di VALERIA DI GIULIANO
Fabio Marceddu ha presentato a New York al festival InScena! 2018 il suo monologo F.M. e il suo doppio. Lo spettacolo vuole essere un “regalo per suggerire gli strumenti per affrontarsi, accettarsi ed essere sempre se stessi, a volte scomodi ma liberi”. F.M. e il suo doppio, scritto, diretto e interpretato da Fabio Marceddu con la collaborazione alla regia di Antonello Murgia, è uno spettacolo prodotto dal Teatro dallarmadio, una compagnia teatrale di professionisti del teatro, della musica e della scenografia. Il nome stesso dell’associazione, nata nel 2005, suggerisce l’infinità di segreti, fantasie, leggende che l’armadio non sa, né può sapere, per sua stessa natura, di contenere. Il lavoro e la storia della compagnia si fondano sulla ricerca continua e l’individuo è al centro di ogni lavoro. Il percorso artistico del gruppo si snoda su vari livelli, passando dal teatro dei grandi maestri del passato fino ad arrivare a nuove forme artistiche, permeabili alle contaminazioni. In F.M. e il suo doppio, vincitore del Premio del Pubblico al festival Le voci dell’anima 2016, si racconta il mondo che cambia, con lo sguardo di un adolescente inquieto, alla ricerca del suo “ego stabile”. F.M. è il racconto di una vita, di una porzione di vita, dove il motore è il teatro. Si parla dell’amore per il teatro, della necessità di fare teatro e della difficoltà di essere attori, soprattutto nella periferia di un paese.
Ci racconti la genesi di questo progetto? Il progetto di F.M. e il suo doppio ha radici nel 2011. In quell’anno il mio collega Antonello Murgia prese due anni sabbatici per laurearsi in Regia Cinematografica all’ICMA (Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni) di Milano e io dovevo pensare a come far andare avanti la compagnia producendo opere snelle che potessero essere di sicuro interesse e “agite” in qualsiasi luogo. Così quando una compagnia cagliaritana Il crogiuolo mi offrì la possibilità di fare un monologo che parlasse di teatro io aderii al progetto sfidandomi e fissando una data, certo che in 6 mesi a partire da quel momento sarei riuscito a confezionare un reading che raccontasse la mia vita teatrale; le altre vite parallele (università, salute e altri lavori) qui son solo citate. E così fu. Dall’ottobre 2011 al marzo 2012 lavorai per questo primo germoglio di F.M. e il suo doppio che aveva come sottotitolo 24 anni di miscellanea di teatro (oggi sono 30). Infatti come dico nel monologo il mio primo laboratorio teatrale lo feci a 16 anni nel 1988.
Quali sono i punti di forza dello spettacolo? Perché è da vedere? Credo che lo spettacolo è forza in sé, perché mescola generi differenti e racconta in modo ironico e leggero il difficile percorso adolescenziale form-attivo di un giovane alla ricerca del suo mondo umano, sessuale e “futuribile”. I punti di forza sono la capacità di non subire la vita ma di cavalcarla, i cambi veloci semplici e genuini, gli elementi comici e drammatici perfettamente fusi e la musica che è parte della drammaturgia. Inoltre lo spettacolo racconta il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica Italiana vista con gli occhi di un giovane sardo trapiantato in Calabria. Uno va a fare l’attore, va a fare il provino da Proietti e questo lo spedisce in Calabria! Sembra quasi un paradosso per un sardo confinato in Calabria e invece fu una rivelazione! È assolutamente da vedere, per gli italiani, perché è un po’ uno specchio dove riconoscersi e apprendere. Per gli americani perché conferma e disconferma tanti luoghi comuni.
Cosa significa per te andare in scena a New York? New York è il presente. È il tempo che è in movimento e fermo. È la bellezza delle arti, la sintesi sincretica dello scibile umano e artistico. È tante punte riflettenti che si elevano fino alle stelle. È il sogno del tutto possibile. È l’Atlantico dove tutti coloro che non potevano parlare hanno potuto navigare e avere voce. È il riscatto da un teatro Italiano che, come quasi tutto il suo universo artistico, è troppo impegnato a preoccuparsi di ricordarsi di chi siamo e da dove veniamo, e poco si interroga su dove stiamo andando. New York è la scienza della recitazione, la cattedrale delle emozioni, la terra promessa per dirla con Milena Agus, è il luogo dove riposa Rachmaninov come ricorda il mio regista collaboratore Antonello Murgia. E se riposa lui a New York, allora è proprio il paradiso degli artisti. Inoltre ho un conto in sospeso: nel 1988 vinsi una borsa di studio e frequentai per 20 giorni una scuola superiore di San Francisco. Prima di quel viaggio, dove feci solo scalo nella Grande Mela, una compagnia di teatro della mia città mi offrì per la prima volta un ruolo in uno spettacolo che avrebbe poi avuto grande esito anche a livello nazionale. Io scelsi San Francisco senza visitare New York, oggi grazie al teatro e ad InScena! scelgo entrambi!
Chi è o cos’è F.M.? FM sono le iniziali del mio nome. Ma sono anche le frequenze medie, maschile e femminile. Il mio genere che accompagna le mie iniziali. Come dico nel mio spettacolo, “Il mondo scelse prima di me”, ero già gay prima di sapere quale fosse il mio orientamento. Mi insultavano nella variante regionale sarda “femminedda”, che vuol dire mezza femmina. E sono stato molto perseguitato per questo, anche fisicamente. Ai tempi non c’erano i social network, bastava avere gambe veloci per scappare e potevi sottrarti al pubblico ludibrio oltre che all’insulto e alla violenza fisica. F.M. è anche questo. La storia di chi non vuole etichette. La storia di chi non ha preso il pullman per cinque anni per evitare i bulli o la storia di chi a ricreazione non ha mai frequentato i bagni maschili per evitare gli assalti dei compagni di altre classi. Ma è anche tanto amore e tanta trasformazione. Esiste un tempo per ogni cosa. FM racconta una porzione di tempo e la rivincita. E questa rivincita ha come arma più potente il teatro.
Quali sono i personaggi che presenti nel tuo one man show? In primis ci sono io, poi ci sono mia madre, grillo parlante scomodo ma necessario nel percorso form-attivo. Madre italiana inizialmente omofobica, che in questi trent’anni è cresciuta con me. Poi ci sono i maestri di teatro, il primo teatro di ricerca in Sardegna ispirato a Grotowsky mediato da Barba. Poi c’è il provino con i docenti di Strehler, poi Proietti e poi Alvaro Piccardi. Poi c’è il laboratorio con Stiefel, assistente di Ariane Mnouchkine del Théâtre du Soleil. Poi Vassiliev e Arias. E poi OrnellaVanoni che recita Max Aub. Poi un regista tosto, Marco Gagliardo. E poi ci sono le canzoni del Funambolo e di Antonello Murgia, c’è Napoli, la Calabria, la Sardegna, i polacchi e la Polonia, il teatro ringhiera di Praga e Amsterdam! Sembra teatro on the road, ma è molto meno e molto di più!
Cosa vuoi trasmettere al pubblico attraverso il tuo spettacolo? Ognuno prende quello che vuole prendere, quello di cui ha bisogno. Ma vorrei che arrivasse questo concetto: non bisogna star fermi sulle proprie posizioni siano esse sociali o ideologiche. La diversità, se si ha il coraggio di viverla in sincerità e trasparenza, può essere un punto di forza, un trampolino. Non bisogna piangersi addosso e diventare bersaglio, ma neanche essere arieti di fronte a muri di cemento armato. “Seppi cogliere l’opportunità” dice Seneca. Io dico anche che se lanciamo sfide e promesse all’universo, l’universo ci risponde. Io ho avuto anche un grande maestro, la fede, e la pratica di Nam-myoho-renge-kyo mi ha sostenuto aiutato e difeso in questo percorso durissimo; quando mi sembrava che tutto fosse perduto, riapriva scenari e mi rimetteva in gioco. Vorrei trasmettere la gioia di una vita, una porzione di vita, la mia, non facile, trasformata in un one man show. Lo spettacolo è un mio regalo per suggerire gli strumenti per accettarsi, affrontarsi, confrontarsi, rimettersi in gioco, ascoltare ma essere sempre se stessi, a volte scomodi ma liberi. E dirlo qui, a due passi da quella statua che inneggia ancora e giustamente alla libertà, ha il sapore dell’impresa impossibile che diventa realtà.