DA SAMUGHEO, LA SFIDA DEL TAPPETO SARDO DI MARIANTONIA URRU E LA PRESENZA AL SALONE DEL MOBILE DI MILANO 2025

Mariantonia Urru

L’ufficio stampa del Salone del Mobile.Milano 2025, usa l’eufemismo: “quadro di incertezze globali” per definire il casino megagalattico che hanno provocato al mercato mondiale le alterne dichiarazioni di “The Donald”: “dazi sì, dazi no, anzi forse e tra tre mesi, ma soltanto pei cinesi”. Ma vedrete che il ragazzo (mi permetto solo perché anche lui come me è del’46) a oggi, si rimangerà anche questo, è del tutto evidente che non ha letto il libro di Alessandro Aresu: “Le Potenze del Capitalismo globale” (  del resto pare che niente legga, per sapere del mondo guarda solo l’amata Cnn), dove è ampiamente spiegato quanto la Cina sia “leader” nella raffinazione delle terre rare ( il 90% di quelle totali), e quanto siano particolari le lavorazioni che permettono di ottenere prodotti puri da tonnellate di terra grezza che ne contengono percentuali infinitesime. Curioso di vedere dove e come gli yankees troveranno l’ossido di disprosio indispensabile per applicazioni avanzate come i motori elettrici, i sistemi di guida e i componenti per la difesa. Comunque vada a finire, le preoccupazioni degli operatori del salone milanese erano rivolte soprattutto alle “primarie dichiarazioni”, che prefiguravano dazi al 145% sui mobili d’importazione verso gli States. Da qui un leggero panico che serpeggiava in tutte le conversazioni, del salone e del fuori salone. 2013 espositori di 37 paesi, gli espositori esteri pari al 68% delle presenze e, udite udite, la “Top 10” dei paesi esteri di provenienza è guidata proprio dalla Cina, seguono staccate Germania e Spagna.

Per la città di Milano il salone è come fosse droga che si respira nell’aria (droga leggera, per carità) che tutto e tutti sconvolge e euforizza per i tre giorni canonici di esposizione. Ci sono in giro centinaia di “eventi”, la città stessa mette a disposizione ogni sito disponibile, pur prestigioso che sia, il sapere diventa esperienza sensoriale, l’artista britannica Els Devlin porta nel cortile che unisce la Pinacoteca, la Biblioteca Braidense e l’Accademia di belle Arti di Brera, un’istallazione cinetica luminosa, che ospiterà anche talk e incontri. Qui Devlin ha immaginato un dispositivo poetico e percettivo: un cilindro di 18 metri di diametro, composto da scaffali illuminati che ospitano oltre 3200 libri. Durante il giorno la struttura ruota e un grande specchio inclinato in cima rifrange la luce naturale, facendo rimbalzare i raggi del sole su porzioni d’edificio che sino a oggi erano rimaste in ombra. Di notte, le luci artificiali trasformano l’intera installazione in una macchina teatrale di riflessi mobili e onde danzanti. E per vedere la “Pietà Rondanini” di Michelangelo all’interno del Castello Sforzesco, illuminata dal regista e drammaturgo texano Robert Wilson e rinominata “Mother”, è difficile persino trovare una prenotazione in tempi decenti.  Anche per trovare un singolo espositore al Salone “principale” di Rho Fiera serviva una vera e propria mappa, io che cercavo il “brand” M/U: Mariantonia Urru da Samugheo ho dovuto percorrere ben 21 grandi spazi espositivi fino all’ultimo di tutti: il 22°, categoria: “Complementi d’Arredo”. 

Una volta lì però un incanto si è materializzato: voltato l’angolo lasciando alle spalle marchi prestigiosi di stand rutilanti di luci, ti affacci su uno spazio aperto che, a tutta parete, offre un tappeto di lana di pecora sarda, in cui il colore bianco e il nero pare siano in lotta per prevalere l’uno sull’altro, seguendo percorsi sinuosi ché, l’artista tedesca che l’ha disegnato, ci vede un segno di questi tempi in cui la sopraffazione dell’uomo sulla donna non vuol decidersi a passare. Me lo dice Giuseppe Demelas, “Executive Sales Manager”, come recita il biglietto da visita che rubo dal lungo tavolo centrale zeppo di cataloghi e pezze di lana di svariati colori, intorno grandi rettangoli spessi di lana bianca, accatastati a comporre comodi divani, pezzi più piccoli stretti al centro: sgabelli altrettanto invitanti, sempre di lana bianca. Alle altre pareti sempre tappeti ma meno imponenti del frontale, quasi tutti comunque in toni di nero e bianco e grigio, dai disegni astratti che si perdono nella trama.

Giuseppe Demelas è figlio di quella Mariantonia Urru che, alla fine degli anni settanta del secolo scorso, ha messo su l’azienda in quel di Samugheo, paese che non arriva a fare tremila abitanti, provincia di Oristano, la zona era nota come “Brabayanna” (porta della Barbagia), in quel Mandrolisai in cui spiccano monti solitari e selvaggi e una successione di gole, dirupi e imponenti pareti rocciose. Non è un caso che lo stemma del paese, diviso in due, riporti in alto un telaio dorato, nella parte sottostante un castello a due torri, forse quello di Medusa di epoca bizantina, oggi alquanto diroccato peraltro. Le “domus de janas” che lo costellano, quelle di Spelunca Orre in trachite rosa, raccontano dei nuragici che popolarono il territorio che allora doveva essere ancora più ricco di boschi di querce in cui scorrazzavano lepri e conigli e volpi e cinghiali. In effetti, quando ho chiesto a Giuseppe Demelas, da quanti anni esiste la ditta fondata da sua madre, mi ha risposto sorridendo: “tremila anni”. Rimarcando una volta di più che i tappeti fatti da loro sono intrinsecamente intrecciati alla tradizione sarda, e la decisione di lavorali sempre con lana proveniente da pecore sarde ne è precondizione.

Mi dice Giuseppe che un anno sono arrivati a lavorare il 5% di tutta la produzione di lana di pecora dell’isola. Ricordandomi che la lana di pecora è “rifiuto speciale” ed è difficile sin da smaltire, quando è in eccesso, non si può neppure bruciare. Loro la usano per fare un po’ di tutto, non solo tappeti, persino in bioedilizia, o per mobili imbottiti, mi fa notare una borsa grigia in orbace, posata indolentemente sul pavimento, a targa M/U, assolutamente impermeabile, dallo stile impeccabile, a occhio capace di contenere una decina di racchette del buon Sinner. Motore del tutto è ancora mamma Mariantonia che a tessere tappeti ha cominciato a quattordici anni, e chi non tesseva tappeti a Samugheo nei primi anni cinquanta? Tecnica detta “a pibiones”, settimane di lavorazione al telaio artigianale per un singolo tappeto, pibiones (acini d’uva) è il nome dato ai piccoli anelli di filato che sporgono dalla superficie del tessuto formando un disegno. La precisazione, come è ovvio, solo ad uso esclusivo di continentali carenti di lingua sarda. Mariantonia Urru è del ‘44, per le sue nozze, non ancora compiuti 23 anni, un corredo sontuoso di lenzuola, coperte, tovaglie, tutte fatte da lei; poi sono nati quattro figli, tutti maschi, ha atteso che il più piccolo compisse sei anni e anche lui se ne andasse a scuola, tre di loro sono poi diventati ingegneri, e “si è presa un telaio”.

Lavorava in una ex stalla attigua all’abitazione, prima dimora dei vitelli dell’azienda agricola di famiglia. Ma quando l’attività ha preso piede, i telai sono aumentati, come le ragazze del posto assunte per lavorarvi, gli “ingegneri di famiglia” hanno progettato e realizzato un locale di due piani, ognuno di 500 metri quadri, nel cortile antistante la casa. Ad ora in tutto ci lavorano una ventina di persone, mi dice Giuseppe, e accanto ai telai manuali, hanno anche quelli jaquard, con pannelli “touch screen”, che velocizzano il lavoro e sono utili anche per ottenere la certificazione ignifuga indispensabile per arredare strutture alberghiere. Gli arredi dell’albergo di Piscinas “Le Dune”, che si erge a unico solitario manufatto della spiaggia dorata della Costa Verde, sono roba loro. Ma il loro “mercato alberghiero” oramai si spinge in Australia, Stati Uniti, Inghilterra e Germania. La collezione “Pharos”, tinto in pecora, è molto piaciuta anche in Arabia saudita. Vendono sin in India, dove tentano di copiare il loro prodotti, ma per ora non ci sono riusciti. Il mercato cinese dai numeri infiniti è il sogno nel cassetto, ma ci proveranno perché, dice Giuseppe, il segreto del nostro successo, che si vale della collaborazione di numerosi design italiani e stranieri, consiste nel riuscire a immaginare cosa “il mercato” apprezzerà domani, e noi lo stiamo già predisponendo oggi.

C’è un flusso costante di gente che guarda, tocca, interroga, a rispondere, perlopiù, è Sarah, che sfoggia un italiano impeccabile arricchito da un accento campidanese altrettanto sontuoso, e altrettanto fluidamente parla in tedesco, l’altra sua lingua madre, chè di cognome fa Nonnenmacher, cognome di papà, la mamma sarda cagliaritana, lei è nata a Monaco di Baviera e da qualche mese si è trasferita in Sardegna. A Dolianova sta ristrutturando la vecchia casa di famiglia. Ha scelto di tornare a vivere dai parenti di mamma, anche se in Germania già lavorava col padre, che è stuccatore e disegnatore in rilievo di pareti, con un uso artistico dell’intonaco. Un po’ artista lo è anche lei, a Monaco ha esposto alcune delle sue opere. Qui descrive i disegni scolpiti sui tappeti appesi alle pareti, 950 euro al metro quadro per quello centrale della designer tedesca, 850 per quello della designer cilena, ma ce ne sono anche di 300 euro al metro quadro. Naturalmente parla anche inglese, e un po’ di spagnolo. Monaco, mi dice, è certo una gran bella città che ti offre molte opportunità, ma la vita che ti offre la Sardegna, è tutta un’altra cosa. E poi, vuoi mettere l’opportunità di condividere la sfida del tappeto sardo di Mariantonia Urru, che rinnova la tradizione isolana senza mai rinnegarla, ma rimanendoci attaccata tenacemente se ne fa forza aggiuntiva, con alle spalle una tradizione millenaria.

Si legge in “Miele amaro” di Salvatore Cambosu, delle tessitrici isolane che nella libertà di guardarsi intorno nelle loro contrade ne onoravano erbe e gli animali e i colori, l’anima. Ma era più forte di loro il dare testimonianza d’essere discese “dalla stessa dinastia”. Nella mia edizione dell’89 per Vallecchi, a pag.105: “Appo intesu sonu ‘e telarzu/ e sa bidda non pariat piùs morta…”.

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Un commento

  1. Andreina Desogus

    TUTTE LE PAROLE BELLE PER TE …

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