Dossier Nucleare: Centrali in Sardegna? NO GRAZIE!!!

di Marco Murgia, Massimiliano Perlato, Piero Mannironi

 

LA SARDEGNA POTREBBE AVERE UNA CENTRALE ATOMICA: IMPIANTO A ZERO RISCHIO SISMICO

I "PERFETTI" REQUISITI NUCLEARI

E’ un ritorno al passato, che il futuro a oggi è ancora lontano. Quando il ministro Claudio Scajola, ha annunciato che entro il 2013 partirà la costruzione di nuove centrali nucleari di ultima generazione, il salto indietro nel tempo ha riportato a 21 anni fa. Ai giorni del referendum abrogativo sul nucleare del 1987, approvato dal 71% degli italiani. Ma è il passato, appunto. Oggi per Scajola le centrali nucleari sono le uniche che consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell’ambiente. Se non fosse che nel frattempo la Energy Information Administration americana ha chiarito che l’elettricità nucleare è più costosa del 15% rispetto a quella prodotta con il gas naturale: senza contare i costi per lo smaltimento delle scorie e quelli altissimi per l’eventuale dismissione degli stabilimenti. Se non fosse, inoltre, che le centrali di terza generazione, uniche disponibili oggi, non prevedono nessun passo avanti in termini di sicurezza, di quantità e qualità delle scorie prodotte rispetto a quelle che oggi l’Europa sta già in parte smantellando. Intanto si prendono ad esempio i paesi già protesi verso il nucleare: la Finlandia che ha già comunque sforato del 35% sui costi previsti senza avere ancora terminato l’impianto. Poi la Francia: al progetto d’oltralpe partecipa anche l’Enel che è già pronta ad assecondare i desideri italici con 4 impianti entro il 2020. Nel tempo, la scadenza risulta più vicina di quel 1987. Fattibile, secondo il colosso energetico, in un periodo spalmato su 9 anni: 2 dedicati alla preparazione dell’impianto normativo, 2 per le autorizzazioni, 4 per la realizzazioni e uno stimato per i probabili ritardi. Il punto è che mentre l’Enel non indica tempi stimabili per le centrali di quarta generazione, alla Edison le danno per pronte entro il 2030: se così fosse, avremmo in Italia 4 impianti nuovi ma già obsoleti a 8-10 anni dall’inaugurazione. Allora quel futuro non è così vicino: in mezzo c’è un passaggio mica da niente, quello sui siti da individuare per le centrali e lo stoccaggio delle scorie. Scanzano Jonico 2003: bastò l’annuncio dell’intenzione di crearne uno in Basilicata per provocare la rivolta popolare. Progetto già saltato in Sardegna, nel 2003, quando si pensò all’isola per un centro di raccolta. Ci fu una sollevazione popolare convinta e determinata come mai ce n’erano state prima. Oggi chi sarebbe disposto ad accogliere e ospitare stabilimenti di quel tipo? La procedura è sempre la stessa, e sembra la scoperta dell’acqua calda. Lo studio dei tecnici dell’Enel non indica luoghi precisi ma caratteristiche fisiche: servono spazi a basso rischio sismico e a scarsa densità abitativa. Serve una piccola ricognizione sul territorio nazionale. Le regioni del Mezzogiorno, dal Lazio in giù ma includendo anche Marche e Umbria, ad eccezione del tacco pugliese, sono aree da sempre interessate dai terremoti: un ottimo motivo per escluderle. Lo stesso vale per il Friuli Venezia Giulia e parte del Veneto. In Piemonte nessuna chiusura ideologica, ma la Regione è da tempo impegnata nella ricerca di vie alternative e nella produzione da energie rinnovabili. In Lombardia come in Sicilia gioca a sfavore la densità abitativa. In Toscana c’è lo stop della Regione. Favorevole la Liguria. Poi la Sardegna: risponde perfettamente ai requisiti sul rischio sismico, praticamente ridotto a zero, e a quello sulla densità abitativa. In più, particolare da non sottovalutare, c’è la possibilità del governo di imporre sull’argomento il segreto di Stato: e nell’isola di zone interdette all’accessibilità dei cittadini ce n’è più di una. Il no al nucleare non si discute, ma il rischio che la Sardegna diventi la nuova frontiera dell’energia atomica è un’ipotesi che gli ambientalisti sembrano scartare. Resta invece molto elevato il rischio che l’isola possa risultare "interessante" come deposito delle scorie nucleari. Se la Sardegna rispecchia alcune caratteristiche che la rendono appetibile in termini nucleari, resta invece rilevante la poco strategica posizione geografica: decisamente fuori dalle grandi linee di trasporto. Il vero problema e quindi il rischio vero a questo punto riguarda le scorie, tanto più che sulla materia si può apporre il segreto di Stato. Cosa ne sarà dell’energia nucleare in Italia è presto per dirlo, ma una cosa è certa: in Sardegna la possibilità di accogliere scorie provocò una sollevazione popolare. Come dimenticare la calda primavera estate del 2003: al grido di non siamo la "pattumiera" del Mediterraneo, l’isola si ribellò all’arrivo di scorie prodotte dalle vecchie centrali nucleari e dai siti di stoccaggio del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Lazio, della Campania e della Basilicata.

Marco Murgia

 

IL DOSSIER DI GREEPEACE, LEGAMBIENTE E WWF

IL NUCLEARE NON SERVE ALL’ITALIA

Il nucleare non serve all’Italia. Questo il titolo del dossier Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia, per svelare le "menzogne dei fautori dell’atomo". Si citano infatti nel dossier tutti gli slogan che vengono riproposti nella campagna mediatica a favore del nucleare… Approfondendoli poi uno ad uno per dimostrarne l’assoluta infondatezza. Tra gli slogan più utilizzati il fatto che: è l’unica risposta concreta per fermare i cambiamenti climatici, è economico, permette di ridurre la bolletta italiana e la dipendenza dall’estero, è sicuro. Tutte «bugie, conti fasulli, favole» scrivono le associazioni ambientaliste «che servono a costruire una risposta emotiva da parte dell’opinione pubblica e un dibattito ideologico sui tabù e i divieti. Nella realtà si sta solo facendo il gioco di quei gruppi di interesse che si stanno candidando a gestire una montagna miliardaria di investimenti pubblici». Per le tre associazioni ambientaliste la soluzione per fermare la febbre del pianeta e ridurre la bolletta energetica italiana è molto più semplice dell’opzione nuclearista rilanciata dal ministro Claudio Scajola: è fondata sul risparmio, sull’efficienza energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. Semplicemente perché è la via più immediata, più economica e sostenibile. Sui costi, si sottolinea che gran parte del costo dell’elettricità da nucleare è legato agli investimenti per la progettazione e realizzazione delle centrali, che è almeno doppio di quanto ufficialmente dichiarato, e richiede tempi di ritorno di circa 20 anni. A cui vanno aggiunti i costi di smaltimento
delle scorie e di smantellamento degli impianti. «Dove il Kwh nucleare costa apparentemente poco è perché lo Stato si fa carico dei costi per lo smaltimento definitivo delle scorie e per lo smantellamento delle centrali. E sono proprio queste spese ad aver scoraggiato gli investimenti privati negli ultimi decenni» si legge nel dossier. Tant’è che tutti gli scenari – persino quello dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica – prevedono nei prossimi anni una riduzione del peso dell’atomo nella produzione elettrica mondiale. Secondo le stime dell’Aiea si passerebbe dal 15% del 2006 a circa il 13% del 2030, nonostante la ripresa dei programmi nucleari in alcuni paesi. In Italia, per il ritorno al nucleare occorrerebbe costruire da zero tutta la filiera, con un immenso esborso di risorse pubbliche. Per le 10 centrali, ipotizzate come necessarie per abbassare i costi della bolletta energetica, servirebbero tra i 30 e i 50 miliardi di euro di investimenti (con il forte rischio di sottrarre risorse allo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica), cui aggiungere le risorse per gli impianti di produzione del combustibile e il deposito per lo smaltimento delle scorie. Le centrali, nella migliore delle ipotesi, entrerebbero in funzione dopo il 2020, e gli investimenti rientrerebbero solo dopo 15 o 20 anni. Sulla sicurezza degli impianti ancora oggi, a oltre 22 anni dall’incidente di Chernobyl, non esistono garanzie per l’eliminazione del rischio di incidente nucleare e la conseguente contaminazione radioattiva. E quanto alla possibilità di rimettere la speranza di sicurezza nella quarta generazione, si deve aspettare almeno il 2030 per vedere (forse) in attività la prima centrale. Rimangono poi tutti i problemi legati alla contaminazione "ordinaria", derivante dal rilascio di piccole dosi di radioattività durante il normale funzionamento delle centrali, a cui sono esposti i lavoratori e la popolazione che vive nei pressi. C’è poi il problema non risolto delle scorie: le 250mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi prodotte finora nel mondo sono tutte in attesa di essere conferite in siti di smaltimento definitivi. Cosa che vale anche per il nostro Paese che conta secondo l’inventario curato da Apat circa 25mila m3 di rifiuti radioattivi, 250 tonnellate di combustibile irraggiato, a cui vanno sommati i circa 1.500 m3 di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria e i circa 8090mila m3 di rifiuti che deriverebbero dallo smantellamento delle centrali e degli impianti del ciclo del combustibile, fermi dopo il referendum del 1987. Infine la favola che il nucleare sia la risposta ai cambiamenti climatici, viene contraddetta dagli stessi tempi di realizzazione. «Se si avesse come obiettivo il raddoppio delle centrali nucleari esistenti entro il 2030, rimpiazzando anche quelle che andranno a fine vita nei prossimi 20 anni- si legge nel dossier- l’effetto sulle emissioni globali sarebbe di una riduzione solo del 5%» E occorrerebbe aprire una nuova centrale nucleare ogni 2 settimane da qui al 2030, oltre a spendere un cifra tra 1000 e 2000 miliardi di euro, aumentando di molto i rischi legati a incidenti, alla proliferazione nucleare, e ingigantendo la questione delle scorie. «Inoltre la produzione nucleare è solo apparentemente esente da emissioni di Co2, dal momento che gli impianti nucleari per motivi di sicurezza richiedono enormi quantità di acciaio speciale, zirconio e cemento, materiali che per la loro produzione richiedono carbone e petrolio». Ma anche le altre fasi della filiera nucleare, dall’estrazione del minerale d’uranio, alla produzione delle barre di combustibile, fino al loro stoccaggio e riprocessamento sono talmente rilevanti che «complessivamente le emissioni indirette della produzione di un kWh da energia nucleare è stato calcolato essere comparabile con quella del kWh prodotto in una centrale a gas». In Italia – si legge nel dossier – scegliere l’opzione nucleare significherebbe mettere una pietra tombale su qualsiasi prospettiva di riduzione delle emissioni di Co2 Se la priorità fosse realizzare centrali nucleari, poiché gli investimenti sono economicamente alternativi, dovremmo dire addio agli obiettivi comunitari e vincolanti del 30% di riduzione delle emissioni di CO2, del 20% di produzione energetica da rinnovabili e del 20% di miglioramento dell’efficienza energetica al 2020. Uno scenario che consente di sviluppare imprese innovative, realizzare migliaia di nuovi posti di lavoro nella ricerca e sviluppo, avere città più moderne e pulite, a portata di mano anche nel nostro Paese nonostante il suo grave ritardo rispetto agli obblighi di Kyoto.

Massimiliano Perlato

 

SAREBBERO STATI GIA’ IDENTIFICATI 15 SITI DOVE PRODURRE ELETTRICITA’ CON L’ATOMO

SIGNOR MINISTRO, FACCIA CHIAREZZA!

Poche settimane prima delle elezioni politiche, infatti, l’allora ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio ne aveva parlato, svelando addirittura i quindici siti candidati ad accogliere le centrali. E tra questi, guarda caso, c’era anche Oristano. Gli altri erano: Trino, Fossano, Chioggia, Monfalcone, Ravenna, Caorso, Scarlino, San Benedetto del Tronto, Latina, Garigliano, Mola, Scanzano Jonico, Palma e Termoli. «Provocazioni elettorali» fu la rabbiosa risposta del Pdl. Ma che non si trattava di provocazioni, è stato lo stesso governo Berlusconi a dimostrarlo molto rapidamente. Infatti, il ministro delle Attività produttive Claudio Scajola, l’8 maggio scorso, subito dopo aver giurato davanti al presidente della Repubblica Napolitano, ha detto: «Dobbiamo riuscire a creare un mix energetico che metta insieme il nucleare, il petrolio e le fonti rinnovabili». Dopo le prevedibili reazioni dell’universo ambientalista, il ritorno al nucleare non ha creato dibattiti politici, confronti scientifici, ma è andato avanti sui binari discreti dell’ineluttabile evoluzione di una scelta ormai irrimediabilmente fatta e non più negoziabile. Quando nei giorni scorsi la "questione nucleare" è riemersa improvvisamente con la notizia che la zona di Cirras, a sud di Oristano, rientrava nella geografia dei siti che dovranno ospitare una centrale, il dibattito si è acceso e spento nel giro di poche ore. O quasi. Infatti, proprio nei giorni scorsi, il deputato dell’Italia dei Valori, l’ex presidente della Regione Federico Palomba, ha aperto una breccia nel muro del silenzio. Palomba ha presentato un’interrogazione al ministero per le Attività Produttive Claudio Scajola con la quale «ha espresso viva preoccupazione per la notizia apparsa sulla stampa, secondo cui il governo intenderebbe installare una centrale nucleare anche in Sardegna». «La Sardegna – ha scritto – avendo installate nel proprio territorio circa l’80% delle basi militari esistenti in Italia, ha sopportato per questa situazione un carico assai pesante costituito anche da malattie collegabili con la presenza di uranio impoverito». Palomba sottolinea poi che «l’insularità sconsiglia l’istallazione di centrali per la produzione di energia anche a causa della lontananza dalle reti di distribuzione del territorio nazionale e dei rilevanti costi di trasporto e di manutenzione». «Anche per queste ragioni – dice ancora Palomba – il territorio d
ella Sardegna è assolutamente inadatto all’istallazione di centrali nucleari e ancor meno all’eventuale stoccaggio di residui radioattivi, ipotesi già respinta nel 2003, anche per la forte mobilitazione della comunità sarda». L’ex presidente della Regione conclude con una domanda di chiarezza al ministro Scajola: «Chiedo al responsabile delle Attività Produttive se sia vero che il governo intenda installare centrali nucleari in Sardegna, se una tale ipotesi sia allo studio e se intenda comunque escludere che possa verificarsi una tale eventualità, che sarebbe percepita dalla comunità sarda come una grave e inaccettabile imposizione senza previo coinvolgimento e assenso delle popolazioni e delle istituzioni sarde». Palomba annuncia che sul problema del nucleare non intende fare sconti al governo. Dice infatti: «Qualora non dovessi ricevere risposta all’interrogazione, incalzerò il governo con un’interrogazione a risposta immediata». Insomma, sembra proprio che siamo all’inizio di una stagione nella quale si riaccenderà quel dibattito che sembrava essersi definitivamente chiuso quando il referendum popolare disse che il popolo italiano, con una maggioranza schiacciante, aveva deciso di mettere il nucleare in soffitta. La lobby nucleare, trasversale a tutti i partiti politici, aveva fatto il suo primo importante passo per superare l’ostacolo rappresentato dal referendum del 1987 con un convegno promosso il 20 ottobre del 2005 dal Vast, il Comitato per la valutazione delle scelte scientifiche e tecnologiche. Nella relazione del presidente dell’Ain (l’Associazione italiana nucleare) Renato Angelo Ricci c’era già il manifesto politico della riscossa del nucleare.
Dopo aver affermato che «lo Stato non ha mai informato correttamente la popolazione italiana, Ricci nella sua relazione parlò esplicitamente di «obiettivi politici» e concluse dicendo che era «necessario l’avvio di un programma nucleare finalizzato a garantire la copertura di una quota significativa del fabbisogno elettrico nazionale entro tempi ragionevoli». Insomma, il meccanismo si è messo in moto da tempo. E questo nonostante intelligenze come il Nobel Carlo Rubbia continuino a ripetere i motivi per i quali la scelta nucleare sarebbe un errore. Prima di tutto perché, secondo Rubbia, non esiste un nucleare sicuro. Secondo: l’uranio comincerà a scarseggiare tra 35-40 anni e, terzo, il problema delle scorie è irrisolvibile.

Piero Mannironi

 

CENTRALI NUCLEARI, AVANZA L’IPOTESI CIRRAS

La piana di Cirras, tra Santa Giusta e Arborea, era stata proposta, tra i siti in grado di ospitare una delle future centrali nucleari in Italia che usano le tecnologie di terza generazione. Questa ipotesi sarebbe ora al vaglio dei tecnici del ministero delle Attività produttive. L’analisi tecnica è legata a una serie di elementi che sono stati ritenuti fondamentali per ospitare una centrale atomica. Primo fra tutti, il fatto che la zona è antisismica. La Sardegna è infatti la regione geologicamente più vecchia d’ Italia. In secondo luogo, la disponibilità di grande quantità d’acqua, altro elemento fondamentale, che verrebbe garantito dalla diga Eleonora d’Arborea. Ci sono poi altri elementi di valutazione, certo non secondari. Per esempio, la vicinanza a infrastrutture come il porto, l’aeroporto e la linea ferroviaria. Gli "esperti" del Ministero quando hanno puntato l’obiettivo sull’isola non avrebbero sottovalutato neppure il problema dello smaltimento delle scorie radioattive. Il precedente governo Berlusconi – lo ricordano tutti – aveva ipotizzato di stipare le barre radioattive proprio nelle profonde miniere del Sulcis. Rispetto al passato, forse quelle voci potevano essere solo delle provocazioni, ma oggi c’è il rischio concreto che le miniere di Buggerru, di Masua, forse di Ingurtosu, possano diventare veramente la pattumiera per le scorie radioattive delle nuove centrali che il governo si appresta a realizzare. I costi del greggio, oramai alle stelle, e la richiesta di energia alternativa, sono i fattori che stanno condizionando le scelte dell’esecutivo di centrodestra, nonostante il «no» del referendum. Ma se Cirras ospiterà veramente uno di questi siti il ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, ha promesso un interessante tornaconto per chi ospiterà una centrale nucleare. Per esempio: il Comune e quindi i cittadini che vi risiedono avranno degli sconti sulle rispettive bollette. L’eventualità di realizzare nell’isola una delle centrali atomiche è comunque un’ipotesi che sicuramente scatenerà molte reazioni. La Sardegna che ha puntato in questi anni tutto sull’ambiente e sul rilancio del turismo di qualità, rischia di vedere penalizzati gli sforzi fatti sino a oggi dal governo regionale. Non è difficile prevedere la nascita di un fronte del no anche e soprattutto per l’ubicazione della centrale nucleare. Prima di tutto la vicinanza con lo stagno di Santa Giusta che già non gode di buona salute. E poi, come sottovalutare la vicinanza con il comprensorio di Arborea, in quel Campidano campione di zootecnica che ha realizzato la sua fortuna grazie alla produzione del latte. E infine, la centrale sorgerebbe a pochi chilometri dal Golfo di Oristano, tra Capo Frasca (servitù militare in procinto di smantellamento) e l’area marina del Sinis. Se la scelta del governo per Cirras verrà dunque confermata, è prevedibile una stagione di contestazione. C’è chi già evoca la protesta per la discarica di Chiaiano nel Napoletano. Ma qui non ci sarà bisogno di portare l’esercito, c’è già.

 

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Un commento

  1. Filippo Soggiu

    Carissimo Massimiliano, ti devo fare i complimeti sinceri per questo lavoro. Bravo, sapevo che alla fine ti saresti tolto delle soddisfazioni.

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