di Omar Onnis
Si avvicinano le elezioni (politiche e regionali) e come per magia ecco ricomparire sulla scena lo spettro della Zona franca.
Vorrei incontrare il genio che ha concepito e diffuso questo diversivo politico. Vorrei conoscerlo e stringergli la mano per uno dei capolavori più clamorosi nell’arte della distrazione di massa. Chapeau!
Detto ciò, non credo che otterrà altro risultato che rallentare e ingarbugliare un po’ di più il già difficile percorso dell’autodeterminazione in Sardegna. Alla fine, per paradossale che possa sembrare, potrebbe persino tornare utile, in realtà.
Ciò non significa che si debba rinunciare a fare chiarezza su questa faccenda. Ma non chiarezza ideologica, propagandistica, faziosa. Parlo di chiarezza giuridica e politica.
Da anni si leggono le cose più disparate, sul tema.
Si presenta la Zona Franca come la panacea di ogni male e come il solo orizzonte politico emancipativo a cui possiamo appellarci; si sventola il famoso decreto legislativo n. 75 del 1998 come “arma fine di mondo”; si afferma che basta un semplice moto di volontà della Regione o addirittura dei sindaci per estendere tali (presunte) previsioni all’intero territorio sardo; si interviene sui mass media con dichiarazioni apodittiche e spesso apocalittiche; si inscenano gazzarre sui social.
Da tutto questo teatro prendo volentieri le distanze. Si tratta appunto della “distrazione di massa” perseguita (e ottenuta) dal genio (o dai geni) di cui sopra.
Ma che ci siano questioni fiscali problematiche da affrontare, in Sardegna, è vero.
Che troppe famiglie, troppi lavoratori, troppe iniziative economiche siano ostaggio di una legislazione spietata coi deboli e fin troppo accondiscendente coi forti è un’evidenza storica che non mi dilungo a dimostrare.
Che la Sardegna abbia estrema necessità di un sistema fiscale suo, improntato a una severa progressività, ma giusto, democratico e proporzionato rispetto alle sue risorse produttive, alla sua articolazione sociale, alla sua demografia, alla sua geografia, è altrettanto evidente.
Niente di tutto ciò ci sarà regalato da nessuno, sia chiaro. Non dallo Stato italiano, non dall’Unione Europea, non dai vari portavoce dei partiti dominanti che nei prossimi mesi si accalcheranno al capezzale dell’isola con promesse retoriche e roboanti.
Né ci sarà garantito dalla ipotetica – per non dire utopistica – realizzazione della Zona Franca. Che sarebbe a sua volta una concessione ottriata, gentilmente concessa dall’alto e dall’esterno, e vincolata a scelte del tutto sottratte al nostro controllo e in ogni caso estranee ai nostri interessi generali.
Consiglierei dunque, da cittadino ad altri cittadini, di abbandonare illusioni e sogni generati da suggestioni malevole e da una propaganda come minimo maldestra. Concentriamoci su quel che si può fare, qui e ora, con i mezzi a disposizione. Ricorriamo alle risorse e alle possibilità pratiche esistenti, a cominciare da quelle politiche ed elettorali.
Il riscatto economico e sociale a cui aspiriamo, insieme a quello politico e morale, dovremo costruircelo da noi, con le nostre forze, insieme, contro le strutture e gli agglomerati di potere che si giovano della nostra subalternità e della nostra passività. Senza scorciatoie, senza pigrizie, senza egoismi e corporativismi.
O così, o sarà peggio per noi. E a nessun altro importerà.