MARIA GRAZIA ZEDDA, DA CAGLIARI A LONDRA, LA SUPERMANAGER CHE NON SENTE: IN INGHILTERRA E’ TRA LE TOP 10 DEL SETTORE PUBBLICO

Maria Grazia Zedda, Photography by Paul Demuth

di ELVIRA SERRA

Preferisce essere chiamata «sorda» o «parzialmente sorda»: «Perché è quello che sono». Il che non le impedisce di andare ai concerti rock: «L’ultimo, in realtà, risale a dieci anni fa, era degli Avett Brothers: basta stare vicino alle casse, i bassi li sento benissimo!». O di farsi prendere in giro a tavola dalle figlie Jamie Francesca e Jessie Valentina, 16 e 15 anni, quando capisce una cosa per un’altra: «Mangiare può essere un momento molto divertente», scherza su FaceTime dalla sua casa nel borgo londinese di Bexley, ai confini con il Kent. Maria Grazia Zedda, 50 anni, è cagliaritana di origine e inglese di adozione. Ma ha vissuto e lavorato in programmi di inclusione anche a San Francisco, Philadelphia e Bologna. È nel Regno Unito, però, che ha lasciato un segno, rientrando nella «Top 100 Influencers Disability» , Top 10 del settore pubblico. Era il 2019 e ricorda quel momento «con un orgoglio tremendo». Racconta: «Ho sempre avuto la spinta a voler cambiare l’approccio della società alle persone considerate di serie B. In più, il riconoscimento è arrivato in tempo di Brexit, una decisione che mi ha addolorato profondamente: ottenere un riconoscimento che mi faceva “appartenere” all’Inghilterra mi ha dato speranza, ho capito che potevo essere un esempio per tante altre persone con disabilità: da quel momento potevano pensare che se ce l’avevo fatta io, potevano riuscirci pure loro».

Maria Grazia Zedda oggi lavora nella High Speed 2, il progetto di ferrovie ad alta velocità più grande d’Europa, dove ricopre l’incarico di senior manager per le Pari opportunità. Spiega: «Il mio compito è di condurre programmi per l’inclusione del nostro staff, circa 1.800 impiegati. Aiuto i vari reparti a produrre politiche inclusive attraverso programmi mirati, come il reverse mentoring: in questo caso affianco un dipendente junior espressione di una qualsiasi diversità per etnia, sesso, religione, disabilità, a un membro dell’esecutivo; così il più giovane diventa mentore del più anziano e lo aiuta a essere più sensibile». Tutta la carriera di Zedda è stata votata all’inclusione. Per esempio è suo e del marito Ian Sheeler, già produttore alla Bbc e a Sky, anche lui con problemi di udito, il programma di e-learning adottato dal Parlamento inglese per comprendere e provare ad abbattere le barriere psicologiche e fisiche vissute dalle persone con disabilità. «Alla fine mi trovo sempre a lavorare in quel campo: vorrei un mondo più inclusivo verso tutte le diversità».

Per certo ha contato la sua storia personale. Sua sorella Anna Maria, cerebrolesa, è morta all’età di tre anni. Maria Grazia ha scoperto la sordità quando era alle elementari. «Avevo imparato a leggere e a scrivere a 4-5 anni, già all’asilo. Poi in seconda elementare, quando si cominciavano a fare i dettati e la maestra girava per l’aula scandendo le parole, io non sentivo e me le inventavo, cosa che mi procurava grandi rimproveri. Finché mi fecero fare l’esame audiologico e scoprirono che ero sorda grave: con la perdita del 90 per cento dell’udito all’orecchio destro e del 75 per cento al sinistro». Oggi usa un apparecchio, solo sul lato sinistro: nel destro sarebbe inutile. Ma a cambiare, in meglio, la sua vita è stato l’arrivo di Microsoft Teams, che inserisce i sottotitoli alle conversazioni. «Non è un caso che a introdurlo sia stata una Chief of Disability donna, sorda come me: è stata una invenzione meravigliosa».

Maria Grazia sente bene le vocali, ma non le consonanti: il che le rende facili le conversazioni in italiano attraverso la lettura del labiale, ma più complicate quelle in inglese. Non mancano momenti di frustrazione. «È pesante stare sempre concentrati, certe battute folgoranti le perdo proprio. Da poco ho litigato con mio fratello Gianfranco perché nella chat di famiglia ha mandato un audio anziché scrivere un testo e io non l’ho capito. Almeno in famiglia non vorrei fare tanta fatica!». Forse, in qualche modo, è stato anche quello un gesto d’inclusione.

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2 commenti

  1. Che sorpresa! E che ci faccio qui?!? 😅

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