LA VOCE DEI SARDI NEL MONDO: LA PAROLA AL VICEPRESIDENTE VICARIO DELLA CONSULTA ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’EMIGRAZIONE

nella foto, l’autore dell’articolo, vice Presidente vicario nella Consulta per l’Emigrazione

di DOMENICO SCALA

Credo che un’iniziativa di questo tipo vada istituzionalizzata, ripetuta ciclicamente magari in coincidenza con i tempi della legislatura regionale, con la stessa formazione della Consulta regionale dell’emigrazione i cui compiti, ricordiamolo, compiti stabiliti dalla legge, sono quelli di discutere, preparare ed elaborare le linee politiche e programmatiche per l’emigrazione. Tutte cose assolutamente necessarie per esser pronti a cogliere i rapidi cambiamenti che interessano il mondo contemporaneo, il quale presenta importanti novità ma anche significative costanti. Questo vuol dire che i flussi migratori dalla Sardegna riguardano di certo cervelli e professionalità, ma anche i piccoli artigiani, quanti si muovono nel mondo globalizzato alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro, attratti dalle proposte offerte da economie più avanzate,  come sono quelle – e parlo  dell’Europa –  di Germania, Svezia, Olanda e anche della Svizzera, dove io vivo, tutti Paesi bisognosi non solo di medici, professionisti, ingegneri e scienziati ma anche di falegnami, idraulici e in generale di artigiani. E poi, passando a trattare dei riflessi in casa nostra, ossia nel mondo dell’associazionismo in emigrazione, diciamo subito che viviamo una importante FASE DI TRANSIZIONE: va infatti gradualmente uscendo di scena la classe dirigente emigrata nel secondo Dopoguerra, ma stentano ad affermarsi le energie nuove  (non solo i nuovi emigrati ma anche i discendenti della prima generazione),  energie che appaiono ancora troppo restìe o non del tutto pronte a succedere a quelle precedenti, soprattutto perché preferiscono modalità di aggregazione e sistemi di relazione DIVERSI da quelli che le hanno precedute.  

Com’è ben noto oggi predomina la forte propensione delle giovani generazioni verso le aggregazioni virtuali, rispetto a quelle fisiche.

Non vi è dubbio che questa nuova realtà che in qualche modo e da qualche parte sostituisce le tradizionali catene migratorie vada salutata positivamente, ma dobbiamo anche chiederci fino a che punto abbia senso chiudere le sedi materiali considerando che comunque quasi tutti i rapporti che iniziano virtualmente hanno bisogno, alla fine, di uno sbocco materiale, costituito da un punto di incontro a fini di socializzazione, di inserimento nella società ospitante, di ricerca di lavoro, ecc. D’altronde il buonsenso e il dibattito attuale ci dicono chiaramente che il prevalere della tecnologia non è destinato a soppiantare del tutto l’opera dell’uomo, ma solo a supportarla e migliorarla.

Aggiungo poi che oggi il modello associazionistico sostenuto dalla Regione presenta un’impronta marcatamente italiana e, come accade in Italia, è caratterizzato dal prevalere delle preoccupazioni formali e burocratiche su quelle sostanziali. Dopo di che non possiamo non constatare che tale modello genera una profonda sfiducia nei soggetti destinatari degli interventi, una sfiducia che avvantaggia, nella sua attuazione, chi vive in Italia rispetto a chi opera all’estero.  Voglio dire che chi vive all’estero ha interiorizzato ormai da decenni la convinzione che il rispetto delle leggi e l’etica pubblica costituiscono una condizione irrinunciabile per una sana convivenza civile. Voglio ricordare al riguardo la nostra recisa opposizione all’immagine dell’emigrato visto come il furbetto che cerca di frodare l’ente pubblico, al quale il controllore regionale di turno cerca di rendere più difficile l’esistenza con sempre maggiori richieste di documenti, ricevute, fideiussioni, modulistica, dichiarazioni, ecc. tutte cose che spesso risultano essere inutili o superflue. Orbene, se vogliamo che si accostino al nostro mondo i giovani che sono scappati dall’Italia non dobbiamo assolutamente riproporre le prassi negative, irritanti, sfibranti e vessatorie da cui sono scappati!

Ma ora occorre aprire una nuova ‘finestra’. Abbiamo letto tutti le allarmanti dichiarazioni di Elon Musk (Mask) “L’Italia sta scomparendo”. Parole che ci hanno colpito per la loro brutalità, ma si tratta di parole purtroppo confermate dai dati che ci ha fornito l’ISTAT: la popolazione invecchia, aumenta il numero dei decessi mentre diminuisce il numero dei nati. Nel 2022 in Italia ogni mille abitanti si sono contati 12 morti e solo 7 nati. Per la prima volta dall’Unità d’Italia abbiamo avuto meno di 400.000 nuovi nati. I dati riguardanti la Sardegna sono persino peggiori. Ora gli esperti sono concordi nel mettere in relazione gli eventi demografici con quelli sociali ed economici. Esiste infatti un legame preciso fra il crollo demografico e altri fattori come: la decrescita economica, il disseccamento delle radici culturali, la fragilità sociale, la disoccupazione, la debolezza dell’azione politica, l’abbandono dei piccoli paesi, la desertificazione di interi territori, lo svuotamento delle classi nelle scuole, l’abbandono scolastico, la diminuzione degli iscritti alle Università. E’ un quadro davvero pericoloso e preoccupante. Un quadro che richiede uno sguardo prospettico e un intervento strategico. Perché? Ma perché nella Storia i crolli demografici sono spesso stati causati da un indebolimento della coscienza collettiva! Al riguardo la Sardegna vanta un rapporto assai forte con le sue tradizioni e con le sue radici, questo vuol dire che può avviare una riflessione importante per tutti in merito al tema della cittadinanza. Sappiamo tutti benissimo che così come vi è una Italia fuori dall’Italia, vi è anche una Sardegna fuori dalla Sardegna. Vi sono tanti italo – discendenti e altrettanti milioni di oriundi che vanno disaffezionandosi alla Patria di origine e che invece gradirebbero moltissimo sbloccare leggi e burocrazie per potersi dire pienamente italiani. Potremmo dire altrettanto dei sardi e dei figli e nipoti dei sardi espatriati a cominciare dall’immediato Dopoguerra. Dovremmo guardare con estremo interesse a questi nostri connazionali e corregionali che vivono all’estero.

Se volete poi fare un discorso serio di rientro di giovani per combattere lo spopolamento delle aree della nostra isola, vista la desertificazione attuale e quella, ancora più grave che si prospetta nei prossimi decenni, fatelo con i circoli dell’America Latina, nei confronti dei quali l’Italia è molto più attrattiva di quanto lo possa essere per i discendenti degli emigrati sardi in Europa, in Australia o nel Nord America. Con questi ultimi si possono comunque creare legami nei campi della ricerca e dell’economia pur senza chiedere a nessuno di trasferirsi in Sardegna.

Ma anche parlando di contributi tesi ad arrestare questi processi di spopolamento e di invecchiamento in Sardegna – per i quali si ritiene che i migliori apporti possano giungere proprio dall’America Latina.

Consideriamo che se molti circoli europei ed extraeuropei chiudono non significa che sia scomparsa la comunità di corregionali che li avevano costituiti, o che questi abbiano perso interesse per la Sardegna ma, a prescindere dal dato generazionale, significa solo che non si è saputo interloquire a dovere facendo loro proposte realistiche e praticabili!

Ritengo inoltre che vada rivalutato e rilanciato il ruolo rappresentativo e politico dei sardi all’estero, anche in considerazione del fatto che molti da cittadini italiani votano per il parlamento italiano, o da cittadini del luogo partecipano nelle elezioni locali. Chi meglio di loro può fare l’interesse della Sardegna? Da dove emergono d’altronde i numerosi italiani che dall’Australia agli Stati Uniti, all’America Latina e in altri Paesi europei occupano posizioni di rilievo nella vita pubblica, nella cultura e nell’economia? Chi meglio delle associazioni di corregionali può mantenere i rapporti con queste persone? Ma per far questo occorrono visione, progettualità e volontà politica tali da superare le rendite di posizione che pur persistono.

Per finire, voglio affermare che non vi è dubbio che la Sardegna sia stata la Regione più attenta alla propria emigrazione ed è ancora oggi la regione italiana che la finanzia in modo più consistente. Questo è un grande merito che va riconosciuto agli amministratori e ai politici sardi. Ciò vuol dire che la Sardegna è anche la Regione che può ambire ad aprire vie nuove per superare le gravi criticità del tempo presente. Ma ritengo infatti che le energie umane, professionali ed economiche, in assenza di una qualificata progettualità, rischiano di disperdersi in una erogazione pubblica fine a se stessa, senza finalità e senza ritorno.

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