di Sergio Portas
Mi piace andare in tram per la MacMahon, la via milanese che porta il nome di uno dei generali di Napoleone, di quelli fortunati, che degli altri, per bravi che fossero, il grande corso non sapeva che farsene. Tra le due corsie che delimitano le traversine dei tram e le carreggiate delle macchine a cui tocca mettersi in fila tante sono quelle parcheggiate alla loro destra, sono degli splendidi alberi le cui radici sciupano il parallelismo della strada ferrata, per cui le vetture tramviarie sono costrette a percorrerla a passo d’uomo a scanso di incidenti. La superveloce Milano, una volta tanto, si inchina al prevalere della natura e, in barba a ogni ricordo dei futurismi che qui nacquero ai primi del novecento, con le loro pretese di esaltare velocità d’ogni sorta ( persino la guerra era la benvenuta), sceglie di non tagliare questi alberi e di rendere loro omaggio scarrozzando i passeggeri a passo di somaro anche se, a dire la verità, non è che tutti la prendano bene come me. Che preferirei poter fare come a Lisbona dove, nei tram che lemme lemme vanno su per Barrio alto, puoi comprarti agevolmente una dozzina di sardina ( lì le vendono a numero) sporgendoti appena dal finestrino. In attesa che anche i milanesi acquistino questa sana lusitanità , in questa serata piovosa di gennaio, me ne vado nella Mac Mahon alla mostra di Sandro Sanna, l’artista di Macomer espone alla “Cortina” i quadri che assoggetta sotto il titolo di “Universi vibranti”. Confortato dalla lettura di un articolo di Franco Marconaldi, su “Repubblica” del 15 .1.2013, che interroga il filosofo Roger Scruton e titola:”Essere migliori significa essere all’altezza dell’arte”, di cui faccio mio il pensiero che “la bellezza non passa soltanto attraverso i sensi, ma impegna tutto il nostro essere. Rappresenta una sorta di rivelazione di ciò che siamo e di ciò che il mondo è per noi: insomma, è la risorsa più grande di una e propria riconciliazione”. Per il filosofo inglese tutti possiamo giudicare razionalmente, se impariamo ad astrarre dagli interessi e dai desideri individuali. Mi sento più tranquillo nell’immergermi nella contemplazione di un’arte astratta che pure è figlia dell’epoca che mi tocca di vivere. Marco Meneguzzo, che di mestiere è critico d’arte e ha scritto numerosi libri in proposito, nel catalogo della mostra dice che “Sanna si è trovato ad essere artista astratto- perché è indubbio che questa sia la sua prima definizione, quella che ci fornisce immediatamente a chi ne volesse sapere di più senza conoscerlo-al crepuscolo dell’astrazione…quel concetto di dissimulazione della realtà e di costruzione di forme non riferentesi se non a se stesse…è possibile rappresentare l’astrazione? Mi pare che Sanna indaghi proprio questo…dunque non ha paura di “rappresentare”, pur da una posizione astratta. Addirittura di simulare”. Sandro Sanna è del ’50 e quando a quindici anni ha seguito la famiglia a Roma, Macomer non era ancora stata dichiarata città (il decreto legislativo è dell’agosto ’75). Mi dice, e non faccio fatica a crederlo, che fu un salto molto doloroso, in paese avrebbe lasciato i primi amori giovanili e tutte le amicizie che si cementano coi primi giochi, i compagni di scuola e i parenti. Rispondendo a una domanda di Susanne Capolongo che con Stefano Cortina cura questa esposizione, Sanna racconta che “Roma a cavallo degli anni ’60 e ’70 era all’apice della sua offerta culturale, si poteva cogliere di tutto, il tardo pomeriggio in giro per gallerie, la sera ad assistere ai concerti di Berio, Luigi Nono, John Mayall o al teatro ad ascoltare Carmelo Bene, o Carlo Quartucci, al cinema con Antognoni, Fellini, Bertolucci. Di passaggio davanti a S. Luigi dei Francesi potevi infilare il portone e perderti dinnanzi al S. Matteo di Caravaggio, o chiedere scusa al palo preso in pieno mentre osservavi l’avvitamento della lanterna di S. Ivo alla Sapienza. Leggere di straforo riviste d’arte e fumetti alla Feltrinelli del Babuino. Sentire i concerti di Fernando Germani che con veemenza iniettava aria a profusione nelle canne dell’organo della Basilica di S. cecilia in Trastevere, strapazzando placchette e pistoncini, staffe e pulsanti, proiettando il pubblico verso il cielo”. Parlando con la moglie di Sandro Sanna, la signora Maria, pare che codesta temperie culturale sia svanita col ventennio che ci siamo lasciati alle spalle. Da Roma sono sparite una serie di professionalità artigiane che lavoravano espressamente per l’arte, tipo le piccole fonderie a cui si rivolgevano gli scultori e, ancora più grave, non c’è ricambio per quelle eccellenze artigiane che pure erano un vanto della capitale fin da quando le commesse che venivano dalla Chiesa avevano permesso loro di espandersi per millenni. Di origini siciliane, catanesi, la signora Maria esibisce una romanità di parlata d’accento assolutamente irreprensibile, suo marito invece non ha perso del tutto quello sardo, e questa sardità va ancora fieramente esibendo. Come non potrebbe emergere del resto anche nella sua opera artistica in senso lato , se è quella che ha formato il subconscio della sua anima, se le prime forme di realtà scontavano l’ombra che i nuraghi di Macomer gettavano sui prati verdi a nascondere il sole del tramonto? Sandro Sanna mi dice di quadri che ha “visto” improvvisamente mentre in macchina andava verso Bosa: una luce particolare che si faceva strada da un muretto a secco. E quella scala del pozzo di S. Cristina a Paulilatino, quei conci che, visti da dentro ti fanno perdere la dimensione dell’essere e l’orizzonte prospettico dell’uscita. Ora che me ne parla in questi termini queste sensazioni le vado riconoscendo anche nei quadri esposti qui con nomi tipo: Primigenia e Origine 2,e sopratutto Overschoot 2005, scorci di luce radente che si insinuano in forme geometriche nero-argentee autoriflettenti l’un l’altra. Anche il comunicato stampa che su internet sponsorizza l’evento parla di opere che mostrano una purezza di forme primigenie, che sono all’origine dell’esistenza, e, in quanto embrionali, complesse nel loro organizzarsi. Luce e materia, luce e forma, luce quale germoglio di vita, origine. Luoghi dove la sacralità della vita è sovrana. Il curriculum honoris di Sanna è impressionante, inizia nel 1975 dove è presente alla X Quadriennale d’Arte di Roma e solo l’anno scorso al museo Carlo Bilotti di Roma; alla XV Biennale d’Arte Sacra Contemporanea, Isola del Gran Sasso (TE). LVII Mostra Nazionale Premio Città di Termoli. “Dinamismo statico”, mostra personale presso la Galleria Pièce Unique di Beirut, Libano. Ma davvero si può dire che le sue opere hanno fatto il giro del mondo: nel 2004 una sua grande personale è al Museo Nazionale d’Arte della Romania, presso il palazzo reale di Bucarest e nel Museo nazionale d’Arte della Moldova , a Chisinau. E a Seul, in Corea presso la Galleria della Biblioteca Nazionale è proposta un’importante esposizione con opere di grande formato. Nel 2005 le sue opere hanno fatto il giro degli Stati Uniti, da Los Angeles a San Francisco, da Chicago a Washington. Nel 2006 è presente nella mostra “Mito e Velocità” alle Scuderie del Cremlino a Mosca, a “Natura e Metamorfosi” a Shangai e Pechino, a “Lights On” presso la galleria Artiscope di Bruxelles. E poi ancora nella mostra itinerante “Viaggio nell’arte italiana 1950-80”, cento opere della collezione Farnesina, che attraversa Serajevo, Sofia, Budapest, Sibju e Bucarest. Nel 2008 torna in Cina con la mostra “Energie Sottili della Materia” a Shanghai e Beijing. Sue opere sono al MART di Rovereto. Volker Feirebend, come dice il “Corriere della Sera” è un collezionista tedesco che ha messo insieme la più vasta raccolta privata d’arte italiana del XX secolo. Circa milleduecento pezzi acquistati a partire dagli anni ’70, un signore che detesta apparire, ha una moglie italiana, vive fra Milano e Francoforte dove ha dato vita alla fondazione VAF ma in casa non tiene neanche un’opera. E così la sua collezione n
on ha neanche una sede permanente: tutti i quadri sono distribuiti tra una decina di musei tedeschi e il MART di Rovereto. Di lui, dice Sanna:” C’è stata una visita al mio studio. E’ stato un incontro rilevante che mi ha fatto constatare concretamente come una forma illuminata di mecenatismo sia un fattore imprescindibile per la divulgazione e l’affermazione della ricerca di un artista. In queste occasioni si cedono volentieri anche le opere più “significative” da cui per mille ragioni non vorremmo separarci”. Torna spesso in Sardegna Sandro Sanna, la prossima volta che lo incontro lo inviterò a portarsi dietro anche i suoi lavori, che li faccia vedere in Macomer e per tutta l’isola dei nuraghi.