di GIANRAIMONDO FARINA
Il centosessantesimo dell’unità d’ Italia ricorre quest’ anno, per anelesi come il sottoscritto, in concomitanza con un altro anniversario che ci sta molto a cuore e che, sebbene nel silenzio generale, abbiamo iniziato a celebrare ed a ricordare: il bicentenario della nascita dell’on. Giuseppe Sanna Sanna. Penso che pochi paesi della consistenza demografica di Anela, sia allora che ora, possano vantarsi di un simile pregio ed onore; anzi, dai documenti storico-statistici analizzati, proprio in occasione dell’inizio dell’VIII legislatura del Regno d’Italia, quella che diede avvio al primo parlamento italiano, il 18 febbraio 1861, emerge chiaramente come il comune di Anela fosse stato il più piccolo paese di origine di un deputato del neonato Regno d’Italia.
Ricordare, pertanto, un momento così solenne, come quello che ha portato al compimento del Risorgimento nazionale senza, comunque, tralasciare le polemiche ed i grandi dibattiti in merito alla reale compiutezza del processo di formazione della coscienza italiana, è giusto e doveroso.
Ancora di più è significativo farlo quando ad esserne testimone è stato un “homo novus” come Sanna Sanna, figlio di pastori, frutto positivo e democratico di quel grande e complesso processo che fu il Risorgimento.
Quando si visita a Torino il Museo Nazionale del Risorgimento e, quindi, Palazzo Carignano, sede del primo Parlamento italiano, ex aula del Parlamento subalpino (occasione capitata al sottoscritto), è molto bello e significativo vedere che negli scranni dei deputati eletti in quella storica legislatura che fece l’Italia, inaugurata il 18 febbraio 1861 e conclusasi il il 7 settembre 1865, figura, nella sinistra parlamentare, anche il nome di Giuseppe Sanna Sanna.
Per capire l’entità e la portata storica di quella legislatura, occorre precisare che il drappello dei deputati sardi eletti era composto di personaggi come Giovanni Siotto Pintor, Pasquale Stanislao Mancini (futuro ministro della Giustizia e dell’Istruzione, già battuto da Sanna Sanna ad Ozieri nelle elezioni per la VII legislatura del Parlamento subalpino ), Stanislao Caboni, Gustavo Cavour (fratello di Camillo, eletto per il collegio di Tempio), Giuseppe Corrias, Giovanni Meloni Baille, Antonio Mureddu Cossu, Francesco Salaris e Francesco Maria Serra. Tutte personalità, se si escludono poche eccezioni, legate a doppio filo alla destra di governo e, soprattutto, alla famigerata “camarilla” isolana contro cui rivolse i suoi strali il deputato anelese, fin dalla direzione della democratica e mazziniana “Gazzetta Popolare”. Quelle elezioni si svolsero sulla base della legge elettorale dello stesso anno, su un sistema classico maggioritario a doppio turno con 443 collegi uninominali, risultando eletti al primo turno i candidati che avevano conseguito più del 50% dei voti, pari ad almeno un terzo degli aventi diritto al voto, altrimenti si sarebbe tenuto il ballottaggio. Gli aventi diritto furono 418.696 su 22 milioni di abitanti circa. Le elezioni si svolsero il 27 gennaio 1861 (primo turno) ed il 3 febbraio 1861 (ballottaggio), con un’affluenza del 51.29% ed il 46 % di voti per la Destra storica, il 20% per la Sinistra storica ed il 2.3 % per l’estrema sinistra, quella in cui si collocherà Sanna Sanna.
Sanna Sanna fu, quindi, eletto per la seconda volta consecutiva , nel collegio uninominale di Ozieri, cui da circa due anni era stato assegnato il mandamento di Bono di cui Anela faceva parte, a seguito anche della soppressione della Terza Divisione Amministrativa di Nùoro, in cui il Gocéano risultava incluso fino a quel momento. La sua vittoria, come, peraltro quella per l’elezione della VII legislatura fu alquanto contrastata e combattuta. Se nella VII legislatura Sanna Sanna dovette avere ragione di una personalità del calibro del grande giurista napoletano come Pasquale Stanislao Mancini, nell’VIII la destra storica, con il sostegno dei “printzipales” logudoresi gli contrappose niente meno che Domenico Berti, accademico torinese, filosofo e futuro ministro della Pubblica Istruzione. Sanna Sanna s’impose al ballottaggio con 571 voti contro 541. Tale elezione, però, fu alquanto contestata, in quanto, sempre in sede di tornata parlamentare del marzo 1861, la Camera dovette prendere atto di un ricorso pendente, guidato da trenta maggiorenti ozieresi, in merito ad alcuni dubbi sulle modalità di svolgimento dello scrutinio avvenuto nella sezione di Bono, cuore dell’elettorato di Sanna Sanna. Ricorso che non ebbe seguito. Conta, tuttavia, segnalare in questa sede come gli avversari “ozieresi” del deputato anelese fossero personalità tutt’altro che sconosciute, ma di calibro e di rilievo assoluto sia del mondo politico che accademico.
Questo non fa altro che rilevare, comunque, il ruolo veramente importante che, all’interno di questo nuovo Parlamento assunse il deputato di Anela, collocandosi, per idee e convinzioni, all’estrema sinistra parlamentare, dai cui banchi porterà avanti, purtroppo spesso “in solitaria”, se non coadiuvato da Salaris o da qualche amico mazziniano come Valerio, le sue battaglie per la Sardegna.
Sanna Sanna, infatti, mancando la presenza, in questa legislatura di persone sarde a lui amiche o più congeniali nell’avvalorare la sua lotta politica come Asproni e Tuveri, non eletti, si troverà, a volte, isolato nella presentazione delle sue interpellanze al cospetto di un’ala governitvo-parlamentare piuttosto compatta.
In primo luogo, il suo famoso discorso del gennaio 1862, “in un parlamento nuovo”, lo porterà, con coraggio, al cospetto di una Camera riunita appositamente, a fare della questione isolana una “questione nazionale”, primo fra tutti i deputati sardi eletti.
In secondo luogo, sempre in quel gennaio 1862, qualche giorno dopo l’interpellanza parlamentare sulla Sardegna, Sanna Sanna confermerà anche le sue doti di uomo di azione, smentendo quella gran parte degli storici e storiografi, anche attuali, sardi che, all’unisono, insistono nel descrivere i deputati isolani di quel periodo come piuttosto arrendevoli all’imposizione voluta dai governi della Destra storica, tutta tesa a mettere da parte le questioni locali e/o regionali per il sommo obbiettivo del perseguimento del risanamento delle finanze statali.
Ebbene, Sanna Sanna, anche in questo, rappresentò un eccezione nel silenzio generale. Sarà l’unico deputato isolano a perorare effettivamente le posizioni delle amministrazioni locali sarde in merito all’annosissima e secolare questione dei beni ademprivili, “la madre della questione sarda”, consegnando, nella tornata del 25 gennaio 1862, a tutti i deputati ben 400 copie del progetto di legge della deputazione provinciale di Sassari, al fine che il “parlamento nuovo” ne potesse, veramente, prendere visione.
Tentativo, purtroppo, inutile, visto che, di fatto, il governo aveva saldamente deciso di sopprimere i beni ademprivili, arrivando alla legge dell’aprile 1865, controversa, che darà seguito alle sanguinose rivolte rurali de “su connottu”.
La proclamazione del Regno d’Italia fu, quindi, un atto formale, avvenuto con atto normativo del Regno di Sardegna, con legge del 17 marzo 1861 n. 4671, punto di coronamento di tutto il processo unitario e risorgimentale, a seguito anche dei precedenti plebisciti di annessione.
Quello che ne uscì fu, poi, un nuovo parlamento nazionale, numerandosi come VIII legislatura del Regno d’Italia, in continuità con quella del Regno di Sardegna.
E’ bello ricordare ed immaginarsi, quindi, il nostro avvocato e deputato là seduto ad ascoltare ed in piedi ad acclamare il proclama solenne del Discorso alla Corona pronunciato dal Re.
E’, altresì, bello ricordare che Sanna Sanna era presente anche alla lettura del discorso di risposta al Re, redatto dall’on. Giuseppe Ferrari, datato 13 marzo 1861, che dichiarava al sovrano: “I suffragi di tutto il popolo pongono sul vostro capo benedetto la corona d’Italia”.
Discorso ancora più significativo e realistico fu quello della commissione apposita della Camera, guidata da Ricasoli, del giorno successivo, 14 marzo, cui assistette anche il deputato anelese.
Tra le altre cose, nel testo predisposto dall’on. Giorgini, si legge: “(…)Quanti siedono sui banchi di questa Camera, tutti abbiamo lavorato diversamente per la medesima causa, tutti abbiamo portato la nostra pietra al grande edifizio, sotto il quale riposeranno le future generazioni”.
Ed è un po’ lo stesso animo che governerà l’azione di Giuseppe Sanna Sanna: anche egli, a buon diritto, può considerarsi un padre del costituito Regno d’Italia, per la cui creazione aveva speso interamente tutta la sua vita, auspicandosi una Sardegna migliore dal punto di vista economico e sociale.
Ebbene, a circa 25 anni da quegli eventi che lo avevano visto diretto protagonista, però, in un suo piccolo scritto del 1872, intitolato “Le grandi utopie della Sardegna”, facendo un poco una disamina delle sue battaglie, scriverà delle frasi quasi profetiche, ammonimento anche per la società dell’oggi. Parlerà realisticamente della fusione perfetta della Sardegna con gli Stati sardi di terraferma, avvenuta nel 1847, descritta come “un atto voluto di disperazione, più che di entusiasmo per la libertà”. “La Sardegna”- scriverà- “fu trattata né più né meno che come una colonia ad uso francese, facendone finanche una terra di deportazione”.
Tuttavia, in queste pagine si legge anche una speranza, dovuta al compimento del Risorgimento nazionale, senza il quale la Sardegna, “fra le disgraziate provincie d’Italia, sarebbe stata la più disgraziata”. Ed ecco l’ammonimento finale, valido anche per l’oggi: “(…) Questo è un fatto che gioverà a migliorare le condizioni dell’isola, a posto che il paese (l’Italia) si scuota dal letargo in cui gioca da molti anni, sia bene e coscientemente rilevata la sua presente condizione, e si avvisi da senno ai più efficaci rimedi che volgano a migliorare le condizioni civili ed economiche del paese (…)”.