
Francesco Cetti
a cura di ORNELLA DEMURU
“Non v’è in Italia ciò, che v’è in Sardegna, né in Sardegna v’è quel d’Italia” queste le parole di Francesco Cetti, riferite alla fauna dei due luoghi nella sua opera più importante la “Storia Naturale di Sardegna” (1774-78), suddivisa in 4 volumi (Quadrupedi di Sardegna, 1774; Gli Uccelli di Sardegna, 1776; Appendice alla Storia dei quadrupedi di Sardegna, 1777; Anfibi e Pesci di Sardegna, 1778).
Nato in Germania da genitori di origine comasca, studiò presso il collegio gesuita di Monza.
All’età di 16 anni, il 12 ottobre 1742, entrò come novizio nella Compagnia di Gesù.
Tra il 1744 e il 1747 Cetti studiò retorica e filosofia nell’Archiginnasio di Brera a Milano, dove, dal 1748 al 1749, fu professore di filosofia e matematica.
L’anno seguente, Cetti insegnò scienze umanistiche a Bormio. Studiò teologia a Milano dal 1752 al 1756.
Nel 1755 Cetti fu ordinato sacerdote. Il 2 febbraio 1760 prese i quattro voti dei gesuiti.
Nel 1764 il governo sabaudo gli offrì la cattedra di matematica e di filosofia morale nella neoricostituita università di Sassari.
Tale offerta rientrava in una iniziativa di Carlo Emanuele III e del ministro Bogino, volta a vitalizzare l’attività culturale in Sardegna col potenziamento dell’università di Cagliari e la restaurazione quasi ex novo, appunto a Sassari; l’incarico di far funzionare i nuovi organismi culturali fu affidato ai gesuiti, che inviarono nell’isola un gruppo di loro studiosi, tra tui il Cetti.
Questi giunse a Sassari verso la fine del 1764 o nel 1765, ma cominciò le lezioni solo dopo alcuni mesi, con l’apertura, del nuovo ateneo. Al momento di accettare l’incarico aveva ottenuto dal Bogino che ordinasse al viceré dell’isola di agevolarlo negli studi naturalistici che aveva intenzione di compiere, ciò che prova fin d’allora l’esistenza in lui d’interessi più ampi di quelli per le discipline assiomatico-deduttive; e in Sardegna, infatti, il Cetti divise il suo tempo tra queste ultime, che insegnò con impegno e notevoli risultati, e ricerche geologiche, botaniche e zoologiche che l’assorbirono nelle pause dell’attività accademica.
Quanto alla prima attività riuscì a formare un discreto gruppo di giovani matematici, cui impartiva un insegnamento prevalentemente geometrico; già nel 1767 fu in grado, secondo le classiche consuetudini accademiche, di far tenere ai suoi allievi una “pubblica difesa di geometria” che ebbe esito ampiamente positivo, tanto che lo stesso Bogino, informato dell’iniziativa, scrisse al governatore di Sassari perché gli comunicasse il suo personale apprezzamento.
Più ampia incidenza ebbero le ricerche naturalistiche del Cetti da ritenersi le prime sistematiche sulle peculiarità dell’habitat e delle specie sarde.
La Sardegna era ancora avvolta, quanto agli aspetti geologici, floristici e faunistici, in un alone d’indeterminatezza che consentiva il persistere di leggende, sia di carattere popolare sia derivanti dagli acritici trattati dell’epoca medievale: il Cetti iniziò a percorrerla tutta, le possibilità minerarie (nelle zone di Bosa e Silanos estrasse campioni di marmi colorati che inviò a Torino; a Bosa trovò anche del diaspro verde, e presso Alghero del calcedomio bianco), e concependo il progetto d’una descrizione globale della fauna sarda, concretatosi nei tre volumi della Storia naturale della Sardegna.
Dei tre volumi, il primo (Sassari 1774) tratta I quadrupedi di Sardegna; il secondo Gli uccelli di Sardegna e il terzo Anfibi, e pesci di Sardegna.
Al primo volume vennero premesse una carta ed una descrizione dell’isola, dove si annunciava che l’autore stava lavorando ad una storia dei fossili sardi; in effetti dopo la pubblicazione del terzo volume il Cetti si dedicò alla stesura di parti aggiuntive su fossili e insetti, ma morì prima di poterle completare, cosicché non vennero stampate.
Nonostante la novità ed il discreto successo riscosso dall’opera non se ne ebbero ristampe: il solo primo volume sarà ripubblicato nel 1884 a Roma.
Da un punto di vista storico-scientifico va osservato che i criteri classificatori cui il Cetti ricorse sono prelinneani, e sostanzialmente fermi a quelli della sistematica zoologica rinascimentale italiana; che il suo esame non è completo, concernendo le specie ritenute “interessanti”, indice questo evidente della persistenza di canoni soggettivi estrinseci al discorso sistematico modernamente inteso (con il risultato che l’opera ha vistose lacune, specie nei settori ornitologico e ittiologico); che l’analisi di ciascuna specie risulta spesso incompleta, volta ai caratteri distintivi più vistosi, ciò che collega l’autore a uno stadio del pensiero biologico precedente a quello in via di affermazione alla sua epoca, e non tale da consentirgli di connettere i caratteri esteriori ai dati anatomici essenziali dell’animale considerato, ed ancor meno ai meccanismi fisiologici di fondo.
Da un punto di vista meno rigoroso e specialistico ma più atto a cogliere l’effettivo impatto della Storia del Cetti sull’evoluzione culturale del periodo, l’opera manifesta un suo ruolo preciso e rilevante nell’approfondimento e divulgazione di conoscenze su una zona fino ad allora sottratta ad investigazioni non casuali.
L’appartenenza del lavoro del Cetti a questa dimensione illuministica delle scienze naturali è mostrata dallo stesso taglio delle sue analisi e descrizioni, in cui, oltre ai dati anatomici e di comportamento sulle singole specie, se ne considera l’habitat, le consuetudini nutritive, i modi eventuali di cattura e addomesticamento, e tutte le modalità d’inserimento degli animali entro la struttura economica sarda.
Appare chiaro che rispetto a questa più ampia prospettiva, entro cui occupa un posto pionieristico non per la sola Sardegna, ma per tutte le grandi isole del Mediterraneo, il lavoro del Cetti ha una importanza cui poco tolgono le limitazioni tecniche sopra accennate; esso agì sulle consuetudini delle popolazioni locali (a parte talune critiche negli ambienti colti, dovute forse a resistenze nei confronti dello “straniero”), tanto che settant’anni dopo la sua pubblicazione M. Monti osservava che pescatori e cacciatori sardi sembravano ancora seguirne le notizie.
Quanto detto non sta a significare che la Storia fosse scientificamente modesta e neppure che la sua importanza sia stata esclusivamente divulgativa ed applicativa: essa conteneva descrizioni di specie prima poco o per niente studiate, come il muflone, ed è degno di menzione il tentativo di considerare i caratteri delle specie domestiche dell’isola ed i modi della loro utilizzazione in funzione di un chiarimento delle origini e della protostoria sarda; utilizzando questi elementi, unitamente ai costumi locali, il Cetti si pronuncia per l’origine greco-orientale della colonizzazione.
La vita del Cetti, negli anni sardi, pare essersi del tutto identificata con l’attività didattica e le peregrinazioni naturalistiche in tutte le zone dell’isola, senza particolari personali di rilievo.
Secondo il Sommervogel morì a Sassari il 20 novembre 1778.
CITAZIONI di Francesco Cetti sul “muflone”
Mi trovo giunto al quadrupede più rinomato della Sardegna, l’unico più raro finora, e che fa la Sardegna medesima rinomata, il Muflone. Non sono però le sue corna piene, né decidue; onde non appartiene al genere de’ cervi, e chiunque il fe cervo, o daino, non conobbe il muflone, o non conobbe i cervi; vuote dentro, sono rugose fuori, triangolari, convolte in ispira, in sostanza prette corna da montone. Appresso Linneo pertanto, il quale distribuisce il suo ordine sesto secondo le corna, il muflone non istà bene nell’articolo della capra, e conviene abbassarlo sotto il titolo della pecora; ma Linneo si mette al corpetto d’ogni rimprovero, mettendo al suo muflone la croce, protesta di non ben conoscerlo. Maggiore regolarità si trova nelle corna del muflone, che non in quelle del montone; tutta la loro stortatura istà d’ordinario quasi in un pian medesimo, sono in linguaggio geometrico corna a semplice curvatura.
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