IL RAPPORTO DI AMORE-RANCORE FRA GRAZIA DELEDDA E NUORO: CRONACA DI UNA INCOMPRENSIONE

al centro Grazia Deledda a Stoccolma per il ritiro del Premio Nobel per la Letteratura

di FRANCESCO MARIANI

E’ Nuoro a non aver amato Grazia Deledda o è lei ad incorrere in un rapporto di amore-rancore? Biografi e critici letterari, con notevole perizia, discutono ancora ed è un bene sia così. Qui si vuole fare una breve cronaca di un’incomprensione o, se si preferisce, di una disamistade.

Candidata al Parlamento. Nell’Italia del 1909 non esisteva il suffragio universale, tantomeno per le donne. Un gruppo di intellettuali appartenenti al Partito radicale (da non confondere con quello odierno) propose una candidata, una sola in tutt’Italia. Doveva avere questi requisiti: buona cultura, rispettabile posizione sociale, trasversale nei consensi elettorali: insomma un nome di prestigio. La scelta cadde su Grazia Deledda che ormai da 9 anni viveva a Roma dopo il matrimonio con Palmiro Madesani – divenuto alto funzionario del Ministero della Guerra – dal quale aveva avuto due figli Franz e Sardus. Lei era persona già di una certa notorietà e ben introdotta in ambienti letterari ed editoriali. Pare che la sua candidatura fosse caldeggiata dal nuorese Sebastiano Satta ma sicuramente non era il solo. C’erano anche gli ambienti romani. Non è chiaro se la Deledda accettò volentieri o subì una designazione che, in ogni caso, non aveva cercato. Per caso o per calcolo le venne assegnato il Collegio di Nuoro. I risultati furono un vero e proprio disastro. La scrittrice ottenne infatti solo 34 voti di cui 31 furono annullati per commenti apparsi sulle schede.

Grazia Deledda, nella sua città non era amata. Tra lei ed i suoi concittadini o, meglio, compaesani non correvano buoni rapporti. I nuoresi, e non da soli, l’accusavano di essere venuta meno al detto “i panni sporchi si lavano in famiglia”; di aver descritto nei suoi romanzi e racconti personaggi realmente esistiti o ancor allora viventi; di aver rappresentato i sardi come banditi e briganti; di intrattenere rapporti allora riprovevoli con “sos furisteris” e di essersi addirittura sposato con uno di loro, per di più militare regio. Tutto sopportabile, ma non quest’ultimo dettaglio. Insomma, tra le insensate accuse c’era quella del tutto ingiusta di “vidu su furisteri e bisitau”.
Deledda, non ne faceva mistero, voleva andare via da Nuoro che le appariva troppo stretta per i suoi sogni. Fosse rimasta qui mai avrebbe vinto il Nobel né avuto ribalte internazionali. Come d’altronde accadeva ed accade a tanti illustri nuoresi. Quanto alle maldicenze, poco importa se la Deledda fosse nipote di un canonico, figlia di una famiglia di rigide tradizioni culturali e religiose, membro non supino della confraternita di Santa Croce, attivista per la realizzazione della Statua del Redentore. A tal proposito è giusto ricordare quanto scrisse nel giornale L’Unione Sarda nel 1901: «Come si sa la statua viene a costare non poche migliaia di lire, ma siamo a buon punto. Un comitato di signori di Nuoro, si riunisce per raccogliere dei fondi. Io sono qui a Nuoro per qualche giorno e mi rivolgo ai signori di Cagliari e di tutta la Sardegna, perché vogliano anch’essi prendere parte all’opera generosa delle signore nuoresi: inviare un oggetto per contribuire alla realizzazione della statua».

Nel romanzo autobiografico Cosima, pubblicato postumo ci sono accenni interessanti a questo, a volte sommerso e a volte chiaro, astio.

Leggiamo quanto scritto quando gli arrivarono a casa cento copie del suo primo libro. «Non solo le zie inacidite e i benpensanti del paese e le donne che non sapevano leggere ma consideravano i romanzi come libri proibiti, tutti si rivoltarono contro la fanciulla: fu un rogo di malignità, di supposizioni scandalose, di profezie libertine. Lo stesso Andrea ( ndr, il fratello) era scontento: non così aveva sognato la gloria della sorella: della sorella che si vedeva minacciata dal pericolo di non trovare marito».

In una lettera al giornalista Stanis Manca aggiunge: «Credevo di fare onore e piacere ai miei compatrioti e mi aspettavo da loro chissà ché; si figuri il mio dolore, il primo dolore che provai allorché, comparsi alla luce quei racconti, per poco non venni lapidata dai miei conterranei.

Si pretese di conoscere i tipi e si volle che i miei personaggi fossero vivi, benché taluni morti decisamente nei bozzetti; e questi eroi offesi, esasperati, non potendo sfidarmi a duello mi coprivano di maldicenza, di ingiurie, di ridicolo, arrivando persino a dire che altri scriveva nell’ombra ed io non facevo che firmare». Sempre all’amico Stanis, nel 1891, scrive: «Amo intensamente il mio paese e sogno un giorno di poter irradiare con un mite raggio le foschie ombrose dei nostri boschi; narrare, intera, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri, così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza.(…) Mi si può dire che la gloria è una spaventevole cosa: si può sorridere della temerità della mia stolta fissazione, si può pensare ch’è al di sopra delle mie forze il compito che mi impongo: che non riuscirò mai a raggiungere la mia meta; che non spetta ad una povera e umile fanciulla senza istruzione e senza appoggi di rialzare il nome di un paese».

Sarda e donna, l’avversione degli intellettuali nazionali. Benedetto Croce, nel 1934, liquidò le sue opere come «solito folclore sardo», che «non suscitano nessuna commozione e nessun sogno», prive di poesia. Croce, lo sappiamo. Insomma, scritti per la cinta daziaria isolana alla quale poteva rivolgersi perché «non ha mai sofferto il dramma del poeta e dell’artista, che consiste in un certo modo energico e originale di sentire il mondo».
Pirandello, forse per reazione al suo angoscioso matrimonio con Antonietta Portulano, scrive il romanzo Suo Marito, intriso di sarcasmo verso la coppia Madesani-Deledda. Fatto sta che tra i due premi Nobel calò il gelo.
Di sicuro, tra invidie e gelosie, Grazia Deledda è stata esclusa dalle antologie di letteratura italiana, nelle scuole, anche isolane, dove è un’illustre sconosciuta. Lei aveva solo la quarta elementare e non poteva quindi far parte del circolo di laureati, intelligenti per destino e dinastia, del circuito dei soliti noti.
Senza nulla togliere alla bravura dei tanti autori fatti leggere e studiare nelle nostre scuole, è possibile introdurvi, non in modo occasionale e furtivo, Grazia Deledda? Sarebbe una vera, seppur postuma, riconciliazione con Lei. Un modo per riparare ad un clamoroso errore compiuto ed ancor presente nelle scuole del nuorese. I primi ad aver decretato o avvallato l’ostracismo scolastico a Grazia sono stati proprio i suoi compatrioti. Nessuno è profeta nella sua patria, seppure lui la riconosca come tale.

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