di Claudia Zedda
Sono le vicissitudini ad avermi legata stretta alla strega prima e a quella sarda poi. Provo nei confronti di questa creatura quel misto di rispetto e innamoramento ipnotico che fin a oggi mi ha portato fortuna. E’ forse per quel grado di mistero che la circonda, per quel vizietto non da poco che la macchia, per quel tanto di antico e atavico che nasconde, forse più ancora è per il fatto d’essere donna, e donna sola che tanto mi appartiene. D’altronde gli studi che da anni mi avvicinano al fantastico mondo della leggenda sarda, sempre più spesso mettono in evidenza quanto quel calderone di creature fantastiche che ci circondano, siano principalmente, se non quasi esclusivamente, figure femminili, di donne, di dee, di sante, di martiri. E’ femmina anche la strega, e di lei è stato già detto tanto, quasi tutto, eppure a scendere più a fondo, congiungendo i pezzetti del grande puzzle che abbiamo fra le mani, vien fuori una figura sorprendente, forse ancora più affascinante.
L’etimologia
Ho già parlato nel libro “Creature Fantastiche in Sardegna” dell’etimologia dei vari termini che in Sardegna venivano e vengono a tutt’oggi utilizzati per indicare la strega quale creatura fantastica. Velocemente possiamo ricordare che nel campidano la strega è koga e forse il termine si potrebbe far risalire all’antico coquus o coquere, che richiamerebbero alla mente l’arte, tutta della strega, di cuocere erbe medicamentose. In alcune zone è possibile riscontrare una sorta di affievolimento del significato stesso, tanto che koga dà indicazione di donna di malaffare. Nelle zone centrali della Sardegna strega è sùrbile, sùrvile o sùlbile da far derivare forse dalla più antica parola sorbilis, di probabile origine preromana o magari modificazione del sardo surbéntile. In quel caso si potrebbe stringere un legame con il termine latino sorbere che si rifarebbe all’attitudine della strega di sorbire appunto il sangue dei neonati. Nella Sardegna settentrionale infine strega è stria, istria, strea o threa. Il legame tradizionale che più spesso compare è quello fra strega e barbagianni, chiamato a sua volta stria e capace di provocare s’istriadura, l’itterizia. Sorvolerei sull’aspetto e sui caratteri della strega sarda (rimandando per un approfondimento al libro “Creature Fantastiche in Sardegna”); basti ricordare che la tradizione le descrive come donne facenti parte della società, che a una determinata ora della notte si trasformano in animali, si recano nella casa delle puerpere e suggono il sangue dei bambini nati di recente, meglio ancora, dei bambini che ancora non sono stati battezzati. Pare ovvio che questo elemento sia la forzatura cristiana, che in maniera implicita obbligava i più piccoli al battesimo. Solo in questo caso infatti non sarebbero andati soggetti alle attenzioni di questa creature.
Deresponsabilizzazione e offerte alla strega vampiro
Lascia senza parole, indagando questa figura, il fatto che a livello societario la strega vampiro sarda venga deresponsabilizzata. Le leggende parlano chiaro: streghe vampiro si nasce, e non si sceglie d’esserlo. E’ una dannazione voluta da Dio o in rari casi, dal Demonio. Ma come è possibile che una creatura fantastica, che uccide i bambini venga deresponsabilizzata? Non sia il ricettacolo di ogni male? In Sardegna la strega vampiro è temuta, anche e soprattutto rispettata e in larga misura compresa e scusata per le proprie azioni. Impossibile, dico io, fintanto che non scopro di un particolare metodo attraverso il quale la strega vampiro può essere tenuta a freno: gettando, sull’uscio della porta o a pochi passi da su brazzolu chicchi di grano. La strega avrebbe contato i chicchi di grano e incapace di contare oltre il numero 7 (numero dal forte simbolismo magico), non avrebbe potuto ledere il neonato. Stesso discorso si deve fare per la falce dentata che avrebbe intrattenuto la strega in una conta che si sarebbe conclusa solo all’alba. Entrambi mi sembrano, piuttosto che strumenti protettivi, delle reminiscenze antiche di offerte alla divinità che in cambio di protezione, da concedere al bambino, sarebbero state ripagate col grano. Questo giustificherebbe anche quel sentimento di responsabilizzazione che gravita intorno alla figura “strega” e che potrebbe spiegarsi solamente se in passato la strega fosse stata piuttosto che assassina, protettrice delle nuove vite. Probabilmente, con l’avvento della nuova religione, l’unico modo per spodestare dal trono la potente figura di donna posta a protezione delle puerpere e dei neonati, fu quello di accusarla della loro morte. Quel che la nuova religione non poteva immaginare era che quel senso di gratitudine nei confronti della divinità protettrice sarebbe rimasto interiorizzato, grazie soprattutto alle pratiche lunghe secoli, esprimendosi nel mantenimento all’offerta e nell’impossibilità d’incolparla d’un peccato che non avrebbe mai commesso. D’altronde un altro demone femminino sardo si allontana con chicchi di grano o di orzo sparpagliati dinanzi all’uscio. Ce ne parla diffusamente Calvia che analizzando la figura di Gioviana racconta di come, la leggenda la descriva creatura fantastica pronta a punire chiunque si attardasse a filare il giovedì sera. Per allontanarla sarebbe stato sufficiente offrire dell’orzo. Per quanto storicamente le filatrici ne avessero timore, le leggende lasciano intuire che dietro Gioviana si nasconda un nume tutelare che aiuta le filatrici. L’orzo resta, probabilmente, a ricordo del ringraziamento delle donne verso la divinità. A legare Gioviana alla strega inoltre anche il nome: nella zona di Trento infatti le streghe sono chiamate zobiane, da zobia che si traduce con giovedì, allo stesso modo che in Sardegna dove giobia è appunto il giovedì.