelle Piredda, anche loro cagliaritane, altrettanto maltrattate dall’assenza di luci appropriate: un loro scialle "di seta pesante, lunghe frange intrecciate a mano,ricami in oro che annodano simboli d’Oriente e d’Occidente:i fiori e il sole. Quando l’eleganza moderna ha sapore d’antico" (rubo dal loro sito internet).E dire che hanno esposto i loro capi a palazzo Pitti in Firenze!  Per ovviare all’insipienza dell’architetto "milanese" che ha malgestito l’allestimento dello stand, i nostri artigiani hanno spostato una cassapanca di Giovanni Dessì, di Assemini, mettendola in mostra vicino alle filigrane dorate,che gli altri arredamenti in legno massiccio sono stati relegati, è il caso di sottolinearlo, dietro una parete non trasparente, dove davvero non li vede nessuno. Il Dessì mi dice di non aver dormito dalla rabbia e di aver avuto pensieri non proprio amichevoli verso la categoria degli architetti in generale e di quelli milanesi in particolare, mistero assoluto del perché non sia stato dato mandato a un sardo di occuparsi della cosa, dato che il compenso era di quelli che fanno felici per l’intera stagione. Ci sono anche quelli di Mogoro: "Su maistu de linna" di Pier Paolo Mandis, è la prima volta che partecipano a un evento così eclatante, non tanti affari ma occorre pensare che il mercato sardo sia troppo piccolo per chiunque. E quindi bisogna buttarsi. Anche per Vanessa Gagliera, che gestisce un laboratorio nuovo di ceramica artistica a Cagliari è la prima volta in una manifestazione internazionale, mi dice comunque di aver raggiunto lo scopo che si era prefissata, farsi conoscere. Per farle una foto debbo pregarla in ginocchio. E poi dicono che le ragazze vogliono tutte fare le veline, ed apparire ad ogni costo! Rimango colpito dalle casette in trachite e argento che fanno quelli della "Loewe" di Narbolia. I colori sono quelli di Fordongianus, peccato che la trachite gialla di Asuni e quella azzurra di Santu Lussurgiu non abbiano più mercato se non  per le porte di Seneghe. Sembra comunque che il "marchio Sardegna" attiri gente di per sé, quasi tutti mi dicono invece che è ora di smetterla di sprecare malloreddus e cannonau per riempire lo stomaco a fortunati compratori che passano per caso vicino allo stand. E’ ora di inventarsi altri eventi a rappresentare la sarda ospitalità. Comunque pare che un gruppo di tedeschi abbia particolarmente apprezzato. Galdino Saba, che tra parentesi mi dice essere stato scelto a rappresentare la Sardegna per l’anniversario dell’unità d’Italia; mi manda poi in un altro padiglione, da Massimo Boi, di Quartu S.Elena, che fa ceramica raku. E’ a lui che devo gran parte delle considerazioni che facevo all’inizio. Sarà che tratta questa materia da trent’anni e ha visto nel suo cammino l’opera , spesso nefanda, di giunte destrose e sinistrose appaiate nella scarsa professionalità nel gestire i grandi eventi, lui comunque ha parole di critica dura verso chi ha politicamente firmato questo Macef sardo. I soldi, stanziati dalla giunta Soru, potevano, dovevano essere meglio spesi. Lui, autonomamente, ha gestito il suo spazio espositivo, ha detto lui all’elettricista che quel vaso con quel galletto policromo andava illuminato in un certo modo.  Qui ci sono il meglio dei professionisti del mondo. Chi si comporta da dilettante scompare, è come non esistesse. Massimo Boi è di Carbonia, si è diplomato giovanissimo  all’istituto d’arte di Oristano, d
ove la ceramica è di casa da sempre. Come scrive  Aldo Brigaglia in D’A ( la prima rivista italiana d’artigianato e di arti applicate e decorative,n.2 apr.2009) nei suoi lavori traspare anche un ritorno freudiano alla sua città natale:"…le sue opere odierne, con quelli opachi fondi nerofumo sui quali spicca la variegata colorazione dei disegni e delle pennellate di smalto, paiono riecheggiare le oscure viscere della terra e i volti anneriti dei minatori così come le ritraggono le foto icona che hanno consegnato alla storia le immagini dell’esaltante epopea mineraria della sua città…". Della sua Sardegna.

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