Stefania Spanedda
di SERGIO PORTAS
Al circolo sardo di Milano quasi tutti i presenti hanno preso parte a un esperimento di forte carattere emozionale; una tavoletta di argilla tra le mani e, guidati da un’artista che li ha aiutati anche con l’esempio, hanno tentato di rappresentare, secondo le proprie capacità, un modello di “dea madre”, secondo uno schema derivato dalla storia che prima è stata loro raccontata (arricchita da numerose diapositive). E’ un’esperienza che ti rimane dentro, riportandoti a fare un balzo nel tempo indietro di migliaia di anni, quando noi sapiens in Europa uscimmo vivi da una glaciazione che mise a dura prova la sopravvivenza della specie e riprendemmo ad aggirarci per il mondo, cacciando animali d’ogni taglia, raccogliendo ogni tipo di fungo e radice commestibile, occupando grotte già casa di orsi e lupi, affascinati da un cielo di stelle il cui fulgore nessun fuoco di sterpi poteva aspirare ad eguagliare mai. Sono di allora queste forme d’arte che si interrogano sul divino, che molto ci dicono del sistema sociale allora vigente. A tutto dirigere e prima raccontare è Stefania Rita Spanedda, nativa di Bosa, che ha lasciato per andare a insegnare a Torino nel 2000, portandosi dietro sogni e colori della sua terra (a Bosa è ideatrice e direttrice artistica del premio Fratelli Melis: biennale internazionale dell’arte ceramica, nonché del festival internazionale Linguaggi d’autore: viaggio tra le arti e l’artigianato nella Città dei Colori, ediz. ‘20 e ‘22). In Piemonte le sue qualità artistiche debbono essere state presto riconosciute se è vero che ad oggi è vicepresidente del Messy Lab, collettivo di ceramica in Torino. Una associazione che organizza corsi, laboratori nelle scuole, conferenze, mostre ed eventi di promozione della cultura ceramica. Nell’agosto del 2022 Stefania lancia il progetto internazionale “Alla Scoperta della Dea Madre”, laboratorio esperienziale concepito come un viaggio storico-artistico ma anche introspettivo alle origini dell’Arte, della Storia e della Sacralità al Femminile. Da allora il progetto ha girato per numerosissime sedi associative e musei, nel frattempo lei vince il primo premio al Concorso Internazionale di Ceramica al Femminile con l’opera Forma Primordiale, 167 artiste in gara da trenta paesi del mondo. Scrive un racconto: “Sotto lo stesso cielo, storia di Qing e Yuè” diventato storia animata e tradotto in 15 lingue ( la video storia è stata trasmessa anche in Cina dalla Tv nazionale). Nella sua Bosa continua a essere responsabile dei corsi di canto popolare e dei progetti di ricerca antropologica ed etnografica del Centro di Cultura Popolare. Dice Stefania che la storia sarda sta venendo fuori a poco a poco. E, al solito, è una storia raccontata secondo una visione tutta maschile, anche questi numerosissimi ritrovamenti di statuette in tutta l’area mediterranea che per semplicità chiameremmo deee madri è sempre stata sottovalutata, e ancora oggi gli “esperti” (tutti maschi) litigano furiosamente per dare loro una collocazione univoca nell’immaginario collettivo dei popoli delle epoche che le hanno espresse.
Giovanni Cervo e Stefania Spanedda
La più “anziana” ha almeno 35.000 anni, intagliata usando l’avorio di un dente di mammut è alta solo 6 centimetri, al posto della testa ha una sorta di anello, forse per poterla portare come un ciondolo attorno al collo, ritrovata nelle grotte di Hohle Fels in Germania, da dove è spuntato il primo flauto conosciuto, sempre in avorio di mammut. La “venere di Dolni Vestonice”, in Repubblica Ceca di anni ne ha “solo” 28.000, è alta undici centimetri ed è fatta di argilla, cosa che ci permette di retrodatare e di molto l’inizio dell’arte della ceramica che i sapiens hanno cominciato ad utilizzare durante la loro vita. Ha seni lunghi e vistosi, un viso privo di vere fattezze, un sedere poderoso. Coetanea e altrettanto formosa, uguale anche in altezza, la “venere di Willendorf”ritrovata in Austria, scolpita questa in pietra calcarea. Anche la “steatopigia” ( dalle grosse natiche) in steatite gialla ritrovata nei Balzi Rossi di Ventimiglia (di statuette alte sei centimetri ne furono ritrovate numerose, da un signore francese che scavava senza arte ne parte) è di quel periodo. Sedere sempre maestoso per la venere di Lespugue in Francia, 15 centimetri, viso liscio, intagliata in avorio di mammut 25.000 anni fa da un ignoto artista. “Dee madri” scolpite e ritratte in pietra e ceramica per un periodo lunghissimo: qualcosa come trentamila anni. Un periodo in cui i popoli dei sapiens sparsi in tutta Europa e non solo, probabilmente vedevano in queste statuette il simbolo della vita che si dà, come la madre natura, che fa nascere i figli e se vuole fa sgorgare le polle d’acqua anche in pieno deserto. La Dea su un trono da Chataloyuk in Turchia è in terracotta e datata 6000 a.C., molto importante questa perché il sito è uno dei primi insediamenti stanziali dei sapiens che si conoscano e le case che compongono la città sono molto simili una con l’altra, non ci sono grandi palazzi o zugurrat, si può supporre che ci si trovi dinanzi a una città “ di uguali”, in cui uguali siano stati anche maschi e femmine. E per quei tempi ( fondata intorno al 7500 a.C. e durata 1500 anni) cinquemila abitanti erano veramente tanti. Gli abitanti cacciavano ma anche coltivavano. Tocca qui pronunciare la parola “matriarcato” per pensare un periodo in cui la guerra non fosse il pensiero primario dei maschi. Anche se tra gli studiosi di oggi, la convinzione dell’esistenza di un matriarcato primitivo è trattata come una sorta di affronto intellettuale. Il grado di censura ha dell’incredibile, molto più di quanto sarebbe giustificato dal semplice sospetto di una teoria esagerata o obsoleta. E questo non lo dico io ma lo trovo nel libro che David Graeber ha scritto con David Wengrow: “L’alba di tutto, una nuova storia dell’umanità”per la BUR di Rizzoli. Nel medesimo (pag.233) spezza una lancia a favore di un’archeologa lituana Marija Gimbutas che è interessata a capire i contorni generali della tradizione culturale che chiama “antica Europa”, un mondo di villaggi neolitici stanziali concentrati sui Balcani e sul Mediterraneo orientale ( ma estesi anche più a nord) dove, a suo giudizio, gli uomini e le donne erano considerati alla pari e le differenze di status e di ricchezza erano fortemente limitate. Secondo le sue stime, l’antica Europa resistette dal 7000 al 3500 a.C. Ancora una volta un lasso di tempo di tutto rispetto, insomma per un “matriarcato di pace”. Gimbutas crede che queste società fossero essenzialmente pacifiche e che condividessero un pantheon comune sotto l’egida di una dea suprema, il cui culto è attestato da centinaia di statuine femminili- alcune con maschere dipinte- rinvenute negli insediamenti neolitici, dal Medio Oriente ai Balcani. Tutto ebbe fine con un’invasione di popoli di allevatori- i cosiddetti kurgan- originari della steppa pontica, a nord del Mar Nero. I gruppi invasori erano aristocratici e “andocratici” ( cioè patriarcali). Gimbutas li considera responsabili della diffusione a occidente delle lingue indoeuropee, della fondazione di nuovi tipi di società basati sulla totale subordinazione delle donne e dell’elevazione dei guerrieri a casta dominante. E la Gimbutas è una ai cui testi Stefania Spanedda ama fare più riferimento. E le dee madri sarde? La più antica ( e secondo me la più bella), 4500 a.C., alta circa 17 centimetri in pietra arenaria fu ritrovata presso Cabras, località Cuccurru S’Arriu, scrive di lei su “Preistoria in Italia” Cristina Muntoni: “ Statuina femminile steatopigia del V millennio a.C. in postura stante. Le gambe sono fuse con i glutei, le braccia sono rigidamente distese lungo i fianchi, il bacino è rappresentato a triangolo. Il volto presenta lo schema facciale a T (linea degli occhi ortogonale alla linea del naso). La testa, con sommità appiattita, presenta un copricapo cilindrico piatto tripartito, con copri-orecchie decorati da un motivo di linee spezzate e semicerchi in rilievo. Dai copri-orecchie pendono due bande sfrangiate che incorniciano il volto, mentre un’ulteriore banda scende dal copricapo sulla nuca”. Gli idoli a placca traforata del Monte d’Accoddi di Sassari di 12 centimetri in calcite risalenti al 3000 a.C. sono stilizzati come le “veneri calcidiche”. Forse anche in Sardegna erano sbarcati i kurgan di stampo patriarcale. Qui a Milano molti dei presenti si mettono a maneggiare argilla scura, le “madri” che ne vengono fuori sono le più diverse e meglio definite, tutte hanno una loro dignità e molte sembrano sorprese di essersi risvegliate in tempi in cui dell’”antica Europa” sembra essersi persa la traccia. Di quel tempo di pace durato più di tremila anni in cui scavando nelle tombe dei maschi inumati non si trovavano coltelli o spade di bronzo o archi scomposti ( quelli delle orde di Gengis Khan), ma aratri di pietra e conchiglie dipinte di ocra rossa. Nella mano destra spesso una statuetta di pietra dal culo poderoso, che ti aiutava a raggiungere la strada dell’aldilà. La parola “femminicidio” allora non aveva corso legale e , checché ne dica il ministro Valditara leghista della pubblica (d) istruzione, il patriarcato che doveva dominare nei secoli seguenti è ancora ben vivo, il tempo delle “dee madri” dietro di noi è nostalgia di una pace che l’umanità ha (forse) goduto per millenni. Impegnarsi per poter ritrovare quel tempo è quello che fa Stefania Spanedda, quel tempo, lei dice, occorre maneggiarlo con la creta perché prenda vita, si cristallizzi in ceramica policroma, come lei fa succedere a Bosa, noi ammirati da tanta maestria cerchiamo di imitarla, a premio un calice della malvasia più buona del mondo.
la nostra associazione anche in questo fine anno esprime con grande orgoglio un ringraziamento a tutti i collaboratori per ciò che fanno per promuovere la Sardegna, la sua cultura e per le azioni di solidarietà verso le comunità del territorio. Un pensiero va a tutti quelli che in questi 53 anni hanno contribuito a tenere alto questo senso di appartenenza e a dispensare valori di solidarietà e amicizia. A tutti voi, alle vostre famiglie e gli amici che continuano a sostenerci e collaborare con la nostra associazione, sinceri
Auguri di un sereno e gioioso Natale a voi e le vostre famiglie. Felici festività e un prosperoso e soddisfacente anno nuovo. circolo Deledda di Magenta-