
di DARIA CAPITANI
Se mancassero le reti di promozione sociale e della cooperazione, centinaia di sale teatrali, beni storici, archeologici e naturalistici in Italia chiuderebbero o non sarebbero fruibili. In Sardegna, a Dorgali, c’è un museo che ha scommesso sulla forma cooperativa: modello pionieristico di management culturale, offre un contributo fondamentale alla destagionalizzazione del turismo
Fahrenheit 451, il celebre romanzo di Ray Bradbury, delinea una società distopica in cui leggere o possedere un libro è considerato reato. Dire cultura senza l’apporto di reti come le Acli e l’Arci, o senza la cooperazione, richiama l’atmosfera cupa di quel racconto: un mondo di luci spente, in cui accedere a una biblioteca, a un concerto o a un museo sarebbe molto complicato. Centinaia di sale teatrali, beni storici, archeologici e naturalistici chiuderebbero o non sarebbero fruibili. In Sardegna, a Dorgali in provincia di Nuoro, non esisterebbe un museo che oggi compare tra i primi 200 accreditati dal Mibact: frutto dell’inventiva e dell’impegno di una cooperativa, soltanto nel 2024 ha accolto 27mila visitatori, di cui 4500 studenti, oltre la metà dall’estero.
«Senza S’Abba Frisca mancherebbe un museo vivente capace di connettere ambienti e persone, racconti e memoria storica, oltre che una delle prime destinazioni del turismo scolastico. Verrebbero meno la destagionalizzazione turistica e una giovane impresa cooperativa che ha ispirato e supportato la nascita di tante piccole e grandi realtà imprenditoriali». Gianluca Secci è pronto a giocare al nostro gioco, quel “Provate a fare senza”. È co-fondatore e presidente della cooperativa affiliata Confcooperative S’Abba Frisca, la struttura privata più grande in Sardegna, unico esempio nel panorama nazionale di un museo creato da soggetti privati che, a seguito di un grande lavoro di allestimento e di un lungo percorso di formazione, si sono costituiti in cooperativa per poterlo gestire in autonomia. «Il tipo di governance adottata e il management culturale applicato a S’Abba Frisca», spiega, «rappresentano un modello pionieristico di gestione ai massimi livelli di un bene culturale da parte di un’impresa».
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