di Stefania Lapenna
Alberto Loche, 30 anni, nato a Cagliari, ha sempre avuto una forte passione per la scienza. Laureato in biologia molecolare all’Università di Bologna con il massimo dei voti, si è poi trasferito negli Stati Uniti, dove ha svolto un’esperienza lavorativa come Visiting Scientist presso l’Oregon National Primate Reserach Center di Portland. Attualmente vive a Basilea, in Svizzera, dove ha conseguito il Dottorato di Ricerca lavorando presso il Dipartimento di Neurobiologia del prestigioso Friedrich Miescher Institute for Biomedical Research.Recentemente è stato l’unico italiano, tra i 70 neolaureati e laureandi in materie scientifiche ed economiche, ad essere ammesso al Novartis International Leadership BioCamp 2015, il workshop farmaceutico annuale della company leader mondiale nella ricerca e sviluppo di nuovi farmaci. E’ stato anche selezionato per partecipare al Gap Summit 2016, che si terrà tra breve all’Università di Cambridge, UK, un evento teso a promuovere lo scambio intergenerazionale di idee tra l’establishment biotecnologico e i “leaders” di domani nel settore.
Hai capito subito che la tua strada non era in Italia? Durante i miei studi, prima a Cagliari e poi a Bologna, ho capito che in un mondo dove non esistono più confini, soprattutto nella scienza, l’unico modo di realizzare la mia crescita personale e professionale era viaggiare alla ricerca di quelle sfide e quelle opportunità che soltanto in un palcoscenico globale si possono trovare.
Di cosa ti occupi nelle tue ricerche scientifiche? Attualmente sto studiando le malattie genetiche neurologiche rare, cercando di comprenderne i meccanismi. Sono sempre stato affascinato dalla ricerca di base, volta alla comprensione dei fenomeni biologici, ed ora la possibilità di cercare delle applicazioni che rappresentino una soluzione per molte condizioni patologiche sta diventando la mia passione. La cosa che più amo della mia professione sono le possibilità che vanno delineandosi quando l’apertura mentale necessaria al lavoro di scienziato si combina con un po’ di coraggio e di fortuna.
Com’è la vita di un ricercatore all’estero e, nel tuo caso, in Svizzera? Il duro lavoro si mescola ad esperienze molto diverse a seconda dei posti che si scelgono come proprie mete. In Svizzera sono stato accolto da una comunità internazionale fantastica. La grande qualità delle tante persone che ho incontrato e con cui ho avuto occasione di lavorare è stata fondamentale per la mia crescita professionale. La vicinanza all’Italia mi ha poi consentito di svolgere finora una vita in cui non ho dovuto completamente rinunciare alla famiglia, agli affetti e alla Sardegna.
Qual è stata finora la tua più grande soddisfazione sia a livello lavorativo che personale? Devo dire che forse la cosa che mi rende più felice è l’essere riuscito ad inserirmi e integrarmi in un ambiente intellettualmente molto ricco e stimolante, in cui non avrei immaginato di poter avere un posto.
Credi che siano stati fatti dei passi avanti in Italia nel campo della ricerca scientifica? Certamente l’attenzione verso il valore sociale ed economico della ricerca scientifica sta cambiando. Ho come l’impressione che si stia cercando e si voglia fare di più e in Italia le eccellenze scientifiche non mancano di certo. Tuttavia gli investimenti pubblici e privati nel nostro Paese non sono ancora in grado di sostenere un settore scientifico in grado di competere con molte altre realtà, ma sono molto ottimista che vi si arriverà.
Ti consideri un cervello in fuga? Non penso che questo sia un termine adatto al nostro lavoro. Non esiste da nessuna parte un posto dove poter nascere e svilupparsi professionalmente senza mai conoscere nuove realtà. Nella scienza, la mobilità è fondamentale. Nella maggior parte dei casi, indipendentemente da quanto prestigiosa sia l’università in cui si inizia a studiare, al ricercatore è richiesto di spostarsi e contribuire a ricerche diverse in posti diversi per affermare la propria indipendenza intellettuale. Io personalmente ho lasciato l’Italia con questo spirito, e non perché scappavo da una realtà scomoda. Quello che mi preoccupa non sono tanto i ragazzi brillanti che lasciano l’Italia, ma la mancanza di attrazione per i “cervelli” di altre nazionalità in molte nostre università. Penso che il vero obiettivo nel nostro Paese debba diventare la creazione di un polo attrattivo per lo scienziato globale, e non per l’italiano che vuole ritornare.
Obiettivi futuri? Il vero obiettivo è poter contribuire con qualcosa di grande allo sviluppo equilibrato della nostra società globale, con la ricerca e molto oltre. Questo credo sia quello che più conta al giorno d’oggi.
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