di Luigi Barnaba Frigoli
C’è anche una giovane biologa sarda tra le sei ricercatrici che si sono aggiudicate l’edizione 2017 del premio L’Oreal-Unesco, prestigioso riconoscimento tributato ogni anno alle migliori ricercatrici italiane nel campo delle cosiddette “scienze della vita”. Si tratta di Domenica Farci, 27 anni, originaria di Rio San Girolamo, Capoterra. Ora è a Bonn, in Germania, dove sta terminando un dottorato dopo la laurea magistrale all’Università di Cagliari.
Il premio le è stato tributato per i suoi studi sui batteri e le radiazioni ultraviolette. Di cosa si tratta? “Abbiamo scoperto che una proteina contenuta nei batteri è in grado di creare una difesa dai raggi solari. Questo apre a importanti possibilità. Tale proteina potrebbe essere applicata nella produzione di creme solari e altri prodotti protettivi, fornendo un’arma in più a chi soffre di problemi dermatologici, soprattutto in un periodo come questo, in cui assistiamo a un significativo aumento dei casi di tumore alla pelle. Ma i risultati delle ricerche potranno anche essere applicati ad altri campi, dalla produzione di filtri e lenti agli schermi per l’industria aerospaziale”.
Si parla molto di fuga di cervelli e di scarsi finanziamenti alle università e ai laboratori. Dal suo punto di vista com’è lo stato di salute della ricerca italiana rispetto al resto d’Europa? “I ricercatori italiani non hanno nulla di meno, anzi qualcosa in più, dei colleghi europei. Noi italiani abbiamo maggiore genio creativo rispetto, ad esempio, ai tedeschi. Quindi possiamo andare a testa alta. Per quanto riguarda la questione dei fondi posso dire che non è detto che una ricerca di qualità debba necessariamente costare milioni. In Italia si può fare ricerca anche con i mezzi a disposizione. Quello che non deve mai mancare è la passione e la creatività. Più che maggiori fondi, in Italia servirebbero maggiori possibilità di accedere ai fondi, attraverso bandi mirati”.
Un altro tema di polemiche sono le minori possibilità delle donne di farsi strada ai vertici. Anche nella ricerca è così? “Non vedo un gap in termini di stipendio, ma è un fatto che per le posizioni più importanti anche nel nostro campo si guarda al mondo femminile con sospetto. Della serie: sei donna, sei giovane, potresti andare in maternità e via dicendo. Ad ogni modo, va meglio che altrove. Inoltre, nella comunità scientifica noi donne siamo poco rappresentate, ma molto ben rappresentate”.
Come spenderà i 20mila euro della borsa di studio? “Come ho detto prima, non servono milioni per fare buona ricerca. 20mila euro sono una cifra che può fare la differenza. La borsa servirà a pagarmi lo stipendio, a comprare materiali e strumentazioni particolari in aggiunta a quelle che già abbiamo a Cagliari, al laboratorio di Fisiologia Vegetale e Fotobiologia diretto dal dottor Dario Piano, che mi ha accolta ed allevata alla ricerca”.
Che obiettivo si è posta? “Quello di riuscire ad arrivare a scoperte che possano essere ‘esportate’ alle aziende. Non possiamo più fare ricerca solo a livello teorico, come gli accademici greci. Dobbiamo lavorare affinché i nostri studi possano trovare applicazioni pratiche e diffuse, a beneficio della vita e del progresso dell’umanità”.
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