di Claudio Moica
Sardegna: la terra del bel mare, del sole e rinomata per la sua siccità deve fare i conti con una delle più disastrose alluvioni che i suoi abitanti ricordino. Il ciclone Cleopatra ha colpito pesantemente la Sardegna provocando disastri ambientali ma soprattutto morti. Sono sessanta i comuni interessati dai danni di cui: 11 in Gallura, la provincia più devastata, 16 nel Nuorese, 10 nell’Oristanese, 8 nel Cagliaritano, altrettanti nel Medio Campidano e 7 in Ogliastra. Il Sulcis Iglesiente esce indenne dalla tormenta ma solo per pura fortuna o perché non a rischio idrogeologico? Probabilmente perché il destino non aveva preso in considerazione questo lembo di terra ma analizzando attentamente il territorio emerge una situazione altrettanto pericolosa. Dall’analisi del suolo commissionata dalla Provincia di Carbonia Iglesias nel dicembre del 2010 e redatta dalla C.RI.TER.I.A srl, si evidenziano delle criticità importanti nel comune di San Giovanni Suergiu “Buona parte del territorio di san Giovanni Suergiu è a rischio idraulico. Il territorio di San Giovanni Suergiu presenta morfologie tipiche delle piane alluvionali e dei territori costieri pianeggianti..”. La relazione fa riferimento alla cosiddetta “Alluvione di Pasqua del 2009” da cui si evince una pericolosità intrinseca del territorio Suergino dove la zona più a rischio risulterebbe essere la frazione di Palmas proprio a ridosso della diga Monte Pranu. L’invaso fu costruito per razionalizzare l’utilizzo delle acque per fini agricoli ed industriali e come opera di laminazione delle piene. Durante i giorni della pasqua 2009, a seguito di intense precipitazioni, l’invaso a valle della diga di Monte Pranu superò la capacità utile, riversando a valle l’eccedente. La tracimazione provocò allagamenti che comportarono l’intervento dei tecnici della Provincia. A seguito delle situazioni di rischio createsi la Provincia indicò tra le priorità per la prevenzione futura la messa in sicurezza straordinaria del Rio Palmas a partire dal piede della Diga di Monte Pranu. Inoltre specifica la necessità di: “asportazione della vegetazione; risagomatura e messa in sicurezza di masse terrose e/o rocciose poco stabili; recupero di rifiuti; regolarizzazione, sagomatura e profilatura delle aree interessate dalla pulizia; totale salvaguardia di tutte le essenze vegetali; totale salvaguardia di tutti i manufatti presenti”. La stessa diga appare anche nella norma nazionale antisimisca del maggio 2013 dove il Governo la inserisce tra quelle a rischio. Tutta una serie di studi e di segnalazioni ma nulla appare per quanto riguarda la salvaguardia degli abitanti del comune e soprattutto della frazione di Palmas primo avamposto che a essere travolto da un’ipotetica tracimazione della Diga. Il dubbio che nessuno dei tanti ingegneri esistenti tra le file delle amministrazioni, tra cui lo stesso Presidente della Provincia, Tore Cherchi, e il Sindaco di San Giovanni Suergiu, Federico Palmas, sappiano come prevenire l’eventuale circostanza è palese, lo dimostra il fatto che l’80 per cento dei comuni isolani non ha neppure un “programma di protezione civile” e tra questi c’è anche il comune di San Giovanni Suergiu. Nonostante le proposte per sanare il problema siano arrivate nel tavolo del primo cittadino, una delle quali presentata dalla Ditta GST Gestione Servizi Tecnici di Giuseppe Puddu consulente di Protezione Civile già Fondatore, Coordinatore, Responsabile Ufficio Protezione Civile del comune di Portoscuso, dove si specificava l’importanza dell’adozione del piano di prevenzione e emergenza resa obbligatoria dalla Legge n. 100 del 12 luglio 2012 che sarebbe dovuta essere operativa dopo 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento. Dei 23 comuni del Sulcis Iglesiente solo 11 (Calasetta, Carbonia, Fluminimaggiore, Musei, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Piscinas, Sant’Antioco e Villaperuccio) si sono adoperate per attivarlo i restanti temporeggiano in attesa di un evento clamoroso. Il rischio di una tracimazione della Diga quindi rientra tra le priorità di un’amministrazione allora perché non prevenirne l’accadimento o gli eventuali danni? Perché non studiare un consorzio di comuni che distribuisca gli impegni economici e apra un ufficio di Protezione Civile specialmente nelle zone ad alto rischio come quella dei comuni limitrofi alla diga di Monte Pranu (tra l’altro darebbe anche forza lavoro)? Perché non studiare un sistema di ture che nel caso di straripamento convogli la massa d’acqua laddove non ci siano insediamenti abitativi? Perché non adottare un sistema di protezione civile (obbligatorio per legge) in modo da far esercitare periodicamente la popolazione a un situazione di emergenza proprio come avviene a Napoli, qualora si verificasse un’eruttazione violenta del Vesuvio, o nel Giappone, nazione ad alto rischio sismologico? Perché piangere i morti quando si può fare una corretta attività preventiva? Quello che appare logico probabilmente non lo è per chi dovrebbe tutelare l’incolumità dei cittadini troppo impegnati al consenso popolare per assicurarsi un futuro politico dimenticandosi che coloro che hanno perso la vita un futuro non lo hanno più!
Torra? Già hanno spostato il paese 50 anni fa…