di Paolo Salvatore Orrù
Depistaggi, interessi, eccessiva superficialità nelle indagini. A quasi 27 anni dal rogo in cui morirono 140 persone, la verità non è però più totalmente avvolta dalla nebbia. Finalmente uno sprazzo di luce. Il disastro del Moby Prince avvenne la sera del 10 aprile 1991, quando il traghetto e la petroliera Agip Abruzzo entrarono in collisione nella rada del porto di Livorno. In seguito all’urto si sviluppò un incendio che causò la morte delle 140 persone, si salvò solo il mozzo Alessio Bertrand. Oggi la Commissione parlamentare di inchiesta pensa di aver individuato la verità. “In due anni di lavoro, i parlamentari guidati dal senatore Silvio Lai hanno avuto spesso la sensazione di essere presi per i fondelli dai testimoni che avevano convocato. Non si sono rassegnati. Quesiti, consulenze tecniche, perizie. Non tutti i punti oscuri sono stati chiariti. “Ma affermiamo con sicurezza di aver raggiunto una ricostruzione decisamente più vicina alla realtà storica”. Almeno una parte di questa attesa verità. La ricostruzione è talmente verosimile che la Procura di Livorno ha ritenuto opportuno riaprire l’inchiesta, “atti relativi contro ignoti”. Spiega Loris Rispoli, presidente di “140”, l’associazione delle vittime, che si tratta di un risarcimento. “I pm lavorarono malissimo. Speriamo che ora si possa chiarire davvero, partendo dal lavoro della Commissione”. Lo scorso dicembre, l’audizione di Guido Frilli, è stata fondamentale. Frilli aveva infatti sostenuto che in rada non c’era assolutamente un filo di nebbia (che sinora era stata considerata la vera colpevole della tragedia). Lui è un testimone oculare: all’epoca dei fatti abitava sul lungomare di Livorno proprio davanti al luogo del disastro. Si legge nel resoconto della commissione di inchiesta: “affacciatosi alla finestra quella notte, ebbe la percezione di una perfetta visibilità tanto che vide la sagoma della petroliera con alcune persone che correvano lungo il ponte, mentre un altro corpo, avvolto dal fumo nero, si muoveva poco più a nord”. Particolari che potevano essere osservati, vista la distanza, solo con l’assenza di nebbia.
Nella relazione della commissione salgono subito all’evidenza cinque punti: “Si esclude che la nebbia sia stata la causa delle tragedia… Non c’è stato, prima del disastro, un fenomeno atmosferico di generale riduzione della visibilità in rada”; “il comando della petroliera non ha posto in essere condotte pienamente doverose”. Il traghetto rimase incagliato per alcuni minuti nella motocisterna. “C’era il tempo per valutare la situazione e dare le corrette comunicazioni ai soccorritori”; dalla Capitaneria di porto di Livorno non partirono ordini precisi per chiarire entità e dinamica dell’evento e per ricercare la seconda imbarcazione”. Ovvero la Moby. I soccorsi si concentrarono soltanto sulla petroliera. “Ci fu impreparazione e inadeguatezza”; “ci sono punti non congruenti”, questo l’eufemismo usato dai relatori, “sulle attività della petroliera e sul suo tragitto compiuto prima di arrivare a Livorno”.
“Ci si è chiesti se la rapidità con cui si è giunti ad accordi fra compagnie e armatori non abbia contribuito da subito ad abbassare il livello di attenzione sulla tragedia”. “Il quinto e ultimo punto – ha spiegato il Corriere – è anche il più scabroso. Ci è voluto l’intervento della Guardia di finanza per recuperare il documento da un broker delle isole Bermuda, dov’era custodito. Il 18 giugno ‘91, a Genova, viene siglato un accordo tra Navarma, proprietaria di Moby Prince, e Snam-Agip spa, armatore della petroliera. Le due parti rinunciano a qualunque pretesa di indennizzo reciproco. Sono passati appena due mesi dalla strage. Ancora non si sa nulla. Ma non si attendono gli esiti dell’inchiesta della magistratura, appena agli inizi. “In solo due mesi, gli armatori e le loro compagnie assicuratrici si accordarono per non attribuirsi reciproche responsabilità, non approfondendo eventuali condizioni operative o motivazioni dell’incidente attribuibili ad 1 dei 2 natanti”.
Moby Prince era assicurata con una estensione della polizza ai “rischi di guerra”, benché navigasse solo nell’alto Tirreno.
L’armatore Vincenzo Onorato ha detto che la pratica era abituale. I consulenti della commissione sostengono che invece “non era giustificata”. “Anomalo appare anche il fatto che a fronte di una valorizzazione a bilancio del 1991 di circa 7 miliardi di lire, il traghetto fosse assicurato per 20 miliardi, cifra liquidata nel febbraio del 1992. A indagini preliminari ancora in corso”. La commissione parla di “una possibile alterazione della navigazione” della Moby Prince. I consulenti della commissione hanno individuato ben 19 diverse coordinate, punti dichiarati o rilevati prima o subito dopo la collisione”. Le nuove indagini della Marina militare portano almeno qui alla verità. “La suddetta nave era in zona interdetta alla navigazione e in divieto di ancoraggio”. Era dove non doveva essere, con un carico sconosciuto. Ma da dove arrivava? Snam ha sempre sostenuto che giunse direttamente dall’Egitto dopo 5 giorni di viaggio. Il sistema di controllo della Lloyd List Intelligence, al quale la commissione ha avuto accesso, racconta invece di soste mai dichiarate a Fiumicino e Genova, prima di Livorno. “La dichiarazione di provenienza fornita da Snam è in contrasto con i dati ufficiali”. Un falso. “La commissione ritiene che il comportamento di Snam-Eni sia connotato di forte opacità”.Tutti avevano qualcosa da nascondere, dopo quella notte.
La Capitaneria di porto “non ha valutato la gravità della situazione”, anche per “incapacità”. Non è un dato da nulla, davanti a 140 vittime, molte delle quali erano ancora in vita dopo la collisione. Agip Abruzzo e Moby Prince avevano i loro segreti, e le loro compagnie un accordo segreto. Quindi più nebbia per tutti. Per coprire i morti, e soprattutto i vivi.