di LUCIA BECCHERE
È un vero percorso esistenziale tracciato da chi canta l’animo umano dal punto di vista privilegiato dell’intellettuale e poeta, quello che scopriamo nella silloge In direzione di mete possibili (stampato da LietoColle, Varese) di Giovanni Graziano Manca. L’autore, 58 anni, è nato a Nuoro e lavora a Cagliari, laureato in Filosofia, è autore di Il sale e la luce e Microcosmo.
Strutturato in tre parti – ognuna delle quali è introdotta da una poesia di Giorgio Caproni (1912/1990) poeta del sole, della luce e del mare –, il testo contiene delle liriche prive di titolo proprio per offrire al lettore la soggettività dell’interpretazione e la scoperta del tema che l’ha ispirata e per gustarne al meglio la sua intima voce. Come Caproni, l’autore racconta la sofferta realtà quotidiana, ne sublima il tormento della sua aspra solitudine lasciando tuttavia spazio alla speranza verso mete possibili.
I frequenti ossimori (riso pianto, nero bianco, luci ombre) sottolineano la precarietà dei confini fra le cose, mentre il sogno e il desiderio di libertà sono una tiepida carezza al cuore che tempera lo stato d’animo del poeta che portato al pessimismo descrive angoli di memorie e muri di pianto, mettendo a nudo l’uomo sensibile che scruta la profondità del suo io, accarezza il buio e soffre di fronte all’incomprensione dei mediocri. Musica e silenzi fungono da colonna sonora agli intimi percorsi « Filamenti di suono/ come di sassofono/ di notte tracciano nuove vie », mentre il tempo regola l’armonia del mondo « e le ore accordano i rintocchi/ e i raggi del sole quella dello spirito».
L’uomo si affanna alla ricerca disperata della sua dimensione esistenziale, alla ricerca della felicità, per l’autore mete possibili in cui l’anima si acquieta « in questa terra tranquilla/ dove non mancano approdi » mentre rivolge il suo pensiero verso caldi raggi di sole che fanno sperare in una schiarita dell’umana esistenza. Se la calma lascia spazio alla speranza, tutto ritrova la sua giusta dimensione quando l’animo placato ammira la rinnovata armonia della quiete e, soltanto allora, dalla morte nasce la vita e dalla solitudine la comunione fra i popoli. Quando speranza e solitudine si avvicendano sprigionando ancor più l’angoscia che affligge l’uomo moderno e quando la ricerca esistenziale si fa più faticosa, lo invade lo scoramento nel constatare la debolezza dell’uomo che rinuncia.
Ma la soluzione giunge «dalla densa fanghiglia che si solidifica sul fondo delle scarpe », quando la luna fa schiudere i fiori sul balcone e la preghiera rinnova le danze della vita.
L’uomo solo è portato a riflettere sulle fatiche del mondo, mentre il sogno « frutto asprigno dolce di ardore» rinnova e dispensa aromi, culla speranze. L’uomo solo, prima di raggiungere «il sublime golfo» deve superare le asperità quotidiane «quella scalinata di pietra/ tortuosa e disadorna/ camminando a piedi nudi/ sul sasso diventato sabbia ».
Così l’inquietudine del poeta si placa dinanzi alla bellezza del creato, ne canta il paesaggio fino a fondersi in esso. Solo così tutto volge al bello, l’arcobaleno annuncia la fine della tempesta e arriva l’incanto, l’amore frastagliato si placa, l’urlo dei venti si acquieta dando tregua al tormento solo con la conquista di quella pace interiore così tanto agognata e solo dopo tanto lottare il verso sprigiona il suo canto: « il rigagnolo di folle tempesta/ adesso danza/ allenta gli ormeggi e issa alta la sua vela » verso la salvezza.
Poesia intima e raffinata, fatta di tenui pennellate che lasciano indefiniti i contorni del tempo e dello spazio affinché ogni uomo possa trovare la sua giusta dimensione. Versi che mettono a nudo la spiccata sensibilità del poeta che su di sé avverte il peso di tanta solitudine ma che non smette di lottare per la sua salvezza e quella di tutti gli uomini, alla conquista di mete agognate e che proprio nel silenzio trova la forza per riemergere dagli abissi « in direzione di mete possibili» dove il sole illumina ogni oscurità.
per gentile concessione de https://www.ortobene.net/