di Antonio Mannu – Progetto Migrazioni
Questa pagina, già pubblicata sul quotidiano La Nuova Sardegna, nasce dal progetto: “Migrazioni – In viaggio verso i migranti di Sardegna”, un lavoro collettivo di ricerca sulla migrazione sarda. Durante lo sviluppo del progetto sono stati sinora visitati 11 paesi. “Migrazioni” è sostenuto dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Provincia di Sassari, dalla Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi e dalla Visual E di Sassari. Al progetto è dedicato un sito web: www.deisardinelmondo.it
«Sono arrivato in Spagna una prima volta nel’95, con l’Erasmus, quando ero ancora all’Università. Sono rimasto per un anno accademico e Madrid, da subito, mi è piaciuta moltissimo. Era un periodo felice, una sorta di gran finale di ciò che è stata la Movida. Anzi il ’95 è stato definito come l’ultimo anno della Movida madrilegna». Incontriamo Luca Tedde a Madrid, a casa della fotografa Cristina Garcia Rodero. «La Movida fu come un risveglio, un movimento artistico e culturale nato da persone che provenivano dal mondo dell’arte. Fra loro anche personaggi oggi noti, come Almodovar, che per la cronaca ha iniziato come musicista punk. E’ stato un fenomeno che si è distinto per i suoi eccessi, nato però da una volontà forte, da una necessità: recuperare il tempo perduto in quarant’anni di dittatura». Luca Tedde è nato a Sassari nel ’69, da molti anni frequenta la Spagna, Madrid in particolare. Si è laureato a Sassari, in Scienze Politiche, con una tesi sul franchismo. «Bisogna tener conto del fatto che il tempo della dittatura è stato un periodo oscuro, di repressione brutale. Questo è ancora percettibile, dopo tanti anni, se si parla con chi lo ha vissuto. Il franchismo era una sorta di teocrazia e i suoi pilastri erano la Chiesa, le Forze armate e lo Stato. L’ideologia dominante era quella di un cattolicesimo repressivo e reazionario. Non esisteva l’ individuo, non si era nulla se non si apparteneva ad un clan, che poteva essere la famiglia così come la parrocchia». Mentre il mondo, quantomeno occidentale, dopo la tragedia della guerra si orientava verso una maggiore democrazia e maggiori libertà individuali, la Spagna faceva un percorso inverso. La guerra civile aveva lasciato il segno ma con Franco al comando arrivò, dice Luca, una sorta di disfacimento spirituale. «Il franchismo ha distrutto, o meglio ha cercato di distruggere, la voglia di vivere degli spagnoli. Inoltre, fino agli Anni Cinquanta, qui c’erano enormi problemi di indigenza. Sotto Franco questo era un paese cupo e triste. Quando è arrivata la libertà la Spagna è esplosa, la Movida è stata anche questo, una reazione, uno sfogo. Riprendiamoci la vita, la nostra città, l’arte. Riprendiamoci quello che ci hanno tolto. Ed è accaduto con intensità iberica, senza mezze misure».Luca racconta di Malasagna, il quartiere dove la Movida è nata. Nel 1995, a lui, grande appassionato di musica, sembrò il paese dei balocchi, pieno di locali dove si suonava dal vivo, e si suonava la musica che gli piace. «Trovavo fantastico il fatto che si potessero ascoltare, nello stesso locale, i grandi del blues e del soul nero e il punk dei Ramones, o passare dai Clash al flamenco. Che in realtà è anche normale, perché c’è un filo conduttore: è tutta musica che viene dalla gente, da una tradizione orale, che non si impara a scuola o all’accademia». Dopo il periodo dell’Erasmus Luca ha occasione di tornare a Madrid grazie ad una borsa di studio. Entra in contatto con la Fondazion Juan March, dedita in particolare alla promozione artistica ma che, a fine Anni Ottanta, aveva dato vita ad un centro di ricerca in scienze politiche e sociali fondato dal professor Juan Linz, uno studioso del franchismo, della guerra civile e della transizione spagnola alla democrazia. Per la tesi Luca aveva lavorato anche su Linz. Si presenta al centro di ricerca, comincia a lavorare ad un progetto ideato dalla direttrice della biblioteca. Si trattava di realizzare un archivio da una vasta documentazione, raccolta da Linz stesso e dalla moglie, formata da articoli di dieci quotidiani spagnoli che i due avevano sistematicamente ritagliato dai giornali, a partire dalla morte di Franco e fino ai primi Anni ’80. Il materiale era conservato a casa di Linz, vicino a New York, dove lui aveva vissuto dagli Anni Cinquanta. E così Luca viene inviato negli Stati Uniti, per fare una prima stima del materiale in vista della creazione di un archivio pubblico. Al momento del nostro incontro Luca abita ad Alcalà de Henares, nota come luogo natale di Miguel Cervantes e per l’antica Università. Una città di circa 200.000 abitanti, decisamente provinciale rispetto a Madrid. «Per certi aspetti può ricordare Sassari, anche se ha più abitanti. Però Sassari ha i suoi vantaggi: il mare vicino, la campagna, gli spazi aperti. Cose che ora apprezzo e prima non vedevo. Sassari infatti mi ha sempre fatto venir voglia di andar via, una sensazione che sentivo fin dai tempi della scuola. Percepivo distanza tra ciò che sentivo a livello emozionale, la voglia di vivere, la musica, e quello che vivevo a scuola e fuori dalla scuola, all’Azuni o in piazza d’Italia. Che poi piazza d’Italia la rimpiango: è stata una perdita quando, alla fine degli Anni Ottanta, non c’è più stata. Questo l’ho capito quando sono venuto a Madrid. La gente a Sassari aveva l’abitudine di andare e incontrarsi lì, senza bisogno di chiamarsi, di telefonare. La piazza era un luogo di incontro, che ti faceva incontrare la città». Più che con Sassari però Luca sente il legame con la Sardegna. «A volte sento quasi una mancanza fisica dell’isola, della terra. Mi manca il mare, mi manca la Gallura con le sue spiagge e le sue rocce: Rena Majore, Santa Teresa, la Valle dell’Erica. Prima di andare via dalla Sardegna non mi rendevo conto di ciò che avevo. Ho passato intere estati andando poco o niente al mare, senza godere di tanta bellezza. Ora è diverso. Mi piace la Sardegna, ma attualmente mi sto orientando verso un radicamento in Spagna. Anche se mi piacerebbe trovare un lavoro che mi consenta di trascorrere dei periodi nell’isola».