LA COLONIA PENALE DI CASTIADAS, UNA STORIA DI REDENZIONE, LAVORO E MEMORIA: LA TESTIMONIANZA DEL 96ENNE POERIO BENEVIERI

la moglie Eva Spina con Poerio Benevieri

Era la metà dell’Ottocento quando il Ministero dell’Interno scelse di riscrivere il destino di un angolo remoto della Sardegna. Castiadas, nella costa sud est della Sardegna, era allora un lembo di terra inospitale: paludoso, insalubre, minacciato dalla malaria e abbandonato a sé stesso. In questo scenario, venne istituita una colonia penale agricola, con un duplice scopo: da una parte, offrire ai detenuti la possibilità di riscattarsi; dall’altra, bonificare e rendere produttiva una zona che da troppo tempo versava in condizioni di degrado. 

L’11 agosto 1875, trecento detenuti sbarcarono sulla Spiaggia solitaria di Cala Sinzias. Il mare alle spalle, davanti a loro solo la fitta macchia mediterranea e il silenzio assoluto, presero a inoltrarsi in una terra selvaggia, decisi ad aprire un varco nel fitto della vegetazione. 

Solo due anni dopo, quel piccolo insediamento divenne il nucleo da cui avrebbe preso vita una delle colonie penali più grandi e importanti di tutta Italia: la Colonia penale di Castiadas. La sua costruzione si sviluppò rapidamente, grazie all’efficienza e all’impiego dei detenuti, i quali, attraverso il lavoro agricolo e manuale, contribuirono a trasformare il territorio circostante. Negli anni la colonia crebbe, si strutturò, diventò una realtà agricola, viva e produttiva. Il terreno, che una volta era paludoso e malsano, venne bonificato e trasformato. Si impiantarono vigneti, oliveti, alberi da frutto e, accanto alla coltivazione di cereali, nacquero le basi per una vera e propria azienda agricola. Il lavoro dei detenuti non riguardava solo la terra, ma anche la cura delle strutture: la palazzina della direzione, la villa del Direttore, le officine, la falegnameria e le stesse strutture carcerarie. La colonia non era un semplice luogo di detenzione, ma una vera e propria comunità autosufficiente e vitale. Vi era un ospedale, con pronto soccorso e farmacia, a servizio dei detenuti, agenti e impiegati, un ufficio postale permetteva la comunicazione con l’esterno. 

In totale, tra detenuti, guardie impiegati e le rispettive famiglie la colonia ospitava circa mille persone.  

E proprio lì, a distanza di decenni, avrebbe vissuto un’esperienza intenza e formativa il signor Poerio Benevieri. 

Poerio arrivò a Castiadas in giovane età, quando fu assegnato alla colonia penale. Aveva studiato, imparato a usare la macchina da scrivere, la calcolatrice, e tutto quel bagaglio si rivelò subito prezioso. Lavorava negli uffici, con turni regolari di otto ore, in un ambiente che ricorda con parole semplici ma sincere: “un clima sereno, tranquillo, quasi familiare”. 

La colonia si estendeva su circa ottomila ettari di campi e boschi. Era una vera e propria azienda agricola, dove i detenuti erano impiegati in una varietà di mansioni: coltivavano ortaggi, allevavano maiali, accudivano animali, si occupavano della pastorizia. 

Alcuni venivano accompagnati e sorvegliati dalle guardie durante il lavoro, altri, in possesso di un “passaporto” potevano muoversi in autonomia, entro i confini stabiliti. Non c’era una sorveglianza ossessiva, ma fiducia e un equilibrio raro tra custodi e custoditi, basato sul rispetto e sul senso di responsabilità. 

Nel tempo libero, il personale si ritrovava nella cosiddetta “sala convegni”, un luogo modesto ma prezioso. Si giocava a ping pong, si parlava, si cercava di ingannare il tempo. Le uscite erano rare, ma talvolta ci si spingeva sino a Muravera, dove una grande sala da ballo offriva un’occasione per socializzare. Ed è proprio lì che il Signor Poerio conobbe Eva Spina, la donna che sarebbe diventata sua moglie. Un incontro fortuito che avrebbe cambiato per sempre il corso della sua vita. 

La vita nella colonia non era priva di contraddizioni. Nonostante le condizioni dignitose, alcuni detenuti tentavano comunque la fuga. Alcuni riuscivano a dileguarsi, altri venivano ritrovati nelle campagne o nelle case dei dintorni, dove si erano spinti a chiedere vestiti civili, per sostituire i pigiami che li rendevano immediatamente riconoscibili. A volte erano gli stessi abitanti a segnalare la loro presenza, altre volte li riportavano indietro come se si trattasse di un parente smarrito. 

La popolazione aveva con la colonia un rapporto stretto, vi si recava per acquistare i prodotti agricoli, frutto del lavoro dei detenuti. L’azienda penitenziaria era un punto di riferimento per l’approvvigionamento dei beni alimentari e materiali, e non era raro vedere clienti abituali transitare tra i campi e le strutture.  

Non c’erano punizioni esemplari per chi fuggiva: chi veniva ritrovato tornava semplicemente a svolgere il proprio lavoro. Questo perché il carcere di Castiadas non era pensato come un luogo di esclusione, ma come opportunità di riscatto. I detenuti restavano anche dieci anni, ma imparavano un mestiere, contribuivano alla vita della comunità e, spesso, si reinserivano nella società con rinnovata dignità. 

Dopo alcuni anni di servizio, circa cinque o sei, il Signor Poerio fu trasferito. Prima in Piemonte, dove per alcuni mesi svolse mansioni di custodia, poi in un’altra sede dove riprese il suo lavoro d’ufficio. In quel periodo sentì forte il desiderio di completare il proprio percorso formativo: ottenne la licenza media, si iscrisse alle scuole serali di ragioneria e, con impegno e determinazione, conseguì il diploma. 

Insieme alla moglie si trasferì in toscana, dove costruirono la loro casa e la loro famiglia. Ebbero due figli, e nel tempo arrivarono anche cinque pronipoti. 

Una vita piena, semplice e autentica, costruita su quei valori che lo avevano accompagnato fin da giovane: il rispetto, la dedizione al lavoro, la fiducia nel cambiamento. 

Oggi, a distanza di tanti anni, il signor Poerio parla ancora della colonia di Castiadas con emozione. “Quegli anni mi hanno lasciato un’impronta indelebile”, dice. e nei suoi occhi, quando racconta, si intravvede qualcosa che va oltre il ricordo: è il segno di un’esperienza umana profonda, in un luogo dove uomini, terra e destino si sono intrecciati in un cammino silenzioso di riscatto. 

Incontrare il Signor Poerio, che oggi ha novantasei anni, essere accolta nella sua casa e sedermi ad ascoltare i suoi ricordi è stata un’esperienza preziosa e profondamente toccante. Mi sono immersa nei suoi racconti come in un tempo sospeso, in cui le sue parole restituivano immagini vive e autentiche di un mondo che oggi non esiste più, ma che ha lasciato tracce forti. È stato come vivere, attraverso la sua voce, quegli istanti di quotidianità, di lavoro di incontri, di umanità condivisa nella colonia penale di Castiadas. 

Oggi, insieme a sua moglie, originaria di Muravera, viene a trascorrere i suoi mesi invernali. E nonostante il tempo passato, resta vivo in lui il desiderio di tornare a visitare i luoghi che lo hanno ospitato durante un periodo tanto significativo della sua vita lavorativa: le carceri, i campi, gli edifici, i sentieri percorsi ogni giorno. Spazi che, pur nel tempo della memoria, continuano a parlargli con la forza di un legame profondo. 

Queste memorie, tramandate con lucidità e sentimento, sono un dono raro. Credo sia fondamentale custodirle e restituirle alla realtà presente. Perché testimonianze come queste sono ponti tra generazioni, tra ciò che è stato e ciò che ancora può insegnarci. È stato un incontro che mi ha lasciato dentro qualcosa di vero, semplice, ma profondo. Un frammento di vita che continua a vibrare nel ricordo. 

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7 commenti

  1. Complimenti👍💯

  2. Stupendo articolo.. buon pomeriggio anima speciale 🙏

  3. Zio Poerio🥰

  4. Elisabetta Casula

    Un racconto “affascinante” ❤️❤️

  5. Articolo bellissimo come lo zio Poerio e Zia Eva !🤗 complimenti dalla nipote Toscana ! 💞

  6. Rossella Coltorti

    Una bellissima storia di riscatto che davvero meritava di essere raccontata, grazie per questa bella, intensa e profonda testimonianza, che offre molti spunti su cui riflettere anche oggi.

  7. Grazie per il tuo racconto, hai saputo cogliere anche le sfumature e i dettagli che rendono reale questa storia di vita .Penso da sempre come nei puzzle , le tessere formano il disegno , le micro storie di ognuno, formino la grande storia , le testimonianze , se non si scrivono con il tempo si perdono ,tutti dobbiamo tramandare la storia è ricordare le persone che hanno fatto la storia dei nostri luoghi.Grazie Stefy 😍

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