di Stefania Vatieri
C’è anche un po’ di “nuoresità” all’Esposizione universale 2015. Il padiglione Spagna di Expo Milano porta la firma dell’architetto barbaricino Fabrizio Ruiu. Classe 1971, santu predinu doc con alle spalle un curriculum da far invidia, è lui il technical supervisor (tecnico supervisore) del mega cantiere pabellón El lenguage del sabor, il padiglione Spagna intitolato “Il linguaggio del sapore”, ispirato a una serra a doppia navata dove la tradizione incontra l’innovazione. È l’inizio del 2014 quando Fabrizio insieme a sua moglie Francesca, architetto e docente al Politecnico di Milano, fondano lo studio B2fr Architetti, di lì a poco, un po’ per caso, un po’ per gioco Fabrizio inizia ad operare come local architect per lo studio B720 di Barcellona guidato da Fermín Vázquez, che nel frattempo vince il concorso di progettazione per la realizzazione del padiglione spagnolo a Expo 2015. «Inizialmente si tratta di verificare il rispetto delle prescrizioni normative vigenti in Italia nel progetto spagnolo – racconta l’architetto nuorese –. Ma con il procedere delle attività mi trovo immerso nella complessa e articolata realtà del mondo Expo, fatto di direttive, linee guida, commissioni di vigilanza e consulenti tecnici». E tra carte, disegni, baracche di cantiere, pioggia e una buona dose di freddo, parte la costruzione dell’edificio che si sviluppa su un lotto di 2.533 metri quadri. «Oggi guardo con orgoglio e compiacimento il padiglione, che ogni giorno è gremito di visitatori entusiasti di visitare il percorso e espositivo e di mangiare le “tapas” – racconta l’architetto nuorese –. Questa sensazione è ancora più intensa se ripenso ai mesi passati al freddo o in una minuscola baracca di cantiere per verificare il corretto avanzamento dei lavori in tempi strettissimi, parlo di una manciata di mesi, attraverso un confronto quotidiano dove “l’itagnolo” era la lingua più parlata». Una vita scandita da soddisfazioni, tenacia e duro lavoro dove trova posto la sua amata terra, indissolubilmente parte del suo essere e della sua formazione. «Ogni volta che sbarco in Sardegna e scendo dalla scaletta dell’aereo, mi chiedo se solo noi emigrati siamo capaci di percepire quel profumo, misto di salsedine e macchia mediterranea, che fa tornare alla mente gli anni in cui andare in “continente” voleva dire un viaggio che contemplava sempre un ritorno – racconta –. A tanti anni dalla mia partenza tengo sempre vivo il legame con la mia terra e con il suo mare unico, soggiornando per qualche giorno con la mia famiglia a Cala Gonone, per sorprendermi ogni volta di quanto mi renda felice rivedermi nella mia stupenda figlia, Sara, che protesta perché non vuole uscire dall’acqua mentre fa il bagno con i nonni Franco e Mariella, che sono la sua Sardegna».
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