a cura di ORNELLA DEMURU
Ogni anno il 4 novembre in Italia si celebrano le consuete cerimonie per ricordare la vittoria della Prima guerra mondiale del Regno d’Italia sull’Impero Austro – ungarico, la cosiddetta “Grande guerra” o anche detta la ‘15-’18.
Ma per i sardi il 4 novembre non dovrebbe essere proprio un giorno di festa. Si tratta al contrario di un giorno molto doloroso perché il tributo di sangue che la Sardegna pagò non ha uguali con nessun altro luogo dell’Italia.
Il primo sardo ucciso nella Grande Guerra non fu un fante, ma un marinaio: il sottocapo Luigi Olla, ventitreenne di Quartu.
L’Italia era entrata nel conflitto da poche ore quando la torpediniera Turbine si lanciò contro alcune navi austriache che stavano attaccando il porto di Bari. Nello scontro Olla rimase ferito a morte.
Erano le quattro del mattino del 24 maggio 1915. Pochi giorni dopo, il 31, nel settore di Tolmino, morì il primo soldato sardo, Alberigo Lorrai, del 41mo reggimento di fanteria.
A giugno i caduti provenienti dall’Isola furono 194, fra cui il primo “sassarino”: il caporale di Arbus Silvio Sitzia arruolato nell’appena costituito 151mo reggimento e colpito nel furibondo attacco al monte Col di Lana del 15 giugno. Ebbe una medaglia d’argento.
Quel giugno morirono 104 sardi, più del doppio nel mese successivo (361) in un crescendo di croci che salirà a 3.187 nel 1916, poi a 3.880 nel 1917 e 3.902 nel 1918.
Ma i militari sardi, a causa delle ferite, continuarono a morire anche a guerra conclusa: 461 nel 1919 e 141 nel 1920.
Questi numeri non sono aride cifre, ma ciascuno rappresenta la storia di un sardo, dai giovanissimi ai più grandi, chiamati a combattere in una guerra lontana da casa che si trasformerà in un immenso mattatoio.
Almeno 650 mila gli italiani morti nel conflitto, ma c’è chi sostiene oltre 700 mila.
I sardi caduti – secondo l’Albo d’Oro ufficiale del 1938 custodito negli Archivi militari – sono 13.602, di cui 11.069 morti accertati, 2.010 i dispersi e 523 gli scomparsi, in gran parte periti in mare nell’affondamento delle navi, sepolti da valanghe in montagna o deceduti in prigionia.
Furono 1.116 i sardi che non tornarono più dai campi dove furono reclusi dopo la cattura.
I numeri dei caduti oggi si possono recuperare dal web grazie al database realizzato da Guido Rombi, uno storico di Tempio che da quasi vent’anni lavora a un ambizioso progetto per mettere in rete, a disposizione di tutti, nomi e informazioni su ciascun militare isolano morto o scomparso nella Grande Guerra.
Nelle sue ricerche, spesso su fonti inedite, Rombi è andato ben oltre gli elenchi dell’Albo d’Oro arrivando sinora a un totale di 15.194, quasi 1600 nomi in più.
La Sardegna – sottolinea Rombi – conta, purtroppo, il numero maggiore di caduti rispetto alla propria popolazione: dall’Isola partirono oltre centomila uomini, praticamente tutti gli abili alle armi nati tra il 1858 e il 1899, i diciottenni chiamati per l’offensiva decisiva sul Piave dopo il disastro di Caporetto.
Ma vennero arruolati anche 334 ragazzi del 1900 e due del 1901 che non avevano ancora l’età maggiore.
I sedicenni erano il marinaio di Olbia, Giovanni Eretta, rimasto ucciso nell’affondamento della sua nave a La Maddalena il 18 maggio 1918 e Antonio Seu, operaio del Genio, originario di Villasimius, deceduto per malattia pochi giorni dopo la fine delle ostilità.
Il sardo più anziano fu il tenente colonnello di fanteria, Emilio Anchisi, cagliaritano, morto sul medio Isonzo il 16 giugno 1915: aveva 57 anni.
La guerra oltre a essere crudele spesso è anche beffarda.
Il 3 novembre 1918 fu firmato l’armistizio che sarebbe entrato in vigore il giorno dopo con la cessazione di ogni combattimento alle 15 del 4.
In quelle poche ore, quando sembrava che si fosse fermato l’immenso macello su tutti i fronti, il destino spezzò le vite di altri quattro giovani che non sarebbero più tornati in Sardegna: il diciottenne sottotenente dei bersaglieri, Alberto Riva Villa Santa, a cui Cagliari, la sua città, ha dedicato una scuola e la caserma di viale Poetto.
Quel 4 novembre di festa per la vittoria morirono per le ferite riportate i soldati Agostino Serci di Serramanna e Giovanni Addis di Ozieri.
Il tributo di sangue dei sardi nella Grande Guerra fu dunque altissimo e in particolare si ricorda il sacrificio della Brigata Sassari che ebbe 3.146 caduti, un terzo di tutti i fanti sardi. 524 furono le medaglie al valor militare, di cui dieci d’oro, assegnate ai sardi.
Non c’è comune dell’Isola che non abbia partecipato con i suoi cittadini alla guerra, 89 paesi contano almeno un decorato, 4 paesi oltre i dieci. Siris, Irgoli, Sarule, Siligo e Gavoi sono i centri con la più alta percentuale di decorati rispetto alla popolazione.
La sardegna era un gregge di animali questo era il pensiero dei governanti allora, adesso ancora peggio e il sardo è buono solo a spiare il suo vicino ma non si difende dai veri nemici ascoltano il conte è lo sclein senza parlare dei due anarcomunsti che pensano solo alle loro poltrone se non ci svegliamo saremmo sempre dei sudditi viva la sardegna ma dei sardi