LA COPPA DAVIS, DIETRO L’ULTIMO “COLPO” DI SINNER. IL TENNIS DE “SU CAMPETTO” , PIETRANGELI,  “BISTECCONE” E QUELL’ URLO DI CANE’ A CAGLIARI LUNGO 33 ANNI

il centro tennistico a Cagliari

Le emozioni che la finale di Davis, l’ottava della storia per l’Italia, ha potuto dare sono state tante. Intense, uniche, generali e familiari. È innegabile che, durante l’ultimo match point a favore di Sinner, ieri scorrevano nella mia mente tante immagini. Immagini legate, indissolubilmente, ad una serie di storie che mi si affastellano ma che, poi, alla fine, trovano la loro ragione d’essere. Quasi fossero le parti mancanti di un puzzle, ora completato alla perfezione. Il puzzle di un lungo amore per il tennis. Iniziato negli aridi campi di periferia. O, meglio, negli slarghi e piazzali di cemento creati ed adibiti a campo da tennis da noi, allora, adolescenti e ragazzi aspiranti tennisti degli anni Ottanta e della prima metà dei Novanta. Non nelle scuole tennis cittadine. Con le racchette in lega perfettamente accordate e le palline “Dunlop” funzionanti. Ed I maestri di tennis al seguito. Ma in Sardegna. In un anonimo ma, allora, vitale paese del centro isolano. Anela fra giugno e settembre, dopo esser stata nel corso degli altri mesi San Siro o l’Olimpico, vedeva il suo piccolo campetto, Su campetto, delle scuole medie tramutarsi, all’ occasione in campo da tennis “artigianale”. Con tanto di vernice e di rete. E, poi, via di seguito con i tornei: Internazionali di Roma, Roland Garros e Wimbledon . In “salsa anelese”. Con tanto di soprannomi affibbiati ad ognuno della combriccola. C’era chi, in quelle calde e spensierate estati anni Ottanta si sentiva Lendl, chi Ivanisevich, chi Becker, chi Noah (a proposito il nome francese di Sinner è ispirato a lui?) . O chi, nel rispetto del tennis nazionale in voga allora, aveva scelto Cane’, il nostro indimenticato “Paolino nazionale”. Sull’ onda lunga e positiva lasciata da quella grande generazione di moschettieri, i “Panatta boys”, che aveva segnato il tennis degli anni Settanta. E di ognuno di questi si cercavano, nell’ agreste scenario de “Su campetto”, di imitarne anche gli atteggiamenti. Dando vita ad interminabili sfide e tornei. Lontani da “play station” e cellulari. E pensando anche di formare un tennis club. Nella profonda Sardegna degli anni Ottanta si giocava a tennis. Senza i campi. Come negli anni Settanta, sull’onda del magico scudetto cagliaritano, si giocava a calcio. Anche lì, però, senza campo. I campi, nel calcio, in molti paesi dell’entroterra sardo, verranno dopo, nei primi anni Ottanta. Appena in tempo per vivere da protagonisti l’intera trafila calcistica delle giovanili fino alla prima squadra.  Ritornando agli idoli, il mio idolo era il grande tennista australiano Pat Cash, un asso dell’erba, che nel 1987, a Wimbledon fece piangere Lendl. E’ innegabile, quindi, che Italia- Australia, per il sottoscritto, abbia significato anche questo. E’ bello, quindi, pensare che dietro quell’ultimo passaggio di Sinner contro De Minaur a Malaga, domenica 26 Novembre 2023, ci sia stata anche questa storia. La storia di ragazzi come noi che, senza fronzoli e senza scuole tennis alle spalle, nel cuore della Sardegna, figli dell’ “ondata lunga” del tennis italiano anni Settanta, hanno imparato a praticare, dal nulla, e ad amare questo sport. Al pari del calcio. Dietro l’ultimo colpo di Sinner vi è poi, lui, il nostro “Nick Nazionale”.  Se noi abbiamo giocato a tennis, e lo facciamo tuttora, lo dobbiamo anche a lui. Nicola Pietrangeli da Tunisi, o meglio Nicola Chirinsky Pietrangeli di madre russa e padre abruzzese. Classe 1933. Il mito del tennis italiano. Numero tre del mondo prima dell’era Open. A “tallonare” il primato dell’australiano Rod L’aver, il Djokovic degli anni Sessanta.  Lui, figlio italiano della Diaspora che sceglie deliberatamente di diventare italiano.  Con Orlando Sirola, fiumano e figlio italiano dell’Esodo, diverrà la coppia italiana più forte del tennis in Davis. Per dimostrare che il tennis non è stato per loro uno sport di nobili. Ma di riscatto sociale.  Qualcuno, anche Sinner, si è chiesto il perché della presenza di “Nick” sul podio a Malaga. Presto detto. Oltre ad essere il simbolo del tennis italiano, è stato il capitano non giocatore dei “quattro moschettieri” a Santiago del Cile nel 1976. E lui e Sirola sono stati i protagonisti di quella squadra che, nel 1960, arrivò, per la prima volta, a giocare la finale di Davis in Australia, rompendo dopo quasi trent’anni, per la prima volta nella storia mondiale del tennis, il duopolio finalista fra i “canguri” e gli americani. Ecco, dietro quel “colpo” finale del nostro attuale n. 1 vi è anche questa grande storia che non può essere dimenticata. E bene ha fatto il sardo Binaghi, presidente di Federtennis, ad invitare Pietrangeli sul podio. Senza dimenticare che nel tennis “de su campetto” il sottoscritto utilizzava la racchetta firmata, in legno, “Nicola Pietrangeli”.

Ultimo “passaggio” di Sinner che sarebbe potuto essere accompagnato dalla telecronaca di Giampiero Galeazzi (1946-2021). Il nostro “Bisteccone” nazionale, venuto a mancare troppo presto. Ma che, senza dubbio, avrebbe avuto da dire la sua con i suoi intensi ed incisivi commenti tecnici. Lui che, con semplicità, per il rovescio di Lendl parlava di ” una bomba al Nepal”. Lui che, con l’ausilio tecnico di Panatta,  accompagnava i nostri pomeriggi sportivi alla Rai, commentando Internazionali d’ Italia, Roland Garros e Wimbledon. Quando la TV di Stato, anche in questo senso, faceva veramente educazione e formazione sportiva. Lui che, al nostro giocatore più rappresentativo dell’era “post Panatta “, Paolo Cane’ da Bologna, aveva affibiato quel nomignolo immortale “Paolino la peste”. Ebbene, dietro l’ultimo e decisivo colpo di Sinner vi era anche lui, il nostro caro e compianto “Bisteccone nazionale”. Che da lassù avrà coniato qualche esplosivo aggettivo anche per il tennista altoatesino. Chi, invece, domenica 26  novembre 2023 era a Malaga,  a gustarsi il punto decisivo di Sinner, che ci ha regalato la seconda Davis della storia, e’ stato, in qualità di commentatore tecnico, proprio Paolo Cane’ o, meglio, “Paolino la peste”, l’ultimo italiano, prima della finale, ad aver vinto una partita in Davis contro l’Australia. Ma, soprattutto, colui che nel 1990, proprio nella nostra terra, nella terra rossa di Cagliari, a Monte Urpinu, divenne l’italiano più famoso del momento, sconfiggendo in un match epico, al quinto incontro, al quinto set, in due giorni (la partita era stata interrotta per maltempo) nientemeno che Mats Wilander da Vaxijo in Svezia, allora numero al mondo. Match di Davis che consentì all’ Italia, insperatamente, di superare la più quotata Svezia (che ci ritornò tutto, con gli interessi, nella finale del 1998 a Milano, l’ultima disputata prima di Malaga, “sui tendini sfilacciati” della spalla destra dello sfortunato Gaudenzi). Ebbene il grido di vittoria di Sinner ed il suo ultimo colpo sono anche la prosecuzione ed il compimento, a trentatré anni di distanza di quell’altro grido di gioia ed ultimo colpo di Cane’, lasciato partire prima di stramazzare a terra per poi essere portato in trionfo dai tifosi in delirio. Momento ben descritto da “Bisteccone” Galeazzi in questo modo: “Wilander gli si era opposto in maniera eroica, ma Paolo ha avuto la forza ancora dell’ultimo colpo e ora è caduto morto. Emozioni che solo la Coppa Davis sa dare”. Emozioni, grida e colpi che ora riecheggiano anche nel vuoto desertico de “su campetto” e del nuovo campo da tennis sorto inutilmente. Perché ora quella generazione di tennisti sognatori in erba non c’è più.

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