
Nicola Grauso
di VITO BIOLCHINI
Come tutti coloro in cui il genio si accompagna alla ricchezza e soprattutto al potere, anche Nicola Grauso sapeva benissimo che il suo coraggio e le sue straordinarie intuizioni imprenditoriali lo avrebbero salvato da alcuni giudizi severi che sarebbero discesi sulla sua persona, se solo a esprimere un parere fossero state non dico persone mai beneficiate in alcun modo da lui, ma anche osservatori poco inclini al fascino dell’uomo “visionario” e “geniale”, quale egli indubbiamente era.
Ma è evidente che agli uomini di potere si perdona ciò che alle persone normali non viene minimamente consentito, e il ricordo pubblico risente ora di questa terribile distorsione, raccontando più che del “de cuius” (i cui fatti salienti della sua esistenza pubblica sono lì, davanti a noi, se solo li si vuole vedere nella loro interezza), dell’insopprimibile vocazione servile di troppi.
Ma se non si è legati allo scomparso da vincoli di sangue o amicali, o se non si è preso parte senza vergogna alle sue avventure da corte rinascimentale, non ha molto senso (se non per la vocazione clientelare di cui sopra) raccontare oggi un Nicola Grauso a metà, come se la sua vita, dopo le grandiose cavalcate negli anni settanta nelle praterie della nascente emittenza radiotelevisiva privata, si fosse fermata a Video On Line.
Perché Grauso, in un preciso momento della sua esistenza, non è stato un semplice editore ma è stato soprattutto un editore che ha preteso di piegare alle sue ambizioni imprenditoriali (legate al futuro della cartiera di Arbatax) tutta la linea del maggiore gruppo isolano di cui era proprietario, stravolgendola e con essa stravolgendo tutto l’ecosistema dell’informazione sarda e terremotando il sistema politico e istituzionale.
Da 1994 in poi, anno in cui da imprenditore con simpatie a sinistra decide sorprendentemente di salire sul carro del berlusconismo nascente, Grauso opera una azione devastatrice contro le regole della informazione, sfasciando ogni equilibrio codificato, ogni regola che garantiva l’equilibrio tra proprietà e redazione.
Così come Berlusconi in quegli anni trasformava “Il giornale” di Montanelli in un ariete contro la magistratura e a difesa dei propri interessi, allo stesso modo Grauso provava a piegare ai suoi voleri la redazione dell’Unione Sarda, che però si ribellò, e con essa anche l’Associazione della Stampa Sarda, il sindacato dei giornalisti, e buona parte della società civile.
Furono anni durissimi, in cui Grauso decise anche di farsi un partito tutto suo (“Il Nuovo Movimento”), ruota di scorta del centrodestra berlusconiano, e con la complicità della direzione di Antonangelo Liori e di altri giornalisti innalzati a incarichi di prestigio quasi sempre solo in virtù del loro servilismo, offrì ai lettori una visione stravolta della realtà, tutta piegata alle sue esigenze politiche e imprenditoriali, conducendo il giornalismo sardo nel baratro.
L’Unione Sarda di Grauso e Liori attaccava ogni giorno la giunta regionale di centrosinistra e la magistratura con toni terribili, destabilizzando le istituzioni e l’opinione pubblica. Chi oggi, soprattutto nel mondo politico e culturale, glorifica Grauso, che valutazione dà di quegli anni?
A quel delirio si aggiunse, come se non bastasse, l’incredibile coinvolgimento dell’editore nelle vicende legate al rilascio di Silvia Melis, una giovane di Tortolì vittima di un sequestro di persona. Che cosa lo portò a impelagarsi in quella vicenda rimane ancora oggi un mistero. Ma la questione poi assunse toni ancora più drammatici, perché il giudice Lombardini si uccise nel suo ufficio di piazza Repubblica e per quelle vicende legate al rilascio Grauso finì sotto processo a Palermo. Una vicenda pazzesca, che molti oggi preferiscono non ricordare.
Alla fine poi Grauso perse il gruppo Unione Sarda e si fece da parte. Dopo anni tornò in pista con una nuova iniziativa editoriale (“Il giornale di Sardegna” e gli altri quotidiani del gruppo ePolis) e si dedicò con successo alla riqualificazione immobiliare del quartiere cagliaritano di Villanova.
Ceduta ePolis, tornò nel silenzio, lontano dal suo passato e da tutte le polemiche possibili.
La sua ultima intervista, generosamente concessagli dal suo ex giornale all’indomani di una severa e inaspettata condanna in primo grado per il crack di ePolis, ci ha offerto pochi mesi fa l’immagine di un uomo lucido e generoso, sofferente anche per la consapevolezza di aver potuto affrontare la malattia, a differenza della stragrande maggioranza delle persone, col privilegio di chi poteva disporre di risorse economiche non indifferenti.
Ma oggi come mettere assieme nello stesso giudizio il Grauso visionario con il Grauso devastatore? L’imprenditore di successo e quello spregiudicato? L’uomo generoso e il politico modesto? Come ricordare il primo senza dimenticare il secondo?
Che terribile mistero che è la vita.
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