UNA VITA IN MISSIONE: SUOR ANNA FENU, 85 ANNI ORIGINARIA DI BITTI, DA OLTRE DIECI ANNI IMPEGNATA IN TUNISIA

suor Anna Fenu

“Mi trovo a Nuoro per incontrare il sacerdote del Sacro Cuore, il gruppo delle Francescane e delle Vincenziane che, da quando era parroco don Giovannino Puggioni, mi hanno sempre aiutato nelle missioni”. È quanto ci riferisce suor Anna Fenu, missionaria di Bitti, durante il nostro incontro prima di ripartire per la Tunisia.

Nata nel 1940, sesta di otto figli, suor Anna è rimasta orfana di padre a sei anni. Da bambina andava in parrocchia a recitare il rosario, ma durante la messa del mattino si addormentava mentre la mamma pregava.

Sono stata una bambina felice – confessa -, ridevo sempre. Mi sentivo amata. Ero obbediente quando mia mamma mi mandava a comprare il latte e il carbone. Uscivo a cavallo, in bici e giocavo ai tamburelli. Mi sentivo leader fra le mie compagne e mi divertivo a fare scherzi, le facevo salire sulle mie spalle per farle cadere, procurando loro qualche escoriazione al naso”. 

Ricorda un vecchio del paese che abitualmente si presentava a casa sua per chiedere l’elemosina mentre la madre, non avendo neppure il pane per i figli, lo dissetava con acqua fresca e magnesia effervescente.

Un giorno si era trovata da sola e frugando nei cassetti ha rimediato un pezzo di pane durissimo. “L’ho rincorso per strada mentre andava via – racconta -. Lui mi ha ringraziato accarezzandomi la testa. Mi sono interrogata a lungo sull’episodio. Ho pensato che forse quello era un segno, una chiamata da parte di Gesù perché dovessi occuparmi dei poveri e questa idea non l’ho mai più abbandonata”.

Da adolescente ha cominciato a frequentare le suore Vincenziane presenti a Bitti e a Nuoro.

Il suo primo noviziato è stato Napoli poi 6 mesi a Parigi dove ha preso i vestiti delle Figlie della Carità. Nel 1960 ha fatto rientro a Cagliari dove ha conseguito la maturità artistica, ritornata a Napoli ha studiato scienze religiose, ha frequentato il corso di assistente sociale mentre a Urbino ha discusso la tesi sulle problematiche della scuola e sull’educazione.

Nel 1965 ha preso i voti delle figlie della Carità.

Dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980 è stata destinata a San Biagio di Serino (Avellino) per occuparsi delle famiglie rimaste senza casa. In quella realtà così difficile ha maturato l’idea di dedicare la sua vita alle missioni. “Ho capito – confessa -, che siamo battezzati per essere mandati, siamo missionari dal giorno del battesimo. Gesù è nella nostra vita e ci manda sulla terra per continuare la sua missione. La mia prima evangelizzazione è cominciata proprio lì.

Dopo 5 anni fra i terremotati ho chiesto ai superiori di poter partire. Sono stata inviata in Eritrea dove malaria, epatite e febbre gialla seminavano morte fra i villaggi sperduti.

Vivevo in un villaggio alla periferia di Enda Giorgis a 120 chilometri a sud di Asmara, in una casetta con muri a secco dove i topi erano di casa. Con le mie due sorelle – continua -, mi sono dedicata alle famiglie povere dove i bambini giocavano col pallone di stoffa. Insieme abbiamo bonificato un pezzo di terreno per realizzare un campo di calcio, delimitando il perimetro con la Medaglia Miracolosa di cui sono stata sempre devota. Le autorità locali hanno subito provveduto a donarcelo. Abbiamo anche realizzato un magazzino per custodire le scorte che giungevano da Asmara. Ero io la responsabile della distribuzione dei viveri”.

Per problemi di salute, dopo sei anni suor Anna è rientrata Napoli per curarsi. “Fremevo dal desiderio di ripartire ma i miei superiori, in quel momento, non me lo hanno concesso”.

Nel 1998, a seguito della frana di Sarno e Quindici, per due anni ha operato in Albania e Kosovo dove ha visto tante atrocità. Alla madre generale giunta sui luoghi della guerra ha mostrato 25 fosse comuni di cui era a conoscenza. A lei ha chiesto di cambiare missione e di lì a poco è stata inviata in Mauritaniadove è rimasta dal 2000 al 2013.

Nella nuova sede ha organizzato una scuola di formazione per domestiche perché venissero a conoscenza dei doveri ma soprattutto dei propri diritti. Per 13 anni si è occupata dei carcerati, nella prigione ha introdotto giochi ludici per il tempo libero e a beneficio della salute dei ragazzi ha ottenuto che godessero dell’aria aperta. Per ovviare ai problemi di sicurezza ha fatto costruire due gallerie che collegassero le carceri con lo spazio circostante.  

Dall’associazione francese “Aviatori senza frontiere” ha ricevuto 15 computer per insegnarne l’uso alla popolazione carceraria, delegando la formazione dei nuovi ospiti ai ragazzi che man mano ne acquisivano le competenze. Ha anche allestito una biblioteca per educarli alla lettura.

Si è occupata della costruzione delle case per madri ripudiate con figli. Grazie alle offerte che le giungevano dall’Italia, al ricavato dalla vendita di quadri di sua proprietà e all’aiuto di sua sorella che aveva organizzato adozioni a distanza, negli anni ha fatto costruire 80 casette intestando alle donne il terreno su cui sorgevano, cosa proibita in una società dove la titolarità dei beni spetta solo agli uomini. Per questo motivo ha subito una violenta aggressione da parte di un marito che non condivideva il suo operato.

Dal 2013 al 2023 è stata inviata in Tunisia dove, a un’organizzazione vincenziana americana, ha presentato uno studio perché venissero realizzati dei microprogetti a favore delle famiglie e un altro progetto per combattere la dispersione scolastica.

Per qualche anno è rientrata presso una comunità di Cagliari per occuparsi di due sorelle malate e anziane prima di ripartire per Sfax, una cittadina al centro della Tunisia con quartieri periferici poverissimi dove, con un’associazione vincenziana, attualmente si occupa di famiglie senza casa, di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”

Se tornasse indietro rifarebbe le stesse cose? “Se avessi qualche anno in meno, oserei ancora di più e se potessi scegliere, sceglierei realtà ancora più povere”.

C’è stato un momento in cui ha avuto paura? “No, sono barbaricina. Ho avuto momenti di forte preoccupazione per i troppi rischi. Sono stata anche “attenzionata” dalla polizia, fino a chiedere di lasciarmi in pace”.

Quale consiglio a che volesse seguire la sua strada? “Credere in ciò che si fa e affidarsi a Dio che sempre ci illumina il percorso”.

Rimpiange di non aver fatto qualcosa? “Mi rendo conto dei limiti e della debolezza umana. Forse in quel momento non capivo se c’era qualcosa che potevo fare e non l’ho fatta”.

È soddisfatta dei frutti che ha raccolto? “Se ho reso felice qualcuno, si. I frutti vanno a chi ne ha bisogno, non a me. Sono una persona di fede che deve percorrere il cammino che Dio le ha tracciato, lavoro per il suo regno non per la mia affermazione”.

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