Il 25 Gennaio scorso, in via Reiss Romoli 45, ha avuto luogo “Incontri d’autore”, manifestazione culturale organizzata e realizzata dall’Associazione “Nosu Impari” di Torino.
Luisa Pisano, Marcello Pisano e Rebecca Melis hanno presentato i due ultimi libri di Albino Agus: “Il tralcio staccato” e “I racconti del crocchio”, alcuni brani dei quali sono stati letti da Rebecca Melis.
Il pubblico è stato subito coinvolto e molti si sono emozionati ricordando, attraverso la parola dello scrittore e dei conduttori, momenti di esperienze trascorse. Il commento di alcuni passi salienti di entrambe le opere, infatti, ha dato modo di rievocare tradizioni, stili di vita, chiaroscuri e interrogativi di una terra sempre viva nel cuore dei figli lontani, perché bella e ben radicata nella sua storia e nella sua identità.
“Io,” – dice lo scrittore – “come chi va via, mi sono innamorato della Sardegna, quando ero fuori dalla Sardegna”; “Chi è ancora in Sardegna e va a lavorare nei campi con la zappa che sprigiona scintille sulla pietra, vede il mare come il muro di una prigione. La nave che passa è la speranza di un’occasione”, ma dopo la partenza si riconosce la bellezza della propria terra, dove le nuove abitudini acquisite impediscono di ritornare a vivere.
Ricordando alcuni degli episodi della sua vita, svoltisi a Villaputzu ed esposti nell’autobiografia “Il tralcio staccato”, Agus ha lasciato spazio a riflessioni e dibattiti su problematiche sempre attuali:
– La condizione della donna “serva”, descritta nell’infanzia tormentata di una bambina rimasta orfana a undici anni, diventata di colpo la mamma dei fratelli e responsabile dell’organizzazione della casa; sempre attenta a non permettersi un attimo di distrazione e di riposo, per non incorrere nelle ire del padre. Un padre, capace di portare via, ad insaputa della figlia, il gruzzoletto di soldi che lei, scegliendo di lavorare in casa d’altri, faticosamente aveva potuto mettere da parte per la “dote”. Il “Padre padrone” di Gavino Ledda, ancora presente, purtroppo, in molte famiglie, e non solo sarde – ha ricordato qualcuno del pubblico.
– Il bambino del romanzo (alias Albino), fortemente desideroso di qualche manifestazione d’affetto da parte della mamma, esacerbata dalla durezza della vita e completamente assorbita dai lavori quotidiani, come molti genitori, trascinati lontano dai figli dai ritmi e dalle esigenze della società “progredita”.
– L’educazione spartana e inflessibile impartita ai bambini, confrontata con il permissivismo esagerato che oggi talora si riscontra. Questo non è sempre frutto di scelte pedagogiche, ma, molte volte, di necessità contingenti, legate alle problematiche degli adulti.
– Il perdono. “Nel perdono c’è una pace interiore che non si può neanche descrivere … una ricchezza interna che non si può spiegare … non è facile”, dice Agus. Il rancore che tormenta l’animo del giovane figlio, invano desideroso di segni tangibili d’affetto, si tramuta col tempo nel dolce e rasserenante perdono dell’adulto che ha riconosciuto l’amore naturale e profondo nel cuore della madre, plasmata dalla mentalità del paese e dal vissuto doloroso.
Vita rassicurante e appagante quella emersa dalla presentazione de “I racconti del crocchio”. Il pubblico ha avuto modo di apprezzare o di rivivere i momenti di socialità dei “crocchi”, in cui spontaneamente per strada, in piazza, sulla soglia di casa, si riunivano i compaesani. Nei crocchi ci si raccontava di sé, degli altri, dei fatti del paese, ci si lamentava, si rideva e si scherzava, senza conoscere gli spasmi di una società frenetica, caratterizzata da individui soli fra potenti strumenti di comunicazione virtuale e social networks.
“Che fine ha fatto il crocchio?” “Il crocchio è morto!” “E chi l’ha ucciso!” “La televisione!” “La televisione?” “Sì comare, la televisione ha ucciso il crocchio!”
Questo l’incipit del racconto “Il crocchio”.
Altro notevole tema dell’incontro: il dialetto.
“Quando io ero bambino” – dice Agus – “si andava a scuola per imparare l’italiano, come oggi si va a scuola per imparare le lingue”.
Ormai, invece, si tende a non parlare più in dialetto. Per lo scrittore, il dialetto è la carta di identità di un popolo e ha il valore affettivo e identitario proprio della lingua con cui ognuno di noi impara a relazionarsi con l’altro. Perciò, egli scrive I racconti del crocchio in “serrabese”, il suo dialetto caratteristico derivato dall’arabo, avendo l’avvertenza, però, di renderli accessibili a qualsiasi lettore, con il corredo della traduzione a fronte.
A conclusione dell’incontro, interessante e stimolante, Luisa Pisano ha ringraziato Albino Agus. Un pensiero riconoscente è stato rivolto, inoltre, a tutti gli scrittori che hanno il merito di arricchire lo spirito di chi li legge, anche con il racconto di storie personali. In esse, infatti, il lettore ritrova spesso qualche aspetto del proprio vissuto.