
di MATTIA LASIO
La solitudine è una maestra severa, spesso fin troppo. Sa mettere alle corde, far sentire vulnerabili, fragili e perduti. Impedisce di vedere uno spiraglio di luce e rabbuia gli animi delle persone che con essa sono costrette a dover fare i conti. Però, la solitudine può avere anche il potere di far capire cosa conta realmente e, soprattutto, fa sì che chi la prova esamini davvero il suo animo conoscendo a fondo. La solitudine è sì dolorosa ma è anche un’opportunità di crescita come dimostra la storia di Salvatore Montalbano soprannominato ‘’Sciore’’ narrata da Padre Carlo Cogoni, gesturese di 63 anni pilastro della Parrocchia della Medaglia Miracolosa a Cagliari in cui si trova dal 1988, in un libro di appena 55 pagine dotate però di quella intensità emotiva e di quella empatia che al giorno d’oggi trovare è sempre più raro. Un libro costituito da 5 paragrafi a cui si aggiungono la prefazione, la postfazione firmata dal missionario vincenziano Erminio Antonello, un intervento del vescovo di Cagliari Monsignor Giuseppe Baturi e una lettera mandata da Sciore a Baturi. Un’opera pubblicata nel 2022, scritta durante il primo periodo della pandemia, che si caratterizza per quella immediatezza che consente di trattare un argomento complesso come la sofferenza in maniera attenta senza mai sfociare nel sensazionalismo, all’insegna della pietas cristiana tradotta in pratica quotidiana e in concreta filosofia di vita.
Padre Carlo Cogoni racconta la storia, per l’appunto, di Sciore un uomo nato e cresciuto nel quartiere di San Michele in quel di Cagliari, venuto a mancare l’11 marzo del 2021 – a causa di un tumore allo stomaco – all’età di 63 anni, dopo aver ricevuto nella propria casa il 28 febbraio del 2021 la cresima, sacramento che desiderava fortemente e per il quale si è rivolto proprio a Padre Carlo, con cui era entrato in contatto già durante gli anni Novanta. Dietro questa richiesta di Sciore, che ha trascorso la sua vita in condizioni di grande precarietà ma che nonostante ciò non si è mai perso d’animo lavorando nel settore del giardinaggio sino a quando è stato costretto a smettere a causa del grave problema di salute, si cela un messaggio ben più profondo di quanto si possa pensare: il sacramento della cresima per Sciore, preparato per l’occasione proprio da Padre Carlo che è stato anche il suo padrino, è il punto finale della sua esistenza e nasce dalla consapevolezza di essere arrivato al termine del proprio percorso terreno. Per questo il sacramento si carica di un significato ancora più importante e prezioso. Per Sciore la cresima ha rappresentato una sorta di spartiacque tra la fine del suo percorso terreno e un nuovo inizio in una dimensione che non ci è dato conoscere ma verso cui si proietta chi ha dalla sua una fede solida e sincera. Proprio come Sciore che, nonostante i lutti che ha subito, le difficoltà e le batoste che la quotidianità gli ha procurato, quella fede non l’ha mai persa, seppur sia stato messo dalla vita costantemente all’angolo.
La storia di Sciore è la storia di chi è solo, di chi non sa come orientarsi nel tragitto e spesso cade senza che nessuno gli tenda la mano. Sciore ha trovato in padre Carlo una figura preziosa che gli ha aperto le porte del cuore, capendo che l’incontro con una persona povera è un incontro con se stessi, con la propria parte più pura e sensibile. Un incontro che ha segnato e cambiato in meglio sia Sciore che Padre Carlo testimoniando appieno, come rimarcato da Monsignor Baturi, che un vero incontro tra uomini non lascia come prima e segna una traccia profonda in ciascuno dei protagonisti. Una traccia profonda come quella lasciata da Padre Abbo, che della parrocchia della Medaglia Miracolosa è stato punto cardine, che Padre Carlo Cogoni continua a seguire a distanza di anni, facendosi portavoce delle istanze di chi soffre e di chi viene etichettato come invisibile. Il messaggio più profondo dell’opera si ricollega proprio a coloro che con faciloneria vengono definiti invisibili, mostrando invece che è fondamentale non nascondersi dietro questa etichetta inesatta e persino lapidaria, cercando concretamente di migliorare l’esistenza di chi è piegato dalle difficoltà. Basta anche solo un abbraccio e una parola di sincero conforto. Perché le parole, come sottolineato dal poeta palestinese Mahmud Darwish nella sua opera ‘’In presenza d’assenza’’, sono le materie prime per costruire una casa. Una casa dove la porta è sempre aperta e dove chiunque può essere accolto con affetto sincero e rispetto, in modo da vincere non solo la solitudine ma soprattutto la piaga dell’indifferenza a causa della quale, troppe volte, ai giorni nostri non si è in grado di andare oltre il proprio orizzonte.
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