
di SERGIO PORTAS
Anche quest’anno sono stato uno dei visitatori (52.000) di “Fà la cosa giusta”, che in occasione del suo essere diventata maggiorenne come quando accadeva nel nostro paese fino al 1975, siamo alla 21 edizione, non fa pagare biglietto alcuno e l’evento è spostato alla fiera “grande” di Rho, sinonimo di espansione e di buona salute, economicamente parlando. Il numero degli espositori cresce, come quello degli “eventi”, delle presentazioni e dibattiti vari. Cosa volete che vi dica, sono contento che qualcuno pensi che ancora si possa “salvare il pianeta”, che l’homo sapiens si fermi prima che accada l’irreparabile aumento di temperatura che ci porterà a un aumento irreversibile, quello che non si fermerà neppure se in ogni angolo della terra si smettesse di accendere un fuoco seppure di legna secca, non parliamo di gas e petrolio. Del resto l’ultimo matto che hanno eletto negli USA a queste cose non ci crede proprio: “Driil, baby, drill”, trivella, bellezza, trivella, estrai più petrolio che puoi, immetti acqua a fortissima pressione nel sottosuolo e fai sgorgare anche quello da scisti bituminosi, che in questo modo non dipenderemo più dalla carità né dei russi né dei sauditi di ogni colore.
E per quanto riguarda anche la preziosissima acqua, le più grandi riserve del mondo sono a portata di mano, appena dopo il confine canadese, che cadrà prima o poi perché un’altra stella, la cinquantunesima, possa apparire sulla bandiera con le strisce, e tutti saremo più felici e contenti. Da queste parti invece pensano che si possa vivere in altro modo, tutto viene riciclato, persino gli ombrelli vecchi, ogni scarto di sartoria si muta in nuovo vestitino alla moda, c’è grande dispendio di legno per giocattoli “alternativi”, si cura la pelle con cera d’api che, beate loro, vanno saziandosi di fiori primaverili che non conoscono fitofarmaci da mai, oppure si fa arrivare dal Marocco l’olio di Argan, ottenuto in maniera artigianale dai semi dell’argania spinosa che, a sentire chi lo mette in commercio: la “Sargasens”, cresce solamente nel Suss marocchino e sono raccolti a mano dalle donne berbere , con l’olio hanno anche una crema e un siero alla bava di lumaca. L’amaro Rubino è un liquore bio ottenuto con miele locale e erbe delle Prealpi. Nel 2022 vince il premio come Miglior Liquore d’Erbe del Mondo! Insomma qui tutto è bio, e tutti vanno lentamente, per lo più a piedi e in bicicletta, il numero dei viandanti annuali sul cammino più famoso del mondo, quello che porta a Santiago de Compostela, si avvicina a sfondare la barriera dei 500.000.
Che l’offerta dei cammini italiani sia decollata non fa certo sorprendere, si punta a lucrare almeno un po’ di cotanto “business” perché, è innegabile, l’andare a piedi per posti perlopiù incantevoli quando sai che alla fine della giornata, per faticosa possa essere stata, troverai da dormire e da mangiare i prodotti che vengono dal territorio circostante, è davvero un turismo da ricchi, il turismo del futuro. E gli anni scorsi i click su internet, che sono andati a investigare le bellezze del “Cammino di Santa Barbara” in Sardegna, sono stati tra i più numerosi in assoluto di quelli italiani. Alla cosa giusta milanese sono presenti vari cantori di questa terra, Piero Virdis che nelle campagne di Ittri (valle dei Giunchi) coltiva olio, carciofi del tipo spinoso, pomodori da farne passata, è qui col figlio e sembra molto contento dell’esperienza che stanno vivendo assieme. La fortuna l’hanno già trovata nell’isola quelli di “Bresca dorada”, favo dorato, come quelli delle api per cui è nata l’azienda, 1985 o giù di lì.
In quel di Muravera, Sardegna sud orientale a un tiro di schioppo da Villasimius, le montagne dei Sette Fratelli a fare da sfondo. Paolo Melis, uno dei due cofondatori, lui è quello che si occupa dell’organizzazione e le vendite, me lo racconta e un po’ gli si illuminano gli occhi, pensando ai suoi inizi di ragazzo senza arte né parte; i suoi da Genoni dove anche lui è nato, alta Marmilla quindi, con la Giara dei cavallini dietro le spalle, all’età dei suoi nove anni si sono trasferiti a Cagliari. Poco più che ventenne insieme ad un socio (Enrico Diana) all’inizio ha messo su un certo numero di alveari nel Serrabus che vi dicevo. Poi è arrivato il mirto (sempre dolcificato col miele), prima poche bottiglie e poi sempre di più, specie quando a loro si è interessata la mitica Esselunga, ora oltre vari tipi di mirto, dal rosso al verde e all’amaro, fanno gin e vermut, caratterizzati sardi, qualsiasi cosa voglia dire, e liquore di d’arancio e di limone e al sapore di fico d’india. E anche un mucchio di marmellate e composte e succhi e spremute, di mirto e di mele cotogne e di fichi d’india.
Nello Stand della regione Sardegna, Valeria Masala tesse al telaio verticale un inconfondibile tappeto con le fiamme di Nule, lana di pecora sarda colorata artificialmente, sono sempre di meno le donne che a Nule si dedicano all’arte del tappeto mi dice, Salvatore Cambosu nel suo “Miele amaro” descriveva magicamente il suono del battito dei telai che scandiva il tempo nei piccoli paesi sardi di fine novecento. Ora per vedere cosa fa Valeria Masala a Nule, basta cliccare sulla tastiera del computer: Deincantos (incanti fatti di pezzi), qui molti si fermano incantati di tanta maestria e bellezza che viene creata magicamente. E altrettanti partecipano al laboratorio di Rosalba Piras, da San Vero Milis, che mostra loro cosa si po’ fare con un mazzo di giunchi sapientemente intrecciati. Per vedere sul web le sue borse di giunco: www.erredirosalba.it. Appena dietro, Mariano Lo Piccolo (il cognome dal babbo siciliano) lui di Santu Lussurgiu, quest’anno mossiere de “Sa Carrela ’e Nanti”, la spericolata corsa a pariglia di cavalli di carnevale tra le più spericolate dell’isola, descrive a un numeroso pubblico cosa sia il Gal “Terras de Olìa”. A sentire Daniela Carboni che ne è la direttrice, la fiera milanese per loro è stata un grande successo.
E Gian Battista Ledda, che ne è presidente, mi parla a lungo delle 14 aziende che ne fanno parte, dei corsi di laurea sul biologico che si tengono a Oristano, dello zafferano di Cuglieri. Nel mentre assaggio una delle loro panade della ditta “Oros de domo”, www.orosdedomo.it , e sorseggio un rosatello niente male della “Mattarena” di Nurachi, www.mattarena.it, mi parlano della bontà del casizolu che le donne fanno dal latte di mucca che non viene fatto cuocere. Un “unicum” per tutta la Sardegna. Del pane “bistoccu” di Flussiu. Delle escursioni sul Montiferru di Cuglieri. Cui si dedicano guide di provenienza davvero insolita: Helga Jonsson, di Cuglieri e del suo territorio si è proprio innamorata, lei che è svedese e che per anni veniva in Sardegna solo a raccogliere olive e fare fotografie. Ha finito per restarci e mettere su famiglia con uno del posto, tanto che hanno due bimbe gemelle di sette anni che ben si esprimono in italiano, svedese e sardo. Arrivano gruppi anche dalla Svezia ovviamente, grazie al passa-parola di Helga, per una settimana, mi dice, li faccio vivere alla sarda. Angela Casule, anche lei di Cuglieri, ha acquistato e restaurato una casa nel centro storico, “Borgo Prima Luce”, solo quattro camere, magnificamente arredate, per un’esperienza di autentico coinvolgimento nella vita di tutti i giorni. Angela che mi dice “mai stata capace di imparare quella lingua di veri barbari che è l’inglese”, naturalmente fa anche panadas: “raccogliamo erbe, cuciniamo e mangiamo”.
Francesca Masia nella sua azienda agricola ha una fattoria didattica (con corsi non solo per bambini, ma anche per grandi, che anche loro debbono imparare ancora) e laboratori esperienziali (tipo che tutti si mettono a fare formaggio).
Due fungaie di funghi cardoncelli di cui ha qui magnifiche foto, ti viene voglia di dargli un morso tanto sono carnosi, ma la morte loro è quella classica con aglio e prezzemolo. L’azienda è portata avanti da lei e suo marito Mario, e sta andando bene, hanno alveari che producono buon miele e due bimbe che, grazie a dio, parlano anche in sardo. Qui a Milano espone un libro fatto di lana di pecora che attira la gente come il suo miele le mosche. Ed è piacevolmente stupita di imbattersi in frotte di visitatori che si dicono entusiasti del modo di vivere dei suoi paesani, della sua famiglia. Fattoria didattica anche per l’azienda “Famiglia Orro” di Tramatza, mi dice Maura Orro, laureata in architettura ( ma il fratello ha laurea in agraria) che il padre era ferroviere, loro coltivano i vitigni locali di vernaccia di Oristano e Nieddera, olivi autoctoni di Nera di Gonnos e Tonda di Cagliari, mi offrono un assaggio di “Oìa Pistada, una delle loro conserve alimentari per cui hanno fatto anni di sperimentazione, erbe selvatiche e olive verdi pestate a mano e denocciolate in olio extravergine di oliva.
Le vendono sin in Giappone, grazie a un paesano che si è sposato a Sapporo e ora vive lì. Dell’azienda agricola Cosseddu, di Seneghe, assaggio l’olio come fosse un bicchierino di liquore, ha un gusto molto particolare e fruttato. E’ un “blend” ottenuto dalla mistura di olive tipo “Bosana”, la prima a essere raccolta, a seguire la “Tonda” ed infine la “Semidana”, per tutte e tre spremiture a freddo dopo otto ore dalla raccolta. Da assaggi e tentativi e dall’unione dei tre oli si ottiene il pluripremiato “Sartos”. Abbiamo, mi dice Anita Cosseddu, anche una buona produzione di lenticchie e ceci, biologici “sa va sans dire”. Dalla foto di gruppo che faccio a quelli del GAL, spicca in altezza e magrezza l’assessore all’ Agricoltura Franco Cuccureddu, per il resto il gruppo è formato quasi tutto da donne, le donne di Sardegna, una più tosta dell’altra.