di SERGIO PORTAS
Nella strategia che i piccoli comuni italiani, sotto i quindicimila abitanti, mettono in atto per attirare turisti dalla penisola e dal resto del mondo, hanno una non piccola importanza il conseguimento della cosiddetta “bandiera arancione” che il Touring Club assegna dopo un’attenta disamina delle caratteristiche dei posti che ambiscono a ottenere l’ambito riconoscimento, secondo criteri che privilegiano la qualità dell’accoglienza, la sostenibilità ambientale, la tutela del patrimonio artistico e culturale. E, si badi bene, non è che la “bandiera” una volta ottenuta sia tua per sempre, il Touring, un po’ come fanno quelli della “stella Michelin” che vanno a mangiare, in incognito, nei ristoranti che l’hanno conquistata anni addietro, il tutto per accertarsi che la qualità di cibo e bevande non sia nel tempo scaduta, ha una sorta di suoi ispettori che battono l’Italia tutta per accertarsi che una qualche malaugurata elezione comunale, che magari ha visto prevalere un sindaco costruttore di stadi calcistici su un ambientalista innamorato dei boschi, abbia mutato in peggio, cambiandone la filosofia di vita, la fisionomia del borgo. E non si tratta solo di un riconoscimento che lascia il tempo che trova, bensì di quattrini ed economia, ci sono studi che certificano aumenti in presenze e stanziamenti turistici, dopo l’ottenimento dello stendardo color d’arancio, che parlano di 45/60%. Non è certamente un caso che in regioni che hanno fatto dell’offerta turistica una ragione di vita il numero di bandiere sia davvero molto significativo, 40 ne hanno piccoli centri della Toscana e del Piemonte, 24 sono nelle Marche e una di meno ne ha l’Emilia-Romagna, 17 la Liguria, solo 16 in Lombardia. Sette sono in Sardegna e mi vien da dire che siano poche davvero ma, tranne la Puglia che ne conta 13, è tutto il Sud che denota una carenza figlia di una sottovalutazione colpevole dei meccanismi che regolano i flussi turistici internazionali e nazionali, pensate che in tutta la Sicilia vi è una sola bandiera arancione, e che ben due dei suoi paesi siano quelli che l’hanno persa gli anni scorsi, in seguito a politiche del territorio rivelatesi poco virtuose. Nella nostra isola è il capo di sopra a prevalere: Aggius, Galtellì, Gavoi, Oliena e Tempio Pausania, per il Campidano a reggere lo stendardo c’è Sardara, Laconi è solo segnalato. Al Castello Sforzesco di Milano, comune meneghino e Touring Club Italiano titolando: Exploring Bandiere Arancioni, hanno concesso spazio ad alcune delle 274 a oggi assegnate ( i candidati analizzati 3250, non deve essere così facile passare l’esame degli esperti), due giornate aperte a tutti e gratuite in una delle cornici più amate della città, il cortile delle armi del castello. L’intento, naturalmente, è quello di raccontare al pubblico bellezze, curiosità e le diverse sfumature dell’entroterra italiano, quindi incontri, talk, laboratori e stand tra cui passeggiare, dando un’occhiata ai prodotti esposti dell’artigianato locale, e quelli enogastronomici, di sicuro i più vari e saporiti che mente umana possa solo vagheggiare, frutto tutti di tradizioni davvero millenarie. Al centro un’area eventi con vicino una libreria che ospiterà giornalisti ed esperti, ma anche laboratori e degustazioni di prodotti. Sabato mattina, prima dell’inaugurazione istituzionale, il “ web influencer” Andrea Pinna, insieme a Diego Passoni, conduttore radiofonico e scrittore, hanno colorito l’evento raccontando le tragiche esperienze da loro incrociate in alcuni di questi borghi certificati ma non solo, durante i viaggi che hanno fatto nel corso della loro attività di personaggi televisivi. Andrea Pinna, liceo al prestigioso “Dettori” di Cagliari, dove è nato 34 anni fa, è riuscito, grazie al potere mediatico che i “social” sanno moltiplicare per mille elevato a mille, a costruirsi un mestiere del tutto cucito sulla propria pelle, sul suo vissuto, sulle sue stravaganze, sulla sua dichiarata e ironicamente ostentata omosessualità. Ha iniziato con “Le perle di Pinna”, una serie di aforismi molto divertenti che gli hanno decretato il primo grande successo sulla rete, tramutate in un libro per Feltrinelli nel 2012, poi per Mondadori è uscito nel 2015 : “ L’amore è eterno finché è duro”, e sempre per Mondadori il suo primo romanzo: “I panni degli altri”. Nel 2015 si era conquistato l’eterna popolarità nazionale partecipando e vincendo il programma televisivo “Pechino Express”, cui sarebbe seguito un seguito altrettanto fortunato in cui, in prima serata su Rai 4 avrebbe svolto il ruolo di documentarista, alla sua maniera dissacrante. E’ capace di scrivere roba come: “ Tu sei una di quelle persone che si incontrano quando la vita decide di fartela pagare”, ma anche: “Ascoltate ciò che vi dice il vostro cuore. E poi ignoratelo”. Numerosi sono i video che si possono vedere di lui su “Yoy Tube”, dove nonostante sia a Milano da molti anni si può sentire che non ha perso la caratteristica cadenza “casteddaia” che lo caratterizza. Nei due giorni che seguono tutte una serie di iniziative che tramite i racconti dei protagonisti, tutti magnificanti le bellezze dei posti da dove provengono, stuzzicano l’interesse dei partecipanti e portano alla ribalta comuni dai nomi mai prima sentiti: Lama dei Peligni, Ozzano Monferrato, Usseglio, Biccari, Lucignano. E i racconti dei territori sono inframmezzati da assaggi di prodotti e “piccole degustazioni” locali. Nel pomeriggio di sabato, il sole che fa capolino da una coltre di nubi che ha dominato tutta la settimana, tocca a quelli di Tempio Pausania. I contrafforti di granito del Limbara a fargli da sfondo perenne, imbiancati dalla neve d’inverno e splendenti di verde in tutte le sue tonalità, nel resto dell’anno, Tempio è paese di poco più di tredicimila abitanti, anche lui in lenta decrescita demografica. Qui a Milano sono Ilaria Carta, il costume tempiese completamente nero con sottogonna arricchito di ricami di seta, a incorniciare il viso un pizzo candido che scende a sottogola fissato con un bottone sardo di filigrana d’oro, e Paolo Pische di “Tenute Pische”; ha ereditato dal nonno il nome e la passione per la viticoltura, per questo ha lasciato l’impresa di costruzioni che pure era tra le più conosciute in Gallura e si è dedicato anima e corpo a riportare in famiglia la tradizione del passato. Coi fratelli Gesuino e Giovanni hanno messo su un’azienda vinicola a conduzione famigliare, quattro ettari di vigneti di uva vermentino e cannonau per 12.000 bottiglie annue, in località Cala Sarraina, tra Costa Paradiso e Portobello, le viti che quasi si affacciano sul mare, tra ettari di rocce di trachite rossa, che si inebriano del vento salmastro che soffia prima sulle onde facendo ballare spuma bianca sulle rocce. E facendosi seguire da professionisti di primissima qualità, uno per tutti: Andrea Pala enologo in Calangianus, nativo di Luras, classe 1981, enologo dal 2011 con laurea corrispondente all’Università di Pisa, dopo una proficua esperienza nelle cantine dell’Alta Gallura si è messo in proprio e ha iniziato a prestare la sua opera per le aziende vinicole più prestigiose, e non solo sarde. Nel 2021 ha ottenuto il riconoscimento per essere “ il miglior giovane enologo italiano”. Dal 2019 è presidente nazionale Assoenologi Giovani, che gli ha permesso di allargare il proprio “portafoglio di aziende” e di prendere parte a innovativi modi di produzione dei vini sardi, in specie del vermentino di Gallura che si può fregiare della prestigiosa classificazione D.O.C.G. Vermentino che nell’isola di Culuccia, prospiciente l’arcipelago della Maddalena, 300 ettari che rappresentano un modello di eco-sostenibilità esemplare, dove è bandita ogni plastica, l’energia elettrica è fornita da pannelli solari, le colture di viti, mirto e gin non hanno mai sentito parlare di fertilizzanti chimici, ha visto riposare le sue uve in mare, per un breve periodo, prima di iniziare un processo di vinificazione classico. Quelli di “Pische” hanno portato a Milano due vermentini di loro produzione: un “Alba di Ruda” che fa 12,5° e un “Greuli” di 13,5°, ambedue ottenuti dopo una fermentazione delle uve con “pigiatura soffice” e una maturazione in vasche d’acciaio per circa 8 mesi. Colore giallo paglierino brillante, al naso richiamano profumi di “frutta esotica e agrumate”, quello a più alta gradazione alcoolica vanta anche “notevoli ritorni di fiori di gelsomino ed erbe aromatiche”. E un cannonau di classica vinificazione con macerazione delle vinacce per 12/15 giorni e un affinamento in serbatoio per 15 mesi e 2 altri in bottiglia. Ne viene fuori un vino a 14°, rosso con sfumature granate, mi dice Paolo Pische che l’ottiene aggiungendo un 5% di uva Pascale. Grande l’imbarazzo quando si tratta di far assaggiare il vermentino ai presenti usando bicchieri di carta, quando per poter apprezzare tutte le sue caratteristiche è più che consigliato un “calice con imboccatura larga e buona altezza”, e temperatura sui 10/12°C. Racconta anche di Tempio, Paolo Pische, del suo centro storico fatto con la pietra granitica grigia tipica del luogo. Delle sue chiese, il convento degli Scolopi che ospita il museo dedicato al celebre cantante lirico tempiese Bernardo De Muro, la stazione ferroviaria al cui interno i ricchissimi affreschi di Giuseppe Biasi, pittore sassarese che ebbe una vita e una fine travagliata ma che ci ha lasciato opere dai cromatismi brillanti, con scene di vita sarda che ancora oggi commuovono per la loro naturalità. In centro anche la presunta casa di Nino, ultimo re di Gallura, Dante che lo conosceva, l’incontra nella sua VIII cantica del purgatorio, e qui Nino se la prende con la moglie, Beatrice d’Este, che lo ha dimenticato per accasarsi in seconde nozze con Galeazzo Visconti signore di Milano ma: “…Non le farà si bella sepultura/ la vipera che Melanesi accampa// com’avria fatto il gallo di Gallura”. La vipera di cui parla Dante, azzurra che ingoia un rosso omino che si dibatte, spicca quale stemma dei duchi di Milano in bella vista sulla torre del Filarete del castello che ospita questa manifestazione. Ma non sarebbe stata così bella, sulla tomba di Beatrice, quanto lo sarebbe stato il gallo di Gallura. Accenna solo al carnevale storico di Tempio, Paolo Pische, ma del “carrasciali timpiesu” si potrebbe parlare per ore, come della tradizione sulla lavorazione del sughero, con cui oggi ci si fanno letti di designer e persino vestiti d’alta moda. E che dire delle acque filtrate dai graniti che sfociano in fonti purissime, l’acqua più buona del mondo, dice Paolo riferendosi a quella Smeraldina che non a caso sgorga in località “Monti di Deu”, e quella delle fonti di “su Rinaggiu”, nel bel mezzo del paese, famose per le sue qualità curative e per il parco centenario che le circonda. Tempio Pausania, gemma della Gallura, isola di Sardegna, impossibile non farci una visita e assaggiare la sua “Suppa cuata”, pane raffermo in brodo di pecora spruzzata di pecorino, e naturalmente berci insieme del vermentino, per i suoi dolci tipici, le sue frittelle lunghe, gli acciuleddi, treccine di pasta fritta passate nel miele e nelle scorzette d’arancia, il moscato di Tempio DOC è d’obbligo, versato, s’intende, in calici di vero cristallo.