
Antonella Marini
di DANIELA PORQUEDDU
Antonella Marini, fotografa cagliaritana, ha “studiato musica da bambina e poi ha divorato tutto quello che trovava affascinante. La pittura, il canto, il teatro, l’architettura, la matematica e il restauro sono state le sue passioni. La scrittura è esplosa di recente, durante il lockdown nel 2020”. Oggi si definisce un pret à porter. Tutto ciò che ha imparato e studiato lo indossa con arte, come un insieme di abiti che “combina tra loro per creare infiniti outfit”. Sabato 12 aprile, alle 18,30, inaugura a Poggio dei Pini il suo nuovo progetto fotografico: “Le ferite dell’anima”, in una corrispondenza di poesia, immagini e musica. La mostra sarà visitabile presso il centro culturale EXÒ fino al 18 aprile.
Antonella, tu definisci le tue mostre “performance”, perché?
La performance è solo un momento che mi serve per introdurre la mostra nel suo insieme. Non mi interessa più limitare le mie attività artistiche alla semplice “esposizione” dell’opera. Trovo che questo tipo di divulgazione sia antiquato e limitativo. Sono tanti anni che mi esprimo attraverso l’uso della fotografia, ma oggi ho bisogno di parlare col mio pubblico, di emozionarmi e confrontarmi con loro. Non guardo al singolo scatto, ma cerco un contesto che esprima un mio pensiero o una denuncia.
Hai scritto poesie per accompagnare le tue foto e usi la musica per fonderle insieme. Non ti accontenti più delle immagini per rappresentare il tuo malessere, perché?
Interessante che tu mi chieda del mio malessere. Spesso la mia ispirazione nasce da lì, dall’osservare ciò che vorrei riuscire a cambiare. Forse sono veramente una restauratrice. Vedo il bello anche dove è offuscato e desidero che tutto torni a brillare. Per farlo uso tutte le armi di cui dispongo. Amo la contaminazione. Non ho pietà. Ogni espressione d’arte ci permette di toccare una corda del nostro essere. Tutti i sensi devono essere curati, gestiti e promossi. Usando più espressioni artistiche si arriva più in fretta al cuore delle persone che cercano di vendicarsi di quel mondo arido che spesso non hanno scelto

Antonella, quali sono le ferite dell’anima?
Io tendo ad appropriarmi della sofferenza di chi incontro. Sono empatica e cerco sempre di scrutare dentro l’animo delle persone. In questa fase mi sono lasciata prendere dal dolore universale che vedo anche nelle piccole cose. Osservo una strada e vedo che l’uomo, col suo intervento, si lascia sempre dietro dei segni di disprezzo: brutti tagli sull’asfalto per far passare la fibra, incendi che deturpano l’ambiente naturale, scarti di produzioni industriali lasciati a cielo aperto, tronchi bruciati che vengono riportati dal mare sulla riva…
Inizialmente ne colgo l’espressione grafica o estetica, il segno o il colore, ma è la rabbia che provo per quel disprezzo che mi fa innamorare dell’idea di descriverlo in un’opera.
Come nasce la necessità di denuncia e quando hai pensato di usare le tue foto per “parlare” agli altri?
Inizialmente mi piaceva creare dei set dove inserivo quasi sempre una figura femminile. Era principalmente un percorso legato all’estetica, ma anche una occasione unica di creare legami di amicizia con le persone che sceglievo come protagoniste. Se l’idea era buona e se la persona che mi ispirava era giusta, il risultato era quello desiderato. Probabilmente il mio desiderio principale era trovare un legame con quelle persone.
Più tardi il soggetto umano è sparito e sono rimasta da sola a parlare di ciò che per me è importante.
La denuncia è diventata un cammino da percorrere e mettere in evidenza. La donna è rimasta un soggetto principale, ma ora è anche il territorio e tutto quello che l’uomo distrugge e rovina.

Nelle immagini de “Le ferite dell’anima” tu individui squarci, spaccature, intervieni su di essi e lo fai attraverso una tecnica particolare: il kintsugi, l’arte giapponese di inserire oro nelle crepe delle ceramiche rotte.
Questo progetto mi vede disincantata di fronte a una realtà che non mi piace e nella quale non mi sento a mio agio. Sembra che l’uomo stia cercando di distruggere tutto ciò in cui hanno creduto quelli della mia generazione. Ma spero ancora e cerco di vedere del bello anche in cose che sono oggettivamente da rifiutare.
Hai deciso di impreziosire quel mondo?
Sì, vorrei. Non è presunzione la mia, è una filosofia di vita. In ognuno di noi c’è qualcosa di prezioso e unico. È un dovere cercare di vedere questa parte. La speranza porta sempre un passo avanti, ma se capiamo che non c’è, dobbiamo avere il coraggio di lasciarla, di eliminarla dalla nostra vita.
Grazie. Quella nell’ombra, sembro proprio io
Complimenti ❤