RICORDI GRIGI E LA SCOPERTA DI UN MONDO SINCERO: I PENSIERI DI LOREDANA MANCA AL SUO ARRIVO A BUENOS AIRES

nella foto Loredana Manca


di Antonio Mannu – Progetto Migrazioni

Questa pagina, già pubblicata sul quotidiano La Nuova Sardegna, nasce dal progetto: “Migrazioni – In viaggio verso i migranti di Sardegna”, un lavoro collettivo di ricerca sulla migrazione sarda. “Migrazioni” è sostenuto dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Provincia di Sassari, dalla Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi e dalla Visual E di Sassari. Al progetto è dedicato un

sitoweb: www.deisardinelmondo.it

«Il ricordo è grigio». Parla Loredana Manca, critica d’arte e curatrice. Racconta la memoria di un arrivo: Buenos Aires, Argentina. «La nave è grigia. La folla assiepata sulla banchina indossava colori, ma per me, bambina sarda di quattro anni, la gente, il porto, il cielo e l’aria di Buenos Aires: era tutto grigio!». Loredana Manca nasce a Sardara, bassa Marmilla. Nel 1952 attraversa l’Oceano, insieme alla madre, Secondina Casciu, e al fratello Pier Giorgio. Per raggiungere il padre Gigi, che aveva preceduto la famiglia partendo otto mesi prima. «Ricordo il viaggio, la nave – continua Loredana -, mio fratello aveva meno di 2 anni. Mamma soffriva il mal di mare: durante la traversata è stata quasi sempre a letto, immobile. Di quei giorni, sospesi tra mare e cielo, mi son rimasti due o tre ricordi forti. Mia madre e mio fratello buttati sul letto; io, libera da ogni controllo, che correvo dappertutto sulla nave. Una signora gentilissima, non so di quale regione d’Italia; mi prendeva in braccio, mi sollevava in modo che potessi arrivare a prendere l’acqua, che poi portavo a mamma. E ricordo l’arrivo, l’eccitazione a bordo: stiamo arrivando, gridavano tutti, io piccolina non riuscivo a vedere oltre la balaustra della nave. Poi, sotto i miei occhi, il porto di Buenos Aires. Sulla banchina, tra la folla grigia, aspettava mio padre».  Loredana Manca ha mantenuto un legame forte con l’isola natale. «A casa assorbivo lingua e cultura sarda. I miei tra loro parlavano “in limba”, io rispondevo in spagnolo. Ho avuto l’opportunità, fatto non comune per tanti emigrati, di tornare in Sardegna da molto giovane». Ritrovando a Sardara anche amici d’infanzia. Da circa vent’anni Loredana si occupa soprattutto di organizzazione e curatela di mostre di artisti argentini all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Spagna, ma anche in altri paesi europei. Tra questi l’Italia. La possibilità di visitare spesso l’ Europa le consente di tornare in Sardegna più o meno un paio di volte all’anno. Quando possibile cerca sempre di realizzare una tappa sarda delle iniziative che cura. Loredana è madre di tre figli, tutti maschi, nati in Argentina. Con il lavoro una vita piena. «La mia vita americana. Ma mi sento divisa. Ho sempre voglia di andare in Sardegna, è quasi un’ ansia. Quando sono in Sardegna mi manca l’Argentina». L’attrazione per l’isola, la sua storia, la sua cultura «forte e antica», è intensa. «Ma non dimentico, non devo dimenticare, che quello che ho incontrato qui è altrettanto interessante, forte e complesso. Questa Argentina, la sua “vivezza”, questa terra che ci ha accolto a braccia aperte, aperta sempre. La lotta per l’indipendenza, la sua storia controversa, a volte difficile da comprendere, soprattutto per chi non vive qui».  Però alla fine si sente più europea che americana. «Soprattutto “italica” e sarda. Ma vorrei una Sardegna diversa!». Chiedo: «Diversa come?». «La vorrei più sincera e aperta, parlo anche delle persone. C’è sempre troppa diffidenza, pur se determinata da una condizione oggettiva. Un’isola è naturalmente chiusa, serrata da questo mare che la circonda, un limite da attraversare per andare altrove. Credo sarà difficile vedere concretizzarsi il cambiamento che vorrei. La chiusura è stata addirittura una necessità, determinata dal bisogno di difendersi. La propria terra, il proprio spazio, i suoni, i colori, le fonti. È giusto averne memoria, non dimenticare, tenere presente da dove si viene. Ma non si deve, non si può, vivere di ricordi». Però la lingua va custodita e preservata. «Sono assolutamente favorevole all’insegnamento obbligatorio del sardo nelle scuole. Bisogna che almeno nell’isola la nostra lingua sia parlata e tutelata. Per me questo è essenziale. Si può addirittura ragionare di azioni che consentano di preservarla tra le comunità degli emigrati. Io il sardo lo comprendo, riesco a dire qualche frase, qualche parola, ma non mi è agevole parlarlo. Però quando qualcuno lo parla capisco tutto». Si parla d’arte, naturalmente, e della scena sarda: «Molto interessante». Fa i nomi di Biasi, Fois, Stanys Dessì. «Un modo nuovo e moderno, il loro, di rappresentare una Sardegna, quella Sardegna, quasi lontana e misteriosa». Trova intrigante l’attualità, con molti giovani che si impegnano e lavorano bene. Cita «la scuola d’arte a Sassari», forse intende l’Accademia, forse l’Istituto d’Arte, non lo chiariamo. Parla di musei bellissimi «diretti da chi fa bene il suo mestiere e sa rischiare, si “compromette” e guarda avanti, realizzando proposte interessanti». A Loredana piacerebbe lavorare per portare in Argentina le opere di alcuni autori sardi. Poi accenna al progetto Migrazioni, il perché del nostro incontro: «È un lavoro che apprezzo, tra l’altro è una maniera viva per conoscere una parte lontana del mondo, culture diverse. Provando a capire perché siamo qui, o perché non siamo! Alcuni anni fa abbiamo fatto, qui a Mar del Plata, un lavoro simile, perché legato alla costruzione di una memoria. Per me è stato un omaggio a mia madre, che ha fondato in città il Circulo Sardo Grazia Deledda. Ho chiesto a dei ragazzi di intervistare le loro nonne e i nonni, nati in Sardegna. I sardi, come si chiamano in Argentina. Mi sembrava importante raccoglierne le testimonianze, e che a farlo fossero dei giovani».

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