CALA GONONE, QUEL CHE RESTA DI UNA COMUNITA’ CHE HA SVENDUTO L’ANIMA AL TURISMO

di GAETANO MURA

Quel grand’uomo che era Don Salvatore Fancello me lo diceva sempre: “Una gran fatica invernale per ricucire insieme le toppe logore di una “comunità” che ti si sbriciola  tra le mani  ai primi raggi del  sole  estivo”

E noi, tutti insieme responsabili, abbiamo guardato silenziosi che un pugno di interessati barattassero sino all’ultimo brandello di comunità  sacrificandone  le spoglie al Dio turismo  e  al Dio   danaro che hanno entrambi ringraziato cancellando con un colpo di spugna, nemmeno  troppo pulita, la nostra storia. La  nostra cultura millenaria, il nostro  orgoglio, quel senso atavico invidiabile di appartenenza a una terra che da sempre ci  regala il privilegio della bellezza e una potenziale qualità di vita che ben presto non avremo più.

Ma cos’è una comunità? Non dovrebbe essere quell’insieme di persone unite tra loro nei rapporti sociali, linguistici e morali, nei vincoli organizzativi, nei comuni interessi e consuetudini? Possibilmente aperti al mondo, all’accoglienza e a quella ospitalità  che, nel caso specifico, è radicata da sempre nella nostra cultura?

E a cosa serve il danaro, ben venga, se non a migliorare la qualità della vita che è un diritto di ognuno di noi?

Cala Gonone ha ceduto, suo malgrado, il senso di comunità per proclamarsi località turistica e basta. Una grande  e fatiscente  nave da crociera senza  più timone, senza capitano, senza più  equipaggio, alla mercé di animatori inconsapevoli o spregiudicati pronti a svendere al ribasso ciò che dovrebbe appartenere  a tutti.

Eh si, perché l’accesso al  bello, a tutto ciò che la natura ci da temporaneamente in usufrutto è un grande privilegio. E quando si ha la fortuna, oltre che il  privilegio, di guadagnarsi da vivere utilizzando il bene comune, bisognerebbe esserne ogni giorno riconoscenti e avere occhi di riguardo per chi fuori da  questi interessi si sforza di resistere durante una stagione che è ormai ben più lunga  dei classici tre mesi, a favore di un miglioramento generale che purtroppo non c’è. E parlo con cognizione dal momento che io stesso in quel piatto ci ho mangiato a lungo.

Altro che divulgare video di appelli provocatori al governo con scene patetiche di oggetti che volano per aria, come  protesta capricciosa di un accampato diritto allo sfruttamento del bene comune, non solo privo di  alcuna riconoscenza per i diritti gratuitamente  acquisiti, con meriti che non si hanno, ma vestendo  con disinvoltura  e supposta eleganza i panni di un assistenzialismo così sfrontato  da sembrare radicato  nel DNA stesso.

È sempre più difficile intravedere i benefici  del vivere nel nostro paese: file dovunque, parcheggi scarsi e a pagamento, negozi cari, strade fatiscenti di cui la stessa vegetazione si riappropria per mancata cura, specie, a proposito, nei luoghi dove lo sguardo del Dio turismo è più distratto. Fogne che esplodono, spiagge impraticabili per il tanto affollamento, migliaia di barche e gommoni  che non hanno bisogno di presentazioni tanto  monopolizzano la nostra  costa, così come il povero vecchio porto, il peggiore in tutti i sensi che io abbia mai frequentato.

I nostri anziani a sedere sotto il sole su panchine prese in prestito ad assistere   impotenti a  questo sfacelo, bambini senza alcuno spazio che gli appartenga. Una società che non privilegia gli anziani,  la nostra memoria,  e i bambini,  il nostro futuro, è una società senza speranza. In un paese senza cimitero non  si può nemmeno morire, figuriamoci se  può essere considerato una comunità.

Potrei andare avanti a lungo sui prezzi folli di un’acqua imbevibile  e  le strade senza controllo sulle quali motociclisti austriaci e tedeschi arrivano a correre come in pista nel totale disprezzo delle supposte regole e dell’incolumità altrui.

Andate un po’  a curiosare   sui loro forum,  “andiamo in Sardegna a correre in moto, puoi fare impunemente  ciò che vuoi”. C’è una adorazione per il turista anche se indisciplinato, anche se viene a fare in casa altrui ciò che gli è precluso in casa propria. Lì le regole si rispettano, eccome. Questa   è una forma più moderna di neocolonialismo, non troppo diverso,  per certi aspetti, dal turismo sessuale nei paesi poveri.

Ci sarebbe da indignarsi all’infinito ma preferisco fermarmi qui per un invito alla riflessione.

C’è un nuovo fenomeno che ha cominciato a prendere piede negli ultimi anni e che sembra essere esploso in quest’ultima stagione, post Covid ma non troppo.

I mega yacht alla fonda nel nostro golfo.

Armatori  plurimilionari, alcuni dei quali si  sentono  in diritto di pronunciarsi con disprezzo sul nostro modo di essere, stanchi e annoiati della inflazionata Costa Smeralda  preferiscono dar fondo alle ancore dei  loro  grattaceli galleggianti  proprio a casa nostra,  oscurando gli orizzonti di giorno  e negando di notte  alla costa  selvaggia e ai suoi animali uno dei pochi privilegi che gli restavano: il diritto di dormire al buio!

Ognuno di quei mostri  illuminati come discoteche necessita di centinaia, se non migliaia, di kilowatt  di energia elettrica al giorno, per produrla  sono necessari   diesel/alternatori   da  migliaia di cavalli che stanno accesi giorno e notte a pochi metri dagli arenili. Questo inquinamento si somma  agli altri scarichi, alle moto d’acqua, ai tender che si avvicinano al nostro porticciolo solo per scaricare la spazzatura e, naturalmente, ai danni del nostro locale assalto selvaggio al mare e alla  costa, in questo non siamo di certo secondi a nessuno.

Ma  il passo successivo, ben più grave se questo fosse mai possibile, visto che ci sembra ogni anno di avere toccato il fondo, è la storia  che lo dice,  saranno le grandi navi da crociera. 

Vedremo quelle immensità, sostare davanti Cala Luna, a Cala Mariolu, a Cala Sisine  che subiranno  la stessa triste sorte di  un atollo delle Bahamas o dei Caraibi. Le subiremo impotenti mentre rigurgitano con le loro scialuppe migliaia di vacanzieri che poi torneranno a bordo per il rancio col souvenir di qualche selfie, un sacchetto di ciottoli e sabbia,  e nemmeno un saluto. Sarà un grande danno anche per  quell’economia nautica locale che ora si contende, a spicchi sempre più piccoli, una torta ormai nemmeno tanto buona.

Io credo che si sia ancora in tempo, malgrado tutto, che esista ancora un’opportunità, tutti insieme come un vero equipaggio, di risalire a bordo, riprendere il comando della nave, riparare il timone 

E fare rotta  verso  una vita più dignitosa e di qualità per tutti anche approfittando, con coscienza e riconoscenza, di  ciò che la natura ci ha concesso.

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3 commenti

  1. Allora, dovevano rimanere capre e pecore

  2. Rileggo questo articolo a distanza di un paio d’anni, e noto come non sia cambiato niente…il turismo di massa sta uccidendo, ormai neanche troppo velatamente, la nostra cultura e la nostra natura.
    Chissà se prenderemo coscienza in tempo per fermare questo declino e salvare il salvabile…

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