Andrea Degortes
di CLAUDIO LENZI
Le creti senesi sono un susseguirsi di superlativi. C’è Monteaperti, con la sua battaglia del 1260 fissata da Dante nell’Inferno (Lo strazio e ‘l grande scempio / che fece l’Arbia colorata in rosso) e ricordata ancora oggi; una manciata di strade bianche raccolte sotto il fascinoso appellativo di “Eroica”; file di cipressi ritti ed imperturbabili che fanno da guardia a quella spettacolare marea di colline che si alzano e s’abbassavano verso la Val d’Orcia, patrimonio dell’Unesco. E poi, c’è la casa del re, il re della piazza. Andrea Degortes detto Aceto, 14 Palii vinti a Siena come nessun altro negli ultimi 122 anni, trent’anni fa trionfava per l’ultima volta: “Una giornata bellissima, per me e per la contrada dell’Aquila, che da allora non ha più gioito. Spero vincano il prima possibile”.
Il caldo asfissiante consiglia di ripararsi all’interno, dove tutto è ricordo e celebrazione: ci sono le foto degli arrivi vittoriosi, i trofei della carriera, i regali delle contrade e un’intera parete che ricorda gli amici passati da queste parti, da Luciano Pavarottti a Mel Gibson. Il tempo di brindare con un bicchiere di Vermentino fresco e il racconto può cominciare.
Aceto, facciamo un gioco: è pronto a battersi contro i fantini di oggi? “Un gioco, ha detto bene. Il Palio è fantasia, non è vita o morte come sento dire ai senesi. Se potessi correre farei come allora, andrei a cercare il cavallo più forte. Perché? Vincevo, potevo permettermelo”.
La conoscono in tanti, non tutti. Si presenti. “Sono nato a Olbia in tempo di guerra e fin da bambino facevo il pastore, guardavo le capre. A 14 anni sono venuto in continente, a Roma, sapevo già andare a cavallo e all’ippodromo delle Capannelle sentii parlare del Palio per la prima volta. Mi dissero che era rischioso, mi piacque l’idea, a 21 anni nel 1964 corsi per la prima volta. Ho capito subito il meccanismo e la mentalità di Siena, mentre agli altri fantini non interessava. Per questo ho vinto più di tutti”.
Corre per il Bruco, le danno un milione di lire. A Peppinello che vince nel Drago poco di più … “L’importante era farsi un nome e io c’ero riuscito nelle prove di notte, quelle che precedono l’assegnazione dei cavalli. Ricordo gli applausi di tutta la Piazza. L’Oca mi offriva 500mila lire per correre la prima prova, allora andai nel Bruco, dov’ero in parola per il Palio, dicendo che avevo un’offerta da un milione. A malincuore dovettero adeguarsi e mi staccarono l’assegno. Alla contrada non piacque, infatti dopo la corsa presi qualche manata”.
L’anno successivo vince per la prima volta nell’Aquila. E interrompe la tradizione della questua. “Il fantino vittorioso doveva andare in giro per la città a raccogliere le offerte nello zucchino. Io dopo poco mi rifiutai, ero già stato pagato dalla contrada e mi sembrava brutto chiedere l’elemosina. Da lì a qualche anno l’usanza sparì”.
Dicevano: Aceto come Baresi, gli basta alzare il nerbo e la mossa viene invalidata. “No, anzi. L’unica volta che ho alzato il nerbo per richiamare l’attenzione il mossiere mi ha lasciato al canape”.
È per questo che arrivò a corromperlo? “Due volte. L’idea partì dalla contrada dell’Oca, promisi al mossiere 30 milioni se avessi vinto dopo esser partito fra i primi tre. E vinsi. Allora per il Palio di agosto gliene offrii 50, dicendogli ‘sappi che per questa cifra c’è gente che impugna la pistola e va a fare una rapina, te rischi di meno’. La prima mossa la invalidò, la seconda mi trovò fuori posto e la dette buona. Partii ultimo e arrivai secondo nel Bruco. Nei giorni successivi lo sputtanai in tv, gli detti del venduto”.
É vero che quando si è ritrovato a vincere di meno, pensò di far rapire Bastiano, il giovane fantino in ascesa? “Questa è leggenda. Magari una volta avrò detto di farlo sparire perché vinceva troppo, così per ridere”.
Per ventun anni è stato fantino dell’Oca. La cosa non piacque ai rivali della Torre. “Non tanto per i soldi, perché quando vinci spesso i soldi non ci sono. Ma nell’Oca mi sentivo protetto e se non vincevo con loro, lo facevo nelle altre contrade. Il digiuno della Torre, intanto, aumentava e a qualcuno non andò giù. Arrivarono a picchiarmi anche all’Ippodromo di Livorno. E pensare che nel 1975 il compianto Artemio Franchi, capitano della Torre, mi offrì 500 milioni per lasciare l’Oca. Sono soldi che non guadagnava nemmeno un calciatore, ma fui costretto a rifiutare”.
Nella Torre alla fine ha corso. Nel Nicchio mai… “Perchè la rivale Valdimontone dal 1965 fino all’ultimo Palio del 1996 mi ha sempre dato la mancia per non andarci. E quando ho deciso di rompere il patto, il Nicchio mi ha chiuso la porta in faccia. Quindi siamo pari”.
Quanto ha guadagnato col Palio? “Abbastanza da vivere una bella vita. Avevo comprato una Porsche, una Lamborghini. Dichiaravo 20 milioni. Poi è arrivata la Finanza e mi ha fatto una multa di 1 miliardo e 360 milioni di lire. Con lo sconto ho pagato 550 milioni, ma dalle contrade l’unico aiuto che ho avuto è stata una schedina del Totocalcio, ovviamente perdente”.
E’ stato anche presidente di una squadra di calcio, come il suo amico Gaucci. “Il calcio mi è sempre piaciuto. In questa casa ho ospitato anche Gigi Riva, e quando il Cagliari giocava a Siena mi invitavano ed era un piacere parlare con Zola. A metà degli anni 80, per due stagioni, ho guidato l’Asciano in prima categoria. Appena ho lasciato è retrocesso subito. Il bello era andare in trasferta, quando apparivo in tribuna facevano tutti il tifo per Aceto. Gaucci era un signore, era di un’altra categoria: una volta a casa sua fece trovare un agnello e una forma di formaggio per tutti gli invitati. C’era anche una busta in tavola, all’interno 20 milioni”.
Papa Wojtyla, Enzo Biagi, Pippo Baudo … ho avuto tanti incontri nella sua vita. Ne ricorda uno in particolare? “Maradona. Il problema è che non parlava ancora l’italiano. Con Giannini, invece, fui diretto: Io sono il numero 1, come te ce ne sono dieci nel calcio. Ho sempre avuto una grande personalità, nel bene o nel male”.
Una volta ha dichiarato: oggi i campioni hanno il mental coach, io avevo la maga. “Quando ho vinto l’ultimo Palio, l’Aquila ha dato 10 milioni a una maga che mi aveva predetto il successo. A pensarci bene, credo che abbia ricevuto altri soldi anche dai contradaioli”.
Nessuno dei suoi figli ha fatto il fantino. Come mai? “Per fortuna, dico io. Il Palio se lo vinci ti permette di mangiare un pezzo di pane, altrimenti è dura. Lo è stato anche per la mia famiglia, ero sempre nell’occhio del ciclone. E comunque non avrebbero avuto il fisico adatto”.
“Io sono il numero 1. Come te ( riferimento a Maradona) ce ne sono 10 nel calcio”.
Non credo proprio. Come Maradona, nessuno. Forse Pelè…