Bassa densità della popolazione e senza rischi sismici: la Sardegna luogo ideale per il nucleare

di Piero Mannironi

 

Alla Sardegna ci aveva già pensato negli anni Settanta il Cnen (Comitato nazionale energia nucleare), la creatura di Felice Ippolito, che sviluppò un piano nucleare nazionale e diede vita ai progetti delle centrali di Trino Vercellese, Garigliano e Latina. La filosofia di Ippolito era in fondo la stessa di Enrico Mattei: creare l’indipendenza energetica del nostro Paese. Uno credeva nel petrolio, l’altro nell’atomo. Sogni drammaticamente spezzati: Mattei morì in un misterioso incidente aereo nel 1962 e Ippolito finì in carcere dopo un processo-farsa, nel quale venne condannato a undici anni per irregolarità nella gestione del Cnen. Nel ’66 fu graziato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Secondo molti analisti, in quegli anni si giocò una partita politica nella quale si affermarono gli interessi di alcuni gruppi industriali che volevano gestire i colossali interessi legati al petrolio e all’energia. La Sardegna, dunque, aveva un ruolo centrale nella mappa disegnata dal Cnen. Erano addirittura tre i siti considerati ideali per la costruzione di centrali nucleari: Santa Margherita di Pula, Capo Comino e Barisardo. Per i tecnici del Comitato nazionale per l’energia nucleare erano perfettamente rispettati i tre parametri teorici: rischio sismico nullo, scarsa densità abitativa e la vicinanza con l’acqua. La Sardegna sembrò poi diventare marginale nelle politiche energetiche fondate sull’atomo. Eppure, paradossalmente, è stata la regione italiana che ha vissuto una vera "stagione nucleare", con tutto il corredo di rischi annessi. Le logiche della geopolitica e quelle militari hanno infatti sempre minimizzato e occultato i pericoli legati alla presenza nei nostri mari di quei reattori nucleari ambulanti montati a bordo dei sommergibili americani " hunter killer" che avevano sede alla Maddalena. Eppure, a sentire gli scienziati, il cuore atomico dei sommergibili della Us Navy è estremamente più pericoloso di un reattore di una centrale nucleare civile. L’autorithy americana che regola tutti gli standard di sicurezza negli impianti nucleari civili, la Nuclear Regulatory Commission, impone un sistema di raffreddamento del reattore d’emergenza, chiamato in codice Eccs. Un sistema creato proprio per proteggersi dai cosiddetti Loca, acronimo che sta per "Loss of coolant accident" , cioé incidente per perdita di liquido refrigerante. Ebbene, per motivi di spazio, l’Eccs non è montato sui sottomarini. Ma un problema ha recentemente risvegliato le coscienze dei sardi per quanto riguarda il nucleare. Ed è quello delle scorie. Come si sa, le centrali producono scorie radioattive che è impossibile smaltire. L’unico sistema è quello di stoccarle in un luogo protetto. Un problema che in Italia non è mai stato risolto. Dopo il referendum del 1987, tonnellate di spazzatura nucleare attende inutilmente di essere messa in sicurezza in un unico sito nazionale. La società creata ad hoc, la Sogin, non c’è mai riuscita. Eppure i suoi costi pesano per circa 600 milioni di euro l’anno sulle nostre bollette elettriche. Nel 2003 il governo Berlusconi investì di poteri speciali il direttore della Sogin, il generale Carlo Jean, per risolvere definitivamente un problema divenuto incandescente: entro il giugno di quell’anno doveva essere trovata una "casa" unica per l’eredità nucleare italiana, all’incirca 55.000 metri cubi di scorie conservate in vari siti sparsi per la penisola. «Noi – disse diplomaticamente Jean – ci limiteremo a indicare il luogo più adatto secondo criteri tecnico-scientifici, sarà poi il Governo a decidere». Il presidente della commissione Ambiente, Pietro Armani, invece fu molto chiaro: «La scelta dovrebbe ricadere sulle strutture del demanio militare, con caratteristiche di sicurezza adeguate. Ad esempio, si potrebbe pensare ad alcuni poligoni di tiro, ce ne sono di molto vasti. Naturalmente, bisognerà scegliere zone geologicamente stabili con una bassa densità di popolazione». Insomma, era la fotografia della Sardegna. Ma fu anche la scintilla di una reazione popolare incredibilmente vasta e determinata che incendiò il clima politico e spiazzò il governo. Si pensò allora a Scanzano Jonico, ma anche lì la gente scese in piazza e Berlusconi alla fine si arrese. Jean fu allora silurato e, quasi con una perfida vendetta, disse l’11 dicembre al Corriere della Sera: «Per il deposito delle scorie avevamo pensato alla Sardegna nord-orientale». Le bugie del governo furono così smascherate. Ora ci risiamo. Ecco così riemergere il potenziale ruolo strategico della Sardegna. Subito dopo la vittoria elettorale il centrodestra riapre subito la partita del nucleare e filtrano i nomi di quindici siti possibili. Nell’isola c’è Cirras, tra Oristano e Arborea. Le smentite governative sono imbarazzate, poco convinte. Come è poco convincente il ministro Scajola nel suo raid elettorale per le regionali sarde. Il 27 gennaio, a Cagliari, dice infatti: «Non spetta al governo decidere dove saranno costruite le centrali nucleari, ma saranno gli enti locali, con le società che intendono investire in energia, a valutare le condizioni di sicurezza e, con i benefici sulle popolazioni, quali saranno le collocazioni. Non mi pare che qualcuno abbia parlato di collocare una centrale nucleare in Sardegna». Dopo le promesse mancate per la chimica sarda è davvero difficile credergli. Il 4 marzo scorso, infine, Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia dice in Commissione ambiente del Senato che la Sardegna è perfetta per ospitare le centrali nucleari. Gli ambientalisti rispondono diffondendo uno stralcio dell’intervista rilasciata da Boschi l’8 settembre 2008 alla Stampa: «Anch’io ho fatto tutto quello che in genere si fa per fare carriera. Ho leccato il sedere quando c’era da leccarlo, ho assecondato, ho chinato la testa: non ho paura a negarlo».

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