
di GRAZIELLA FALAGUASTA
Se nell’immaginario di chi si avvicina ad Arbus da visitatore e viaggiatore ciò che prevale maggiormente sono i 47 chilometri di Costa Verde (o 52, secondo i diversi calcoli) e le Dune di Piscinas, nel mio caso la curiosità mi ha portato in questi anni a scoprire anche le bellezze e le perle – che cercando si trovano – dell’entroterra e, in particolare, alcuni piccoli gioielli che vanno assolutamente raccontati, come il Museo di Arti e Mestieri Antichi della Sardegna Antonio Corda (https://museocorda.it/).
Nella sua bellissima sede, alla fine di settembre, sono stati anche rievocati e messi in scena cinque matrimoni celebrati tra il 1915 e il 1976, come riportato in un articolo del giornale online del 4 ottobre e sul cartaceo del 15 ottobre. Avevo già da tempo programmato la mia visita al Museo, dopo aver letto della sua formale inaugurazione, lo scorso mese di aprile e ho voluto mantenere il mio impegno agli inizi di settembre, venendo ampiamente ripagata. Il Museo ha sede presso un’antica abitazione – costituita da due immobili confinanti – risalenti ai primi anni dell’800, situata nel centro storico di Arbus, esattamente in Via Giardini 1, originariamente appartenuti a un unico proprietario della famiglia Lampis). Occupa una superficie di oltre 600 metri quadrati e offre ai visitatori un’esposizione distribuita su tre piani, con materiali relativi a oltre 50 mestieri antichi della Sardegna: una notevole panoramica di attrezzi che raccontano storie secolari e che costituiscono l’identità dei luoghi e di gran parte della Sardegna. Ma per raccontare del Museo occorre prima di tutto conoscere il suo promotore e “patron”, Antonio Corda, un distinto signore la cui passione e perseveranza sono state premiate con il successo di un’iniziativa che ha e avrà il pregio di dare risonanza e lustro al territorio. Arburese di nascita, Antonio Corda è rientrato in paese dopo aver trascorso 10 anni a Torino (tra i 23 e i 33 anni d’età) esercitando la sua professione di consulente del lavoro e di commercialista, attività che ha continuato a svolgere negli studi di Cagliari e Arbus, anche dopo il ritiro formale, fino a qualche mese fa.
L’idea di realizzare un Museo viene da molto lontano (è nata circa 30 anni fa) e porta con sé una motivazione estremamente lucida e, direi anche generosa: quella di realizzare un’opera da donare alla comunità di Arbus, un atto che rappresenta un riconoscimento e in qualche modo una “restituzione” da parte sua, che qui è nato. L’avvio del progetto è coinciso con l’acquisto del primo immobile (situato nella “sua” Via dei Giardini) di cui si era letteralmente innamorato, che si trovava in notevole stato di abbandono e destinato, secondo l’amministrazione di allora, all’abbattimento in favore di un parcheggio pubblico. In un momento successivo Antonio Corda ha acquistato anche l’immobile confinante per arrivare a ottenere la struttura che vediamo oggi, un unicum dove i due immobili sono uniti tra di loro da una passerella al secondo piano e da un cortile interno al piano terra che costituisce la corte dell’intera struttura museale, con ambienti intercomunicanti tra loro. Ricorda Antonio Corda: «La ristrutturazione, la scelta degli allestimenti e il progetto di musealizzazione hanno richiesto circa 25 anni durante i quali sono stati coinvolti i migliori professionisti sia per la parte ingegneristica sia per la parte museale, che hanno operato sempre sotto la mia guida attenta e rigorosa perché è sempre stato forte il mio desiderio di lasciare un’impronta personale… insomma, come tutti dicevano, sono stato io il ‘direttore dei lavori’ del cantiere”». Negli immobili, comunque, alcune tracce del passato sono rimaste. In particolare la prima abitazione conserva ancora, al piano terra, le originali forreddas (gli antichi fuochi per cucinare), un forno per cuocere il pane, due caminetti, un piccolo spazio (con nicchia e una sorta di lavandino) per conservare le brocche d’acqua e per l’igiene personale, le porte di legno e i pavimenti realizzati con le cementine, mentre all’interno di entrambi gli edifici non è stato trovato alcun oggetto particolare, tranne una vecchia mola asinaria rinvenuta spezzata nella prima abitazione, che Antonio Corda ha in parte ricomposto e che si trova ancora nel cortile del museo.
L’idea iniziale era quella di un museo etnografico e in questa logica la prima raccolta di oggetti si era concentrata nell’ambito agro-pastorale, il più “naturale” per la collocazione di Arbus in questo settore (malgrado la parentesi di diversificazione portata dalle miniere, fino alla loro chiusura, nel 1991). Gli oggetti acquisiti sono stati conservati per anni in locali vuoti della sua abitazione, fino al momento in cui è stato possibile realizzare un vero e proprio piano per creare il museo, al quale insieme al perseverante signor Corda hanno attivamente partecipato docenti universitari, antropologi e storici. Primi suggerimenti e spunti sono venuti da Roberto Concas, storico dell’arte ed ex-direttore dei Musei Civici di Cagliari, che ha contribuito a dare una nuova traccia di allestimento, e sono stati particolarmente utili e fruttuosi gli incontri con Enrica Delitala, antropologa e docente universitaria, collega di Giulio Angioni e di Giannetta Murru Corriga, dello stesso dipartimento per arrivare alla versione attuale, la più vicina al suo modo di sentire. Altri contributi fattivi e costruttivi sono stati quelli della Cooperativa Villa Silli (http://www.villasilli.it/home.html), con la quale la collaborazione sta continuando ancora oggi. Significativo il fatto che il Museo goda anche di tre Decreti Ministeriali per il riconoscimento di possesso di beni di carattere Storico Artistico e Culturale per i settori: lavoro agricolo, tessitura e cassapanche sarde antiche con riferimento ad alcune zone della Sardegna: la Barbagia, l’Ogliastra, Santu Lussurgiu, nel Montiferru, e il Sulcis.
Nel tempo si sono rafforzate molte relazioni con singoli cittadini che si sono convinti dell’importanza di condividere pezzi delle loro storie attraverso donazioni di oggetti di famiglia mentre, al contrario, non è stato possibile sviluppare nessuna collaborazione e sinergia con le istituzioni locali. «Ma non mi sono perso d’animo e ho proseguito per la mia strada», afferma con orgoglio il signor Corda, «riprendendo il lavoro con il supporto dell’Associazione Culturale Etno, creata nel 2008 e che oggi conta una ventina di soci, di cui sono il presidente, affiancato dalla vicepresidente Marilena Cansella». Tra le attività dell’Associazione anche quella di formare alcuni degli aderenti come vere e proprie guide museali.
«In generale le persone hanno bisogno di stimoli per poter prendere coscienza del proprio bisogno di bellezza o di conoscenza», sostiene ancora Antonio Corda, «e da questo punto di vista credo di aver centrato l’obiettivo nel fornire occasioni, anche con le attività collaterali, di far uscire i miei concittadini da quella forma di isolamento in cui possono rischiare di trovarsi, anche a causa della collocazione logistica e della scarsità di infrastrutture e trasporti pubblici adeguati». È così che molti cittadini ormai si sentono parte del progetto al punto da promuovere il Museo tra i propri familiari e conoscenti. Io stessa sono rimasta piacevolmente colpita la mattina della mia visita trovando un papà con il proprio bambino di 7 anni che commentavano insieme i vari oggetti esposti, molto dei quali presenti nel vissuto del bimbo perché visti a casa del nonno.
Dopo l’inaugurazione dello scorso aprile e la definizione di una più precisa organizzazione (orari di apertura, turni di presenza delle guide, calendario manifestazioni collaterali, ecc.) ora il Museo sta camminando con le proprie gambe e anche i commenti lasciati nel libro dei visitatori sono davvero gratificanti ed edificanti. E io stessa, anche da non arburese (se non d’adozione!) sono convinta che il Museo possa nel tempo avere una sempre maggiore influenza nel ruolo di “animatore e ambasciatore” del territorio, dal punto di vista storico, culturale e sociale.
L’importanza che il Museo ha nella vita di Antonio Corda è data anche dal progetto in corso di creare una fondazione che possa dare continuità a questo lavoro, essendo possibile con questa formula tramandare a terzi (non necessariamente gli eredi aventi diritto) questo patrimonio che non potrà certamente andare perduto. Con la speranza e l’auspicio, non troppo nascosti, che un giorno non lontano anche le amministrazioni comunali di Arbus che si succederanno potranno comprendere l’importanza di condividere questo percorso, così come è stato fatto finora per la Fondazione Giuseppe Dessì e il Cammino Minerario di Santa Barbara.
E per restare in tema di cammini, questo è stato, e lo è tuttora, lungo e impegnativo, ma Antonio Corda è per tutti noi, anche per i più giovani, un ottimo esempio di cittadinanza attiva e di spinta all’associazionismo tra pubblico e privato, elementi essenziali per la vita partecipata anche dei centri piccoli e medi della nostra regione.
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