POETA E NARRATORE IN LINGUA SARDA E ITALIANA HA SEMPRE RESO OMAGGIO AL PAESE NATALE VILLANOVA TULO, TERRA DISPERATA E AMATA: BENVENUTO LOBINA, UN IDEALE VIAGGIO A RITROSO

a destra, Benvenuto Lobina

di LUCIA BECCHERE

Ciò che fa di Benvenuto Lobina un poeta e un narratore fuori dal comune è l’immenso amore per la sua gente e la sua terra. La lontananza si ammanta in lui di dolce malattia mentre col suo passare in altri luoghi matura un rapporto privilegiato con quel paese natio che si porta dentro come una ferita mai rimarginata.

Nato a Villanova Tulo nel 1914, appena diciottenne si trasferisce a Cagliari per lavoro dove con alcuni giovani intellettuali fonda il Circolo Futurista.

Nel ‘44 durante il viaggio di nozze ritorna al paese per riappropriarsi delle sue radici. Nel ‘75 pubblica la prima raccolta di poesie “Terra, disisperada terra”, diciannove liriche in sardo che toccano vette di pura poesia.

Primo scrittore in campidanese ad essere insignito del premio “Città di Ozieri” (1964), vince il premio nazionale dipoesia “Lanciano” nel 1975.

Il“Premio casteddu de sa fae”di Posada gli viene attribuito con il romanzo “Po cantu Biddanoa” pubblicato nel 1987. E’ la storia che scorre fra il 1918 e il 1942 a fare da sfondo al suo rievocare senza tempo dove le memorie fluiscono limpide e cristalline in un viaggio lungo e lento dell’esistenza. Ambientato a Vinnanova Tulo, paese posto sulla riva destra del Flumnedosa, scritto in sardo con a fianco la traduzione in italiano, presenta tre livelli linguistici: il campidanese comune (sardo meridionale unificato) dell’io narrante, il sarcidanese dei personaggi e una terza varietà di sardo meridionale con riferimenti lessicali mutuati dall’italiano. Grande il successo della critica.

Lobina è stato anche un assertore convinto dell’uso dell’italiano con la parlata diversificata a seconda del ceto sociale in quanto ognuno di noi sa esprimersi con il proprio linguaggio senza che possa venir meno la dignità e la fierezza del proprio essere. Schivo e profondo, non concedeva nulla al protagonismo. La sua fisicità era lo specchio della sua anima e la proiezione del suo sentire. Parlavano i suoi silenzi, la modestia e la capacità di leggere e comunicare con lo sguardo.

Il suo verso sa d’arte e di poesia, il suo pensiero si scioglie fluente sul foglio nel guidare la sua mano quale estensione del suo animo. (Aveva conseguito soltanto la licenza media da privatista).

Canta il suo paese povero ma speciale a cui da voce in quella agorà di sa Prazzitta, chiassoso contenitore delle voci del mondo dove tutti si ritrovavano e tutti potevano esprimersi, non a caso il primo titolo del libro “Po cantu Biddanoa” era proprio “Sa prazzitta” mentre il silenzio della natura rendeva più penetrante il rumore della guerra dove, per dovere e non per convinzione, andavano a morire tanti giovani che come lo stesso autore rifuggivano dalla violenza delle armi.

E’la memoria che governa le sue rievocazioni quando canta la terra “disisperada” e amata. Sul solco dei versi il mistero di ogni uomo che rappresenta l’umanità intera da cui prende voce. Attore e protagonista degli avvenimenti narrati, ha saputo interpretare l’anima collettiva della sua gente.

Il treno, simbolo di partenze e di abbandoni, è il trait- d’union che lega quel piccolo paese alla vita che scorreva al di fuori.

Nel suo ideale viaggio a ritroso c’è il dolce peregrinare di un uomo, di un poeta e di un narratore che anche nella produzione in italiano ha saputo conservare le assonanze, il ritmo e la forza espressiva della lingua sarda. I suoi scritti sono l’omaggio più bello a Biddanoa, grata al suo illustre cittadino per averla amata e onorata sottraendola all’oblio del tempo. Dopo la morte avvenuta nel 1993 a Sassari, il suo paese ha istituito in suo onore un premio per opere poetiche in lingua sarda.

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