di Paolo Mercurio
Quando sente parlare di launeddas, Peppe Cuga storce il naso: “Sono di Ovodda – è solito ripetere – e qui lo strumento a tre canne si chiama “bídulas”. Se imparassimo a portare rispetto per le piccole tradizioni, potremmo averne di più anche per le grandi. In particolare ai Sardi dico di non lasciarsi andare, di mantenere con forza la propria cultura, che è madre e generatrice. Senza le radici non siamo niente, ci perdiamo in un presente senza tempo”.
Sin dagli anni Settanta, Cuga ha conquistato fama come esecutore folclorico, essendo stato invitato a suonare in numerosi Stati europei e internazionali: Australia, Brasile, Senegal, Tunisia, Spagna, Francia. Nel Regno Unito, nel 1974, ottenne il primo premio all’Eurofestival del Folklore di Langollen, nel Galles. Diversi etnomusicologi s’interessarono a lui, perché isolato suonatore della Barbagia, con uno stile inconfondibile. Nel 1976, venne invitato da Roberto Leydi e da Pietro Sassu all’Autunno Musicale di Como; due anni dopo, venne chiamato a suonare a Milano per il “Piccolo Teatro”, all’epoca dipendente dalla Sovrintendenza del Teatro alla Scala.
“Custodisco ancora con cura l’invito e la ricevuta del compenso – ha raccontato – … Il pubblico apprezzò tantissimo e ricordo che, durante il concerto improvvisai con due giovani sposini sardi i quali dal pubblico salirono sul palco, mostrando esempi di balli regionali. Anche quando s’improvvisa, bisogna saper suonare con il cuore”.
Negli anni Settanta, attirò l’attenzione degli studiosi, perché il suo percorso musicale esulava da quello di tanti altri suonatori sparsi nel sud dell’Isola. Il motivo è presto spiegato dallo stesso Cuga: “A Ovodda non c’era una Scuola di Launeddas…, io appresi la tecnica di base da mio nonno Giuseppe, il quale a suo volta aveva imparato dal padre (Bovore) originario di Tiana. Quando il nonno morì, ero ancora ragazzino… poi andai a cercare lavoro in continente, ma quando tornai in Sardegna ripresi a suonare. Ricordo che la ripresa coincise con l’incontro di Felicino Pili, un bravo suonatore di Villaputzu. A Oristano acquistai da lui uno strumento… poi cercai una mia strada come esecutore. Cantavo nella mia mente i motivi dei balli e dei canti di Ovodda e poi li riportavo sulle bídulas. Non copiavo da nessun altro suonatore di launeddas. Questo percorso mi portò ad avere uno stile personale. Quando suono, io canto, e ciò che canto con la mente lo trasferisco sulle dita. Molti suonatori di oggi non sanno cantare, suonano con tecnica, ma gli manca quel calore interiore che proviene dal canto”.
Cuga ha settant’anni. “Sono giunto a un’età – ha proseguito – in cui sento l’esigenza di trasmettere agli altri quello che so e che ho imparato. Vorrei fare scuola, insegnare, e per farlo sarei disposto anche a viaggiare, ma per ora nessuno si è mostrato interessato… ma non perdo le speranze. Nel frattempo continuo a suonare dove m’invitano. Sono stato da poco a Tempio a suonare con amici, poi ho suonato per il matrimonio di due parenti. Uno è un nipote di Tiana (è ingegnere e sindaco del paese), l’altra è una mia nipote, figlia di mio fratello… Con lo strumento bisogna anche essere capaci di portare gioia tra la gente nei momenti festivi”.
Il suonatore di Ovodda è stato immortalato in alcuni componimenti, per lui scritti in sardo dal poeta locale Pietrino Curreli (1925-2014, soprannominato “Canete”), nei suoi versi capace di dare risalto ai compaesani della comunità, conosciuta nel mondo anche per la longevità degli abitanti.
Nel componimento “A Peppe Cuga”, Curreli elogia l’aspetto fisico del suonatore: “ Zuseppe pares unu monumentu/ a barba long’ e de aspettu rude – e il suo ruolo sociale – … ma nde divertis tanta gioventude/ cun custu florcloristicu istrumentu … pare chi apas d’Eolo su entu/ e sas cannas de una palude/tindap’invidiadu sa virtude/ca sonas, ballas e istas cuntentu”.
Nella sestina conclusiva, pone in risalto il suonatore, capace di tenere alto il valore (musicale e culturale) di tutta la Sardegna anche quando viene chiamato a suonare all’estero: “Già chi depes andare a Talavera (in Spagna)/ cun s’echipe de sor de Nugoro/ten’inaltu sa nostra bandiera/ ca cun s’aspetu du’e cun su goro/ ses presentande sa Sardigna intera/Campidanu, Barbagi’e Logudoro”.
In un secondo componimento, “Sos sonadores de bídulas”, con pochi versi, Curreli fotografa lo spirito con il quale si ballava a Ovodda, citando i predecessori di Cuga, i quali introdussero lo strumento tricalamo a Ovodda: “Na ghi faghian ballos a tenore/ a tempus de antigu in dogni janna/ ca de ballare aian gana manna/e non be fu manc’unu sonadore… Tando ennidu fu tiu Bobore/ e batid’ha sas bídulas de canna/ e tando a cuminzare ’e Pascmanna/ fu sa festa po dogni balladore… Da Bobore imparò a suonare ziu Cau chi curriat sa zente a l’iscultare/ e poi a Peppe Cuga l’es toccau … custu non solu l’ischid’a sonare/ ma a las costruire ad’imparau”. Chiude il componimento un verso esclamativo, carico d’interrogativi: “Chissà poi a chie ad’a toccare!”
Cuga lamenta che nel paese è venuto a mancare il ricambio generazionale tra i suonatori di bídulas ed è seriamente preoccupato per il futuro, da cui le considerazioni in precedenza riportate.
Negli anni Settanta Cuga conquistò notorietà anche come sindacalista. Dopo alcuni anni di lavoro nella diga del Talòro, giunsero i licenziamenti. Gli operai si riunirono in assemblea e, per tre mesi consecutivi, si asserragliarono occupando gli spazi lavorativi: “Fummo uniti in quell’occasione, e la musica ci dette sostegno. Io – ricorda Peppe – suonavo e altri due compagni di lavoro (Giovanni e Pietro) cantavano. Quando si trovò un accordo sindacale uscimmo e io mi ritrovai in testa al gruppo suonando sar bídulas”.
Peppe Cuga è figura carismatica della musica regionale e una delle icone del folk revival in Sardegna, uno di quei suonatori che s’impegnò per salvaguardare un patrimonio musicale popolare che, negli anni Sessanta, rischiava di perdersi, grazie anche all’incuria delle istituzioni.
Luigi Lai, virtuoso di San Vito, come Cuga, dopo essere emigrato, tornò a vivere in Sardegna, nel 1971, e costatò che il mondo delle launeddas si stava dissolvendo, tanto da non riuscire più a trovare abili suonatori neppure per la Sagra di Sant’Efisio a Cagliari. Prosegue Cuga: “In quegli anni di suonatori conosciuti ce n’erano pochissimi e ci chiamavano spesso per concerti. Oggi di suonatori ce ne sono tantissimi, la situazione in pochi decenni è notevolmente mutata. E penso che il nostro ruolo e quello di attenti studiosi siano stati decisivi per questo cambiamento, sul quale ci sarebbe da dire, ma la questione sarebbe troppo lunga da affrontare in un’intervista”.
La foto del nonno di Cuga, Giuseppe Cau, è tenuta con gran rispetto nella stanza del camino, come pure quella della moglie, signora Pippia Maria Efisia, di Nuraxinieddu, purtroppo deceduta a soli quarantuno anni, a seguito di una lunga e tormentata malattia. Nell’ultimo decennio, la malattia e il decesso della moglie, hanno influito notevolmente sul rallentamento delle attività musicali del suonatore di Ovodda il quale, con grande umanità, ha riferito che “… ora non suono più come prima, nel senso che dopo questo evento doloroso ho perso molto del mio entusiasmo. Ciò che per me conta è aver dato valore a quanto appreso da mio nonno e alle musiche della mia comunità. Ciò che per me è ora importante è trovare qualcuno che prosegua con entusiasmo il mio percorso”.
Come ricercatori, auspichiamo che a Ovodda le istituzioni comunali e regionali si attivino per permettere a Cuga di realizzare il suo desiderio, per fare scuola presso i giovani del paese e del nuorese in generale. Essendo lui suonatore di fama accertata (di recente gli è stata registrata una voce in Wikipedia) e un abile costruttore, a nostro avviso, sarebbe necessario riconoscerlo come maestro e dargli la possibilità di operare presso scuole pubbliche. Un riconoscimento doveroso che cadrebbe a pennello con la festa dei suoi settanta natali. Contestualmente agli auguri per la lieta ricorrenza, invitiamo Peppe Cuga a tenere duro, conservando la consapevolezza della sua unicità nel panorama della musica per launeddas, strumenti che godono di rilievo internazionale e che hanno una storia capace di dare lustro alla millenaria storia della cultura sarda. A chent’annos, Peppe! Semper indainnantis, cantandhe chin sa musica in su coro.
Ho visto un documentario con lui in Africa. Sono fan delle Launeddas. Aurelio Porcu era cugino di mio nonno. Cosa bellissima e tradizionale della nostra terra