di Francesco Nardini *
Una leggenda vorrebbe che, dentro il sacello in granito con la scritta “Giuseppe Garibaldi”, il corpo dell’eroe non vi sia e dunque le sue ossa siano da qualche altra parte, trafugate da Caprera non si sa perché e quando. Sabato, nella sala convegni di Cala Gavetta, Ugo Carcassi ha definitivamente cancellato questo sospetto fornendo le prove definitive per controbatterlo. Autore di numerosi studi di storia, ha presentato il suo ultimo saggio (uno analogo era stato dato alle stampe anni fa, quest’ultimo è un completamento del primo), ancora in prestampa presso l’editore Carlo Delfino di Sassari, dal titolo “Giuseppe Garibaldi. Il destino della salma”. Sei anni di scrupolose ricerche. Con presentazione di Giuseppe Garibaldi junior e la prefazione di Laura Donati, direttrice della Casa museo di Caprera, il saggio intende verificare le vicende attorno alla salma dell’Eroe, dal momento del trapasso a quello della tumulazione e della copertura definitiva con una lastra di granito: 24 giorni dopo la morte e 19 dopo il funerale ufficiale. «Fondamentalmente la storia – ha affermato Carcassi – va vista attraverso le relazioni del dottore di Garibaldi, Enrico Albanese, che seguì gli eventi passo passo dal decesso alla tumulazione e ne curò i verbali» e, semmai, l’unica “curiosità”, se così si può dire, fu il non rispetto delle ultime volontà di Garibaldi che avrebbe voluto essere bruciato. Curiosità perché i luoghi indicati in vari testamenti e lettere autografe per il catafalco e la sepoltura sono addirittura dodici sparsi nei dintorni della Casa. «In quei giorni risultò determinante l’opera del dottor Albanese – ha affermato Andrea Montella, primario di Anatomia umana dell’ospedale di Sassari – perché riuscì a trattare il corpo, già molto provato in vita da artrite e altri acciacchi, e mantenere la salma in condizioni ottime sino ai funerali dell’8 giugno». Siccome «Garibaldi aveva chiesto di essere sepolto sotto una lastra di granito, gli scalpellini si misero subito al lavoro – ha specificato Carcassi – e trasportarono una pesantissima lastra a forza di braccia facendola scorrere su rulli. Ma la lastra si spaccò, cosi il lavoro dovette essere ripreso da capo». Nel frattempo la salma fu deposta in una cassa di legno e sigillata da una lastra di lamiera. Di questa saldatura si hanno i verbali firmati da Albanese e dal sindaco della Maddalena Bargone. La lastra lunga 2,50 m, larga 1,40 m e di «40 cm di spessezza» fu pronta per il giorno 26, quando fu deposta sopra la cassa, serrata in una fasciatura con doghe di ferro. «Di tutte queste operazioni abbiamo i verbali firmati da Albanese, da Bargone e da quanti assistettero», ha concluso Carcassi. C’è ancora da dire che alla tumulazione seguì una polemica, tra Francesca Armosino, Menotti e Albanese, sul trattamento della salma dopo il decesso, polemica che ebbe risvolti pubblici con la pubblicazione sul giornale “Il Secolo” di Torino.
* Unione Sarda