di ANTONIETTA MAZZETTE
Il partito del ministro dell’interno ci ha messo a conoscenza della sua volontà di proporre sgravi fiscali (almeno per dieci anni) ai pensionati italiani che decidono di andare a vivere nelle regioni del sud. Non mi sarei soffermata su quello che mi pare l’ennesimo spot promozionale (c’è sempre una campagna elettorale alle porte e, anzi, in Sardegna prossimamente ve ne saranno due), se non fosse rimbalzato sui giornali come proposta utile a contrastare lo spopolamento dei paesi delle aree interne della Sardegna.
Per la verità, l’ipotesi di applicare il modello portoghese all’Isola, cioè quella di attrarre pensionati da altri Paesi e non (solo) dalle altre regioni italiane, era già venuta ad un assessore regionale in carica, che l’aveva presentata come una concreta politica anti-spopolamento. Perciò niente di nuovo sotto il sole da parte della Lega. Ma se per un attimo pensiamo che questa comunque sia una buona idea, allora dobbiamo vedere concretamente se e come possa funzionare.
Ebbene, circa l’84% dei comuni sardi è al di sotto dei 5000 abitanti e di questi buona parte è a rischio di estinzione nel prossimo futuro, per un insieme complesso di criticità e fragilità.
Mi limito ad indicarne tre:
- Sono paesi per lo più lontani dai centri economici e, comunque, la condizione del nostro sistema viario non consente di colmare le distanze in modo rapido e comodo;
- In questi comuni sono praticamente scomparsi i servizi di base (a partire dai presidi sanitari) che ormai sono concentrati, insieme a quelli rari, in pochi centri situati per lo più nelle aree urbano-costiere;
- Sono luoghi dove il progressivo calo demografico, l’invecchiamento della popolazione e la “fuga” della popolazione attiva hanno impoverito persino le forme relazionali, oltre quelle materiali.
Si tratta, insomma, di ampi territori doppiamente “periferici”, sotto il profilo spaziale ed anche sotto quello cosiddetto “aspaziale”. Intendendo per quest’ultimo tipo di perifericità il fatto che una parte importante della vita sociale è ormai de-territorializzata grazie alla diffusione delle tecnologie digitali. Il che significa anche che sono andate formandosi due forme di spazio, dei luoghi e dei flussi; il primo si esprime con la corporeità dello stare, mentre il secondo è l’esito di una sommatoria di pratiche sociali simultanee e a distanza, che comprendono anche la circolazione delle immagini e un numero potenzialmente infinito di informazioni.
Le due forme di spazio non sono separate tra loro ed, anzi, l’una alimenta l’altra e viceversa. È evidente che i protagonisti di queste due forme di spazio appartengono prevalentemente alla popolazione più giovane e a quella più mobile e attiva, mentre da queste forme di spazio viene di fatto esclusa la popolazione più vecchia e meno acculturata che, per sua natura, è anche quella più statica, ma è marginale anche quella che è stata espulsa dal sistema produttivo e del lavoro, o che non vi è mai entrata: si pensi ai molti giovani che non studiano e non lavorano e che vivacchiano nei nostri paesi.
La doppia perifericità spaziale e aspaziale si rileva in quasi tutte le aree centrali dell’Isola, dove vi è anche il più alto indice di vecchiaia e di dipendenza.
Ebbene, se questi elementi hanno un fondamento, come potrebbero dei vecchi invertire il processo di spopolamento? Come potrebbero costoro essere attratti da luoghi privi dei servizi più elementari, anche con pensioni detassate? E comunque quali zone del sud sceglierebbero? Sicuramente non le aree interne, bensì le medesime aree urbano-costiere dove già si è spostata gran parte della popolazione locale e per le stesse ragioni.
Se andiamo al di là dell’ennesimo spot per i creduloni, probabilmente arriveremmo alla conclusione che la detassazione è, nei fatti, anche se non nelle intenzioni, un incentivo allo spopolamento. Sarebbe ora che la politica entrasse nell’ordine di idee che lo spopolamento si combatte con ben altre armi, più complesse di una trovata fiscale.