MINIERE DI TERRA E DI CIELO: L’OPERA LETTERARIA DI ROBERTO DAL CORTIVO, EX SINDACO DI CAGLIARI DAL 1990 AL 1992

Roberto Dal Cortivo

I ricordi ci accompagnano costantemente, nel bene e nel male. È come se fossero accanto a noi in maniera silenziosa in ogni frangente, in attesa di essere colti, in attesa di essere ascoltati. E proprio sui ricordi è incentrata l’opera letteraria di Roberto Dal Cortivo ‘’Miniere di terra e di cielo’’, pubblicata nel luglio del 2024 dalla casa editrice Edizioni Grafica del Parteolla. Un’opera significativa in cui Dal Cortivo, classe 1947 sindaco di Cagliari dal 1990 al 1992 ed esponente di rilievo del Partito Socialista, scava nelle sue origini viaggiando all’insegna di versi e prose nel suo passato. Un viaggio nel passato che lo riporta in quella Carbonia dove è nato, un viaggio in cui ricorda suo padre che proprio a Carbonia ha svolto il lavoro di minatore. Un lavoro duro, estremamente duro, la cui durezza traspare in ogni singolo componimento di Dal Cortivo che con una scrittura chiara e limpida, sofferta ma mai melensa e agitata, restituisce quel profondo senso di inquietudine che chiunque ha lavorato nel settore minerario ha provato e prova anche a distanza di tantissimi anni.
L’opera è uscita in un momento non di certo casuale, ovvero in occasione dei sessant’anni esatti della chiusura definitiva delle miniere di Carbonia. Miniere che, però, per chi le ha vissute direttamente o tramite un proprio caro come Dal Cortivo in verità chiuse non saranno mai. Questo perché l’atto del ricordare e dell’andare a ritroso accompagna l’esistenza e la crescita di chiunque possa, davvero, definirsi umano. Dal Cortivo conduce i suoi lettori «in quell’inferno in cui i minatori di Carbonia spesero le loro esistenze». Esistenze intense, sofferte, mai arrendevoli e caratterizzate da una dignità immensa. In ‘’Perché mi trovo in questa terra a me sconosciuta?” viene racconta la storia di un giovane ragazzo di appena 23 anni, avverso al regime fascista e alla sua barbarie, che con parole dure e che rappresentano dei veri e propri macigni descrive il perché si è ritrovato a lavorare in miniera, luogo che non conosceva e in cui ha toccato con mano il significato della sofferenza.
Sofferenza, lavoro, oscurità e anelito verso la luce: questi sono solamente alcuni dei tratti distintivi di un’opera che riporta a una fase centrale della storia della Sardegna, un’opera che consente di tornare indietro a quando – tramite il Regio decreto del 5 novembre del 1937 – fu costituito il Comune di Carbonia con la conseguente apertura delle miniere per cui tanto si spese quella propaganda fascista pronta a tutto pur di spingere le persone ad abbracciare e supportare ogni progetto portato avanti dal duce e affiliati. Una Carbonia che, come ricorda l’autore, per molti rappresentata l’America, una sorta di terra promessa in cui ricominciare e costruirsi una nuova vita. Una vita che, però, non si rivelerà di certo rosea e felice.
Significativo il componimento ‘’Per molti è l’America’’ dove Dal Cortivo scrive «ho paura dentro al pozzo, il buio è profondo, la fatica è tanta, l’aria manca, il sudore mi fiacca» descrivendo dettagliatamente il senso di angoscia che provavano quotidianamente i minatori. Minatori legati da un profondo senso di rispetto reciproco e da una grande solidarietà come traspare da ‘’Quante cose uguali noi abbiamo’’ in cui si legge: «in questo inferno dentro la montagna, ci scambiamo le nostre mani per sostenerci e non perire, in questo nostro giacere e soffrire nel letto comune della sorte». Minatori, i veri protagonisti del libro, che giungono nella postazione loro assegnata «con l’ansia del minimo da raggiungere nelle otto ore di lavoro per evitare il licenziamento con la speranza che non sia l’ultimo giorno» come detto in ‘’Caliamo in silenzio in traballanti gabbie di legno’’. Minatori ma, prima di tutto, persone con sogni e speranze, purtroppo, talvolta destinate a morire tra mani nere e callose aggrappate alla roccia di carbone.
Tra i punti più struggenti dell’antologia spicca ‘’Piangeva’’ dove Dal Cortivo descrive il dolore incurabile di una madre che piange davanti al corpo esanime del proprio figlio che proprio in miniera ha trovato il triste e prematuro epilogo della propria vita. Immancabile il richiamo dolce e struggente al padre che Dal Cortivo tratteggia con parole colme di rispetto, dignità e affetto profondo, tornando per un breve istante bambino: «ai miei occhi la sua figura appariva enorme e pesante, il suo passo da gigante, nessuna parola accompagnava il suo rientro». Un rientro atteso quello del proprio padre che l’autore vedeva come forte ma al contempo anche come debole e solo provato dalla fatica quotidiana.
I componimenti contenuti nell’opera sono un tributo sentito e doveroso alle vite dei minatori, trascorse in quella fuliggine che ha portato loro via tante giornate e tanti momenti preziosi. Vite affrontate con la consapevolezza, come affermato in ‘’È pesante il carbone’’, che «Dio non c’è nel buio della miniera», all’interno della quale «nella caduta rimani steso inerme solo».
A suggellare quanto espresso in questi dettagliati frammenti in versi, si trovano nel finale tre racconti: ‘’L’orco’’ in cui si parla di un minatore diventato alcolista a causa delle sofferenze patite durante il suo lavoro, ‘’Segreti nascosti e verità rivelate’’ in cui si racconta del giovanissimo Salverio morto a soli undici anni a causa di una leucemia, mentre il gran finale spetta a ‘’La dignità: ragione di vita’’ in cui Dal Cortivo termina la sua opera con parole significative: «l’uomo senza un ancoraggio, alla mercé di se stesso, è in balia della sorte e finisce con il perdersi». Parole da tenere bene in mente come monito proprio per non smarrirsi nella frenesia dei tempi odierni e per non finire inghiottiti nel buio delle miniere presenti nell’animo di ogni persona, in cui basta un attimo per scivolare, dimenticandosi della bellezza e del valore dell’esistenza.

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