di Valentina Usala
Agostino Trombetta, nato a Foggia il 19 gennaio 1959 da genitori del Gargano. Al collo una medaglia, che riporta la scritta “Est sardu su chi s’intendet sardu”. Nessun ascendente sardo, almeno apparentemente. Sarebbe dovuto nascere in qualche paese della Sardegna, che sente la sua terra, ma evidentemente la cicogna sbagliò rotta. Nessun risentimento contro i luoghi in cui è (per puro caso) nato, dove ha vissuto e vive bene. Ci volle poco tempo, comunque, per rimediare all’errore del volatile, perché nei primi mesi del 1969, tra juventini, milanisti ed interisti, rimase folgorato da un calciatore, per i suoi meravigliosi gol e per il suo gesto: quello di rifiutare una maglia a strisce e poco colorata. Fu così che lui stesso rifilò ad un amico la nuovissima divisa dell’Inter regalatagli dal babbo, e cominciò a vivere con il rosso e il blu nella testa e nel cuore. «Eh! Gigi Riva: che solo dopo, incontrando i tifosi sardi, capii che in realtà si chiamava “Giggirrivva”; la città di Cagliari che divenne per me il luogo dove tutto è possibile, il paradiso dove il piccolo può alzare la voce col potente». Fatto sta che da ben quarantatrè anni non c’è giorno Agostino non pensi alla sua squadra del cuore, e che non soffra e gioisca con lei. «Sono invecchiato ma ho scoperto che intorno a me erano in tanti ad essere stati contagiati dalla mia stessa malattia. Era nato il Cagliari Club San Severo, città del tavoliere delle Puglie, dove mi ero trasferito, ero diventato medico e stavo prendendo la specializzazione in chirurgia generale». Poi tifare il Cagliari ha un altro vantaggio (oltre a quello di sentirsi davvero onesti e puliti): quello di poter essere a stretto contatto con i protagonisti che vestono i tuoi colori. Oggi Agostino è alle prese con la penna e sta scrivendo di Sardegna. Con la penna regalatagli dalla cicogna: «In fondo, essere abituati a soffrire rende an