di Federica Cabras
Manuela Murgia, villagrandese classe 1990, insegna in Cina. Ma facciamo un passo indietro. Conoscere a fondo le lingue e, di conseguenza, le culture diverse è da sempre stato il suo sogno, infatti studia, all’Università Cà Foscari (Venezia), inglese e cinese, indirizzo economico.
Fin dalle superiori, d’altronde, è forte in lei l’idea di voler affinare la conoscenza dell’inglese – per specializzarsi in traduzione, racconta –; poi, nasce anche l’amore per il cinese. Venezia le permette di dedicarsi alle sue due lingue preferite. Il periodo universitario le dà anche la giusta spinta per viaggiare, accedendo in lei una scintilla:Erasmus in Inghilterra, Overseas in Australia e periodo di studio in Cina.
Adesso è più semplice – racconta la giovane villagrandese – faccio la valigia e parto. Ma rivela che “un tempo non era così”. La prima volta che decide di partire per un periodo medio-lungo è in terza superiore. “Avevo assistito a una presentazione del programma Intercultura e avevo così deciso di fare un anno in scambio negli Stati Uniti”. C’è molta agitazione, quando compila la domanda, però sente che è necessario, che è un salto che bisogna fare.
«Ciò che mi ha spinto a presentare domanda era la voglia di esplorare nuovi luoghi e conoscere nuove culture, creare nuove amicizie ed espandere un po’ quello che poteva essere il mio mondo. Inoltre, mi piaceva molto l’inglese, e sapevo che per impararlo davvero avrei avuto bisogno di andare in un paese anglofono». Quell’anno tuttavia non viene selezionata. Per un po’ deve accantonare l’idea di partire, essere un po’ più paziente.
Arriva quindi l’ultimo anno delle superiori. Parte – grazie a una borsa di studio vinta per la Cina– con Intercultura. Il sogno di affinare l’inglese in un Paese anglofono, per ora, deve rimanere in un angolino. «Ci ho dovuto pensare qualche giorno, anche perché si trattava di un posto completamente diverso da quello in cui vivevo e di cui non sapevo molto” dice, però “alla fine mi sono buttata, sono partita e non mi sono mai pentita della scelta fatta».
Un mese. Questo è il tempo che trascorre in Cina. Vive con una famiglia cinese e frequenta lezioni di lingua e cultura cinese. I primissimi giorni, spiega Manuela, sono stati uno shock positivo. È nervosa – un’agitazione che però definisce positiva – per l’incontro con la famiglia, sì, ma anche per il fatto che la Cina sia ancora un posto sconosciuto, per lei.
«Perfino una cosa semplice come il mangiare era stravolta: in Cina non si usano forchetta e coltello, ma bacchette di legno o metallo con cui devi cercare di afferrare le cose da mangiare; le pietanze si dividono fra i presenti sul tavolo, l’unica cosa personale che si può avere è una ciotola di riso bianco in cui puoi mettere dentro quello che trovi a tavola; in Cina, inoltre, non si beve acqua fredda o a temperatura ambiente, ma acqua calda o tè».
Comunque, questo viaggio cambia le carte in tavola. Dopo la magistrale, parte alla volta di quel luogo esotico e così diverso da ciò che conosce, un luogo del quale si è innamorata. È il secondo anno consecutivo, infatti, che Manuela lavora in Cina. «La città dove mi trovo è nel centro della Cina, si scrive Chongqing ma si pronuncerebbe Cioncin». Negli ultimi anni, questa città si è espansa tanto e si trovano tutte le comodità delle grandi città – ci dice – ma rimane ancora economica. Le difficoltà ci sono, ci sono eccome, a cominciare dal lavoro.
«Insegno inglese in una scuola elementare e italiano a studenti cinesi che andranno a fare l’università in Italia». Una delle qualità necessarie a fare questo tipo di lavoro è la pazienza perché «le classi sono molto numerose, 50-70 studenti sono la norma, e anche la scuola è molto più grande delle nostre». Certo è che «gli studenti cinesi sono comunque molto inquadrati, studiano tantissimo e hanno pochissimo tempo libero».
Prosegue dandoci un quadro della scuola in Cina: «Alle scuole superiori uno studente cinese dorme nel dormitorio della scuola, alle 7 deve essere in classe e ci resta fino alle 22. Nonostante le lezioni siano dalle 8 alle 17, gli studenti restano in classe anche per fare i compiti e studiare».
Abituarsi alla cucina, poi, è difficile. «Il posto in cui mi trovo è famoso per la cucina piccante, un tipo di piccante che causa l’intorpidimento della lingua, più piccante è più buono è. Il piatto locale più rinomato è l’hotpot: consiste in una pentola che bolle al centro della tavola arricchita con una quantità infinita di peperoncini rossi e olio piccante. In questa pentola si buttano gli ingredienti crudi precedentemente ordinati, si aspetta che cuociano per poi ripescarli con le bacchette. Penso che sia uno spettacolo divertente per i cinesi guardare come gli stranieri cercano di ripescare le cose oleose da dentro l’hotpot e vederli tossire, arrossire e sudare data la quantità di piccante».
Adattarsi a certe cose, per chi parte dallaSardegna, non è certo una passeggiata. In particolare, il clima non le piace, e nemmeno “il problema della sovrappopolazione. Andare a lavoro durante le ore di punta significa trovarmi schiacciata dentro un vagone dellametropolitana, cercando di trovare una posizione vagamente comoda in mezzo a una massa di persone”.
È arduo, certo, ma anche interessante. «Per me entrare in un supermercato cinese voleva dire passare ore in un’esterrefatta contemplazione, ma anche in una attenta esplorazione per ricercare le cose di uso comune. Ricordo ancora di aver acquistato per sbaglio dello yogurt al posto del latte, e aver poi scoperto che questo era venduto in bustine da mozzarella. Un’altra volta ho comprato il bagnoschiuma al posto dello shampoo, una volta invece ho usato un prodotto per i capelli sul viso» continua la giovane villagrandese «Si trova anche una varietà di frutta di cui non sapevo nemmeno l’esistenza, frutti tropicali, colorati, strani, verdure giganti o inesistenti da noi. Non si finisce mai di imparare, ancora oggi spesso trovo prodotti che non sapevo esistessero e non mi sognerei mai di conoscere o di provare tutte le cose che vendono nei supermercati cinesi».
Comunque, si trova molto bene con la gente del posto. Sono ospitali, ci dice Manuela, e gentili. «In genere le persone sono molto interessate a sapere cosa fa uno straniero in Cina, e se il cinese lo permette possono fare molte domande».
Le domande più frequenti? Be’, se le piace l’hotpot o se riesce a mangiare piccante. Alla sua risposta affermativa, c’è sempre un po’ di stupore. «È molto comune anche sentirsi domandare cose abbastanza personali o commenti sulle differenze fisiche, per esempio completi sconosciuti che ti chiedono quanto guadagni e se sei sposato e hai figli, o sentirsi dire di avere un naso alto e una pelle bianca».
La gente è curiosa, chiarisce la villagrandese. L’unico scoglio, spesso, è la lingua; talvolta gli abitanti del posto non intavolano la conversazione proprio per la paura che l’altra persona non possa capire ciò che stanno chiedendo. «Discorso a parte per i bambini – aggiunge – che vengono spinti dai genitori a parlare inglese. Il cinese è un ostacolo da non sottovalutare. L’inglese potrebbe essere un’alternativa ma qui purtroppo pochissime persone hanno un buon livello d’inglese, e sono per lo più giovani. I più anziani spesso parlano solo dialetto locale, che è molto diverso dal cinese standard».
Malgrado qualche piccola difficoltà, si destreggia egregiamente nella vita quotidiana usando il cinese.La difformità tra Sardegna e Cina è molto grande. «Le città sono enormi, Chongqing conta 8 milioni di abitanti, ci sono grattacieli e palazzi altissimi, regna la modernità. In Cina si trovano anche cittadine più piccole, ma sono comunque enormi rispetto ai paesi sardi». Si possono ammirare posti bellissimi anche lì. Della Sardegna le manca il sole e l’opportunità di raggiungere ilmare in breve tempo. La limpidezza del cielo, per esempio: è una cosa che diamo per scontata, noi sardi. Lei – ci dice – quando torna, rimane sempre un po’ colpita.
«Purtroppo qui il cielo è spesso coperto e sul grigio/biancastro, anche nelle giornate limpide il cielo non è particolarmente azzurro. Piove anche molto più spesso, e per raggiungere il mare dovrei fare più di 10 ore di treno». La mancanza della famiglia poi è forte, e il fuso orario rende i contatti ancor meno facili. «Ho comunque il supporto di tutti i miei familiari e sono serena perché so che quando torno a casa sarò sempre accolta a braccia aperte».
Vive con una collega dell’università, si trovano bene. Hanno anche un gatto che aspetta, dietro la porta, che tornino da lavoro. «Quando abbiamo tempo libero ci piace esplorare la città, visitare qualche parco, andare in palestra e al cinema».
Grandi sono i progetti per il futuro. «Attualmente studio discipline aeree in una scuola di danza, ma più avanti mi piacerebbe imparare qualche arte marziale cinese e studiare calligrafia. In futuro, inoltre, mi piacerebbe viaggiare in altri paesi dell’Asia, ma anche esplorare la Cina rurale con uno zaino in spalla».
In Cina c’è sempre «la possibilità di poter fare quello che mi piace, rispetto alla Sardegna ci sono molte più opportunità, in questo senso. Diciamo che non ci si annoia mai e c’è sempre qualcosa da fare. Mi piace anche come qui sia sempre tutto aperto e disponibile, dagli enormi centri commerciali ai negozietti, dai ristoranti ai baracchini tutto è aperto con orario continuato e tutti i giorni».
Il suo consiglio per chi decide di partire: «Nonostante si possano avere mille dubbi prima della partenza, penso sempre che a un certo punto ci si debba buttare. Non bisogna assolutamente avere paura di rimanere delusi, o di incontrare troppe difficoltà. La voglia di partire e mettersi in gioco e la fiducia in se stessi sono la forza che ti sostiene nei momenti di dubbio e che t’aiuta a superare momenti di difficoltà. Che sia positiva o negativa è in ogni caso un’esperienza che arricchisce culturalmente, fa crescere e aprire gli occhi sul mondo, e insegna qualcosa che potrà aiutarti anche per le esperienze future. A chi vuole partire, infine, consiglierei anche di buttarsi verso quelle mete un po’ meno gettonate, come la Cina, per esempio. Con un po’ di spirito d’adattamento e d’avventura non sarà difficile adattarsi e arricchirsi di esperienze di vita uniche che questi paesi possono offrire».