Luca Usai
di SERGIO PORTAS
Sul “Manifesto” dell’otto agosto scorso Maria Teresa Carbone firma un delizioso trafiletto a titolo: “Leggere fa bene (ma non importa a nessuno)”, in cui cita tali Garcia-Rubio e Anna Merino che su “La Vanguardia” ripropongono il tema alla luce delle più recenti scoperte delle neuroscienze. Con tanto di rilevamenti di neurotrasmettitori “buoni” che, mentre si legge, verrebbero rilasciati, come la dopamina e l’ossitocina (gli stessi che si manifestano a iosa quando ti capita di baciare una bella ragazza). “Il punto di partenza, come già aveva spiegato Maryanne Wolf nel suo “Proust e il calamaro” (Vita e pensiero) è che leggere, a differenza del camminare e del parlare- non è una caratteristica innata degli umani, visto che la scrittura esiste “solo” da seimila anni, da un punto di vista neuroscientifico, la lettura non è legata ad aree cerebrali specializzate come invece avviene per la vista, l’olfatto o l’udito”. Al cervello tocca trovare plasticamente delle aree che interagiscano tra loro, la memoria prima di tutte, ma anche l’organizzazione degli stimoli visivi che rimandano poi al contenuto emotivo che i grafemi, le parole, sanno suscitare in chi legge. E se homo sapiens se ne è andato a colonizzare il mondo per più di centomila anni senza leggere alcunché si deve ai Sumeri di Ur, gente che stava in Mesopotamia un quattromila anni fa, se da allora abbiamo la possibilità di leggere le cronache risalenti a quei periodi, si può dire che la Storia con la esse maiuscola come noi la intendiamo cominci da loro. I Nuragici nostri antenati di scritti (incisi su tavolette d’argilla o pietre levigate) ne hanno lasciate indietro pochi, ci tocca quindi interrogare i manufatti che hanno resistito allo scorrere dei tempi per formulare ipotesi sul loro vissuto, il loro tessuto sociale. Grandi sono i dibattiti, ad esempio, di quale fosse il ruolo rappresentato dalla statuaria monumentale di quelli che sono oramai conosciuti come i “Giganti di Mont’e Prama”. E questa volta, a suffragio di una tesi che ha una sua valenza più che scientifica, vi renderò noto cosa ne pensa una fonte letteraria di straordinaria diffusione e successo: il numero 3585 di “Topolino”.
Qui, soggetto e sceneggiatura di Bruno Enna, disegni e supervisione colore di Luca Usai, è apparsa la storia di “Topolino e il mistero dei Giganti”. E qui si impone una digressione sull’autorità che una forma d’arte come il fumetto ha saputo conquistarsi nell’arco di poco più di un secolo. Fumetto che “si guarda” e contemporaneamente “si legge”.
Mickey Mouse nasce dalla fervida immaginazione di Walt Disney come cartone animato nel 1928 e si può proprio dire che porta benissimo i suoi quasi cent’anni di vita, come benissimo regge sulle spalle un’azienda che ha contribuito a creare e a rendere immensamente ricca, una multinazionale dell’animazione e del fumetto che vince “Oscar” a profusione e vende i suoi fumetti in ogni angolo della terra. Universalmente conosciuti i suoi “eroi”, da Topolino a Paperino, da Pippo a Pluto, da zio Paperone a Qui Quo Qua. Non ho memoria di me, infante di tre o quattro anni, senza vedermi con in mano un qualche numero di “Topolino”. E in quel di Guspini, ai tempi, c’era tutto uno scambiarsi album di fumetti tra amici e parenti, tra miei cugini Usai, Pasquale sarà il padre di quel Luca che ora disegna per la Disney, il fato questo eterno mattacchione sa inventarsi gli esiti tra i più sorprendenti e improbabili. Luca è un po’ che vive e lavora (disegna) a Milano, alla scuola del fumetto tiene anche un corso di “Disegno umoristico”, dopo aver fatto la gavetta con le “Chine Vaganti” di San Gavino, corsi alla “Sardinian School di Bepi Vigna a Cagliari e l’Istituto Europeo di Design di Milano, approda finalmente all’Accademia Disney e inizia a disegnare storie per “Topolino”.
Non è la prima volta che gli capita di avere a sfondo la Sardegna per una storia topesca, nel 2011 era stata “Indiana Pipps e l’energia dei Giganti, scritta da Giorgio Figus (quella volta si è sempre vantato di aver disegnato una Sardegna senza pecore). Questa volta lo sceneggiatore è quel sassarese di Bruno Enna. Che grazie all’amicizia con Nadia Canu, archeologa alla soprintendenza di Sassari e Nuoro, direttrice tra il 2022 e il ‘23 della Fondazione di Mont’e Prama che gestisce e promuove quest’area in tutto il mondo, è rimasto entusiasta all’idea di inventarsi una storia che avrebbe contribuito a far conoscere i “giganti” tramite “Topolino”. Dice lui che Luca Usai ha fatto un lavoro incredibile: in ogni vignetta si respira la nostra isola, basti vedere la vegetazione tipicamente locale. Da parte sua Luca si dichiara entusiasta della sceneggiatura di Bruno e anche lui ringrazia Nadia Canu per la documentazione che gli ha fornito e per i luoghi, non lontani da Guspini, che gli fatto scoprire e che ha cercato di riprodurre al meglio col disegno e colore. Cabras e il Sinis sono invero un angolo di Sardegna del tutto particolare, quella degli stagni d’oro (Oristano) in cui dimorano i fenicotteri rosa (sa genti arrubia) di superba eleganza, dove acqua dolce e salata si mischiano dando luogo a una fauna ittica di una ricchezza senza pari. Anguille e cefali (cinque varietà) da cui si ricavano le uova per produrre la preziosa e rinomata bottarga.
Tharros sul litorale non è distante, sul “monte della palma”, una collinetta senza pretese, le statue dei giganti, a pezzi, più di cinquemila frammenti, furono scoperte dagli aratri dei contadini sin dal 1974. E solo nei primi anni del 2000 nasce a Sassari un grande centro di restauro, un cantiere aperto al pubblico che vince molti premi nazionali e internazionali: migliore restauro del mondo a Stoccolma nel 2016. Il numero di statue ricomposte, inizialmente erano 44, ora circa ottanta: guerrieri, arcieri e pugilatori, ma anche modellini di nuraghe a una sola torre o plurilobati. Dice Nadia Canu: “A livello iconografico, i Giganti sono analoghi ai piccoli bronzetti votivi, gli studiosi stanno ancora dibattendo sulla loro effettiva funzione, molto probabilmente il complesso statuario ha una valenza sacra legata alla necropoli (125 tombe “a pozzetto” di tre epoche diverse, i corpi inumati in posizione rannicchiata) ma potrebbe riferirsi anche a un evento epico o mitologico, alcuni hanno pensato a Ercole con i figli avuti dalle cinquanta figlie del re di Tespie, mandati a colonizzare la Sardegna”. “Manneddu”, un pugilatore di quasi due metri e 330 chilogrammi che si trova ora al museo di Cagliari ha fatto il giro dell’Europa passando per le principali capitali. In “Topolino” c’è un padre (topo) che strepita, sul finire dell’età del bronzo, in un fiorente villaggio nuragico, recita la didascalia: “Minniaaa!” Dove è finita quella figlia poco riverente: “Fai questo, fai quell’altro…grrr! Per chi mi ha preso?” Lei è sulla spiaggia e “SHAAAFT”, contro gli scogli: uno straniero (topo) svenuto. Fortuna che arriva Pippeddu (Pippo) che, al solito, non si scompone: “Certo che il mare ne trasporta di cose strane!” Pare di trovarsi in Omero, quando Ulisse viene sbattuto, da Nettuno, sull’isola dei Feaci e il dì dopo lo troverà Nausicaa, anch’ella figlia di re come Minnia figlia di capo, che ha paura di cosa direbbe la gente se la vedesse arrivare con uno straniero: “ Di questi voglio evitare le ciarle maligne: che alcuno non sparli di me; fra la gente molti insolenti vi sono; ed uno più d’altri maligno potrebbe incontrarci e dire: “Lo straniero, chi è che vien dietro a Nausicaa, così bello e alto? E dove mai l’ha trovato? Sarà certo il suo sposo. Un naufrago forse…”.
Il nostro Topolino, Topoi nella storia, parla una strana lingua ma imparerà presto a capire il sardo, potenza dei fumetti, come rinviene nell’abitazione-laboratorio di Pippeddu Beddu (di mestiere aspirante scultore) e si affaccia alla porta, gli si squaderna di fronte un villaggio nuragico in cui ferve l’attività del mattino, casette di pietra col tetto di paglia, ragazzini che giocano, un bue che tira un carro colmo di fieno, due capre in un recinto, un falco che fende l’aria e, sullo sfondo, maestoso un nuraghe a tre torri che domina lo scenario, col sole tondo e le nuvole rosa a fare da sfondo. Il mare solo uno scorcio. Minnie e Topoi da subito si guardano con gli occhi dolci degli innamorati (come potrebbe essere diversamente del resto, sono fidanzati da sempre). E tra i “RUUUMBLE” di una tempesta, un qualche “GULP! E “GASP!” inevitabili, Luca disegna la storia sino a rendere “necessarie” le statue dei Giganti, alla cui realizzazione ha contribuito tutto il villaggio, su idea di Pippeddu (finalmente accolto nel clan dei costruttori). Dite che è improbabile? Nel regno del fumetto tutto da sempre è possibile e reale allo stesso tempo, dice Luca che ha intenzione questa estate di ritornare a Mont’e Prama “cercando di veder spuntare tra la macchia mediterranea due grosse orecchie nere tonde”.