VENTICINQUE ANNI SENZA GIUSTIZIA: IL 10 APRILE 1991 A LIVORNO, LA NOTTE DEL MOBY PRINCE


di Alessandro Zorco

E’ la notte del 10 aprile 1991. Il traghetto Moby Prince sperona la petroliera Agip Abruzzo, ancorata a due miglia dal porto di Livorno. Dopo la collisione divampa un enorme incendio che avvolge completamente il traghetto che, tra equipaggio e passeggeri, trasporta 141 persone. I soccorritori si dirigono immediatamente verso la petroliera Agip Abruzzo e traggono in salvo tutti i 38 membri dell’equipaggio, ma incredibilmente trascurano il Moby Prince. Anche quando dopo un’ora il traghetto viene rintracciato nessuno pensa a salvare l’equipaggio e i passeggeri che muoiono dopo ore di agonia: solo uno di loro si salverà.

Ancora oggi, dopo venticinque anni, la più grande tragedia della Marina mercantile italiana dal dopoguerra ai giorni nostri è immersa nella fitta nebbia delle omissioni e dei depistaggi. Sul Moby Prince non esiste una verità, se non quella processuale, piena di lacune, dubbi e incongruenze. Le uniche cose certe in questa vicenda sono il dolore e la rabbia dei familiari delle 140 vittime che, in tutti questi anni, hanno continuato caparbiamente a lottare chiedendo verità e giustizia. Per non dimenticare e per testimoniare #iosono141.

Le 140 vittime del Moby Prince sono state commemorate dalle istituzioni sarde con una cerimonia che si è svolta qualche giorno fa nell’aula consiliare del Comune di Cagliari, alla presenza delle massime cariche cittadine e regionali e dei componenti sardi della Commissione parlamentare d’inchiesta istituita lo scorso dicembre per riaprire il caso Moby Prince. Ospiti d’onore, ovviamente i familiari delle vittime riuniti nell’Associazione 10 aprile – Familiari vittime Moby Prince, costituita il 2 marzo del 1995 proprio per far luce su questa incredibile vicenda.

Durante la cerimonia – fortemente voluta dal consigliere comunale Andrea Scano – è stato proiettato in anteprima il documentario inedito “Buonasera, Moby Prince”, una approfondita inchiesta curata dal giornalista del Tgr Sardegna Paolo Mastino.

Siamo arrivati al venticinquesimo anniversario della strage del Moby Prince e ancora non esiste una verità se non quella ufficiale della Procura di Livorno – ha detto Luchino Chessa, medico, figlio di Ugo Chessa (il comandante del Moby Prince rimasto ucciso nel rogo insieme alla moglie Maria Giulia Ghezzani) e rappresentante dell’Associazione 10 aprile – Familiari vittime Moby Prince. “Tutto è stato banalizzato come un semplice incidente causato dalla nebbia, dalla velocità sostenuta del Moby Prince e dalla distrazione e superficialità del comandante del traghetto, Ugo Chessa – ha detto -. Ma noi familiari delle vittime non ci stiamo a questa versione della verità di comodoil dolore che ci ha colpito si è trasformato in rabbia e determinazione nella ricerca della verità”.

Sono molte le incongruità, le lacune e le omissioni della verità processuale basata sulla ricostruzione fatta dalla Procura di Livorno. Dalla incerta posizione della petroliera, che secondo alcuni era ancorata in uno specchio di mare dove non poteva stazionare, alla inadeguatezza dei soccorsi che inspiegabilmente hanno lasciato il Moby Prince per alcune ore in balia delle fiamme. Inoltre la nebbia, considerata la causa principale della collisione, quella notte c’era o non c’era? E perchè, proprio nella notte del 10 aprile 1991, si è registrata una strana presenza di numerose navi militari e militarizzate che transitavano nel Porto di Livorno?

Nonostante ci fossero tanti motivi per non derubricare la tragedia del Moby Prince come un semplice incidente, nel 2010 la magistratura ha però bocciato definitivamente l’istanza dei familiari delle vittime di riaprire l’inchiesta. Ha prevalso la tesi della Procura secondo cui l’incendio sul Moby Prince si sarebbe propagato tanto rapidamente da far morire tutti i passeggeri del traghetto in pochi minuti: una ricostruzione che in pratica esenta da ogni responsabilità i soccorritori. Una tesi che però cozza contro la drammatica testimonianza dell’unico sopravvissuto che, nel documentario inchiesta della Rai, racconta di essere riuscito a scampare alle fiamme restando per ben due ore aggrappato alla ringhiera della nave. O contro le immagini inedite, anch’esse riportate nell’inchiesta tv, di un altro passeggero che cerca disperatamente di fuggire dal Moby Prince.

Eppure oggi dopo tanto buio e tanti silenzi, tra le nebbie di quella notte sembrano iniziare ad intravvedersi alcune immagini e a udirsi alcuni suoni quasi impercettibili, come quel may day quasi sussurrato quella notte (probabilmente per un gusto tecnico dei trasmettitori) dal marconista, quando il Moby Prince era già avvolto dalle fiamme.

Lo scorso dicembre, dopo quasi 25 anni – il Parlamento italiano ha creato una Commissione di inchiesta (presieduta dal senatore sardo Silvio Lai) che ha riaperto l’indagine e che si avvarrà della consulenza dei corpi speciali “terzi” che a suo tempo non avevano partecipato alle indagini: il reparto Marina della Guardia di Finanza (che dovrà ricostruire la collisione tra le due navi) e i Carabinieri del Ris di Parma (che invece dovranno capire cosa è effettivamente successo all’interno della nave). Nel frattempo, ha spiegato Lai, la Commissione sta acquisendo atti e testimonianze di tante persone che oggi sentono il bisogno di raccontare la loro parte di verità. Ed ora con i suoi straordinari poteri inquirenti, l’organismo speciale potrebbe davvero scrivere un capitolo nuovo in questa vicenda: nel nostro ordinamento giuridico infatti il reato di strage non si prescrive mai.

Chiederemo al Governo – ha annunciato il senatore Lai – di esercitare per la vicenda del Moby Prince tutti i poteri che sta mettendo in campo per conoscere la verità su Giulio Regeni, il ricercatore ucciso in Egitto“. E un risvolto pratico di questa volontà istituzionale di fare finalmente luce sulla vicenda sarebbe quello di dar corso alla petizione promossa due anni fa dai familiari delle vittime Moby Prince perchè il Governo italiano conceda l’accesso agli archivi coperti dal segreto di Stato.

La Commissione parlamentare d’inchiesta rimane per noi l’ultima speranza per avere verità e giustizia – ha concluso Luchino Chessa ringraziando le istituzioni per la vicinanza – ma sia chiaro, in ogni caso non ci fermeremo mai. Se non saremo noi saranno i nostri figli e i nostri nipoti. Dare giustizia alla strage del Moby Prince è un atto di democrazia in un Paese che continua a celare molte vicende che non hanno ancora una spiegazione”.

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2 commenti

  1. Che orrore , io ho visto quella nave nel porto di Livorno dopo l’incendio !!!

  2. Povera gente ! Una morte tremenda

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