di Vito Biolchini
Ieri ho fatto un incubo. Ho immaginato che improvvisamente, tutti assieme, le migliaia e migliaia di volontari che ogni giorno in Sardegna sostengono il servizio sanitario con la loro azione qualificata, smettessero di punto in bianco di operare. Improvvisamente, ad esempio, il sistema di emergenza e urgenza entrerebbe in tilt: niente più ambulanze, niente più 118. E poi ho pensato ai volontari di tante associazioni che nei reparti aiutano i medici ad affrontare al meglio la dura quotidianità, stando vicino ai pazienti e alle loro famiglie. Cosa sarebbe la nostra sanità senza l’associazionismo e senza il volontariato? Poi ho pensato ai Giganti di Mont’e Prama. La decisione dell’associazione Nurnet di mobilitarsi in questo periodo di feste per ovviare alla sconcertante decisione dell’Università di Sassari e della Sovrintendenza di lasciare gli scavi incustoditi, da una parte ha suscitato un sentimento di ammirazione e ringraziamento per i volontari, dall’altra ha fatto emergere ulteriormente le posizioni di chi invece ritiene che nell’ambito dei beni culturali il volontariato sia praticamente dannoso perché deprofessionalizza il settore e impedisce la nascita di nuovi posti di lavoro. Il paradosso è servito: i volontari vanno bene quando salvano le nostre vite a bordo delle ambulanze, assicurando con capillarità un servizio che la sanità pubblica da sola non può garantire, non vanno più bene quando devono custodire i tesori della nostra archeologia. Certo, so bene che sanità e cultura sono due ambiti diversi. Ma questa chiusura del mondo accademico nei confronti di tanti appassionati che sono pronti a difendere il nostro patrimonio monumentale e per farlo sono pronti a sacrificare anche le feste, racconta molto di come da anni ci si occupa a livello istituzionale di tutela del nostro patrimonio. Ridurre l’azione dei volontari di Mont’e Prama ad un semplice atto di testimonianza, ritenendo che non cambi i termini della questione e non sposti una virgola nel ragionamento, significa non capire che senza una alleanza tra istituzioni preposte alla tutela dei monumenti e i cittadini il nostro immenso patrimonio non può essere né salvato né valorizzato. È la stessa impressionante vastità del settore in cui si è chiamati ad intervenire che dovrebbe suggerire questa semplice verità, giacché non ci può essere un dipendente statale a custodire e valorizzare ognuno degli ottomila e passa nuraghi che ci sono in Sardegna (se solo ci vogliamo fermare ai nuraghi, beninteso). Quindi in un paese normale, in una condizione come quella verificatasi nelle settimane scorse, sarebbero state le stesse Università di Sassari e Soprintendenza a chiedere al mondo del volontariato una mano per difendere Mont’e Prama. Invece in ristretti ambiti oltremodo qualificati, l’azione dei volontari suscita diffidenza, se non dileggio e diffamazione. Miopia. In una fase storica dove le sovrintendenze verranno ulteriormente penalizzate da tagli nefasti, l’unico modo per tutelare i nostri beni culturali e monumentali è far crescere il senso civico diffuso, responsabilizzando i cittadini riuniti in tante associazioni sparse nel territorio. Come è avvenuto nella sanità, i volontari vanno formati e poi messi in condizioni di operare. Ed è da questa nuova alleanza che si apriranno spazi economici interessanti per chi vorrà mettere in campo le proprie professionalità. Di cui adesso, in questo deserto, pochi purtroppo sanno che farsene. È questa la grande utopia che quasi vent’anni fa spinse un gruppo di giovani cagliaritani (ed io ero a fra quelli) a far nascere l’iniziativa Monumenti Aperti. Il volontariato è chiamato ad integrare anche nel settore dei beni culturali l’offerta garantita dal pubblico, e questo può essere (se sviluppato con rigore e coerenza) un modello assolutamente originale (“tutto sardo” mi verrebbe da dire) di intervento e di tutela in questo ambito. L’utopia va rilanciata, così come è avvenuto a Mont’e Prama. I medici degli ospedali sardi non si sognerebbero mai di poter fare a meno dei volontari che contribuiscono in maniera determinante a reggere le sorti della sanità nell’isola; perché invece assessori alla cultura, archeologi ed accademici rifiutano questo aiuto? Il dibattito è aperto.