GIOVANNANGELO COLLI, IL CALZOLAIO CON LA PASSIONE DELLA POLITICA: ANTIFASCISTA E SARDISTA, E’ STATO UN PIONIERE DELL’IMPRENDITORIA

Figlio di un pasticcere genovese, Juvannanghelu (Giovannangelo) Colli, nato a Oliena nel 1901, fin da piccolo ha appreso il mestiere di calzolaio da ciu Corrovacca, alias Antonio Sebastiano Gabbas e a 18 anni ha aperto la sua bottega in piazza Santa Maria. Grembiule nero e occhiali sul naso, tutti lo ricordano davanti al desco con gli attrezzi da lavoro, le forme delle scarpe sugli scaffali, la macchina da cucire, sedie, sgabelli e una panca per custodire le pelli che prima dell’utilizzo faceva ammorbidire dentro una vasca in pietra lavica. La sua bottega era un punto di incontro per scambiarsi quattro chiacchiere fra amici e per clienti in attesa di mettere due punti di cucitura alla scarpa. Un angolo di comunità paesana dove un tempo s’intessevano relazioni sociali.

Ai numerosi dischentes insegnava per primo a raddrizzare le semenze e a maneggiare bene gli attrezzi del mestiere.

Era un bravo calzolaio, sapeva realizzare sas hintoglias (le cinture), gli scarponi da lavoro e le scarpe del costume femminile che la moglie impreziosiva con ricami di fili di seta. Per tutte le donne di casa ha realizzato le scarpe del costume mentre per i maschi sa hintoglia

È stato un pioniere dell’imprenditoria, nel ‘48 ha avviato il primo negozio di calzature, nel ‘57 installato il primo rifornitore di benzina e nel ‘60 il primo chiosco edicola. Ha frequentato fino alla settima elementare, a scuola era molto bravo, leggeva con interesse libri e giornali, scriveva molto bene.

Agguerrito antifascista e irriducibile sardista, dopo la caduta del regime ha preso parte attiva alla vita politica. È stato uno dei primi ad aver contribuito alla fondazione del partito sardo ad Oliena, eletto più volte consigliere, ha anche ricoperto la carica di vicesindaco.

Un giorno si è ritrovato fra le mani la divisa di Balilla del figlio Antonio che, come tutti i ragazzi del regime, ha dovuto indossare durante le esercitazioni e le manifestazioni, “usta bruiala derettu i no la via prus”, ordinò al figlio in preda all’ira.

Godeva di grande stima, paraninfo per tanti matrimoni, autorevole omine ‘e mesu veniva chiamato a risolvere situazioni spinose. Nel 1930 ha sposato Antonianna e dalla loro unione sono nati 4 maschi e tre femmine, una scomparsa a 7 anni. Proverbiale la sua grandezza d’animo soprattutto con i meno abbienti e sempre disponibile verso chi necessitava di una immediata riparazione delle proprie calzature.

Amava la campagna, curava la vigna, l’oliveto, coltivava l’orto. Ha praticato la caccia per circa 60 anni e preso un centinaio di cinghiali, l’ultimo a 87 anni.

Carattere burbero, piuttosto irascibile, dietro questi atteggiamenti, tuttavia, si celava un uomo buono, sensibile e generoso. Partiva all’attacco, poi prevaleva la sua saggezza e lasciava perdere.

Si racconta che un giorno si era fatto accompagnare da un amico per fare la posta a un ladruncolo che abitualmente rubava la frutta nel suo orto, minacciando tuoni e fulmini. Sorpreso il ladro con le mani nel sacco lo ha lasciato andare via col carico di albicocche nel timore di trovarsi di fronte qualcuno in bisogno.

“Credeva nei valori fondamentali della vita – racconta la figlia Mariuccia -, il lavoro e il rispetto innanzi tutto. Consapevole dell’importanza della cultura: “Bisongia de istudiare, bi vole s’ishola”, ripeteva come un mantra. Era molto affettuoso con i figli e adorava i nipoti. Quando da bambina andavo a trovarlo, la bottega era sempre piena di apprendisti e tutti sono diventati ciabattini. Ricordava il fratello maggiore Antonio che, emigrato in Argentina come calzolaio, aveva avviato un piccolo calzificio con diversi dipendenti.

Forte in lui anche il senso dell’accoglienza, ogniqualvolta incontrava turisti li invitava a casa per offrire loro un buon bicchiere di vino”.

Nel 1988, ciu  Juvannanghelu Colli si è spento per un male incurabile all’età di 87 anni, mentre la moglie gli è sopravvissuta per altri nove.

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