di Piero Mannironi *
Tutto cominciò nel lontano 1956, in un rione periferico di Nuoro, Irillai. Alcuni pastori avevano catturato un grifone e lo avevano portato in città su un carro a buoi. Una piccola folla osservava intimorita, ma anche affascinata quel drago mostruoso, gigantesco e terribile, che li minacciava con soffi rauchi e selvaggi. Domenico Ruiu era allora un bambino ed era lì, tra la gente che guardava quell’uccello che apparteneva al mito e la cui lugubre fama era circondata da antiche leggende. Così lui ricorda quel primo incontro con l’immenso rapace dall’aspetto demoniaco: «Aveva le ali spalancate, una zampa protesa in avanti, mentre l’altra era legata con una grossa corda, gli occhi spiritati, colmi di rabbia e di paura. Era grandissimo». Un incontro che segnerà la vita di quel bambino di Nuoro che diventerà uno dei più grandi fotografi naturalisti europei. Perché quel giorno Domenico Ruiu incontrò il proprio destino. Lui dice di essere passato «dalla curiosità e dallo stupore impaurito alla simpatia incantata, come solo ai bambini può succedere, verso quell’uccellaccio terrifico». E così descrive quel momento magico, i sentimenti e le emozioni che gli si agitavano dentro: «Lo guardavo felice, affascinato, incredulo, confuso». È l’inizio di un’avventura umana straordinaria. Perché la curiosità del bambino verso la natura e soprattutto il mondo misterioso e selvaggio dei rapaci diventerà nell’uomo passione, amore ed emozione. Una scelta esistenziale che ha portato Domenico Ruiu a scoprire e a far scoprire un mondo sfuggente e nascosto fatto di solitudini e di ferocia necessaria, di tenerezza e di sangue, di spazi infiniti e di fulminanti bagliori di crudeltà. In quel mondo Domenico Ruiu non è mai stato un intruso. Non ha mai fatto percepire la propria presenza, ma ha imparato a scivolare silenzioso come un’ombra tra picchi rocciosi, gole profonde, boschi ombrosi e glabre falesie. Questo perché i rapaci non devono percepire presenze estranee, non devono spaventarsi, ma vivere la loro vita e seguire le loro abitudini. Solo così la fotografia può diventare documentazione e può servire a capire compiutamente l’istinto e le abitudini remote dei signori del vento. Ora gli oltre 35 anni di lavoro di Domenico Ruiu sono stati raccolti in uno straordinario libro edito da Publinova Edizioni Negri di Milano in una tiratura limitata: appena 1.250 copie numerate e firmate dall’autore. Un’opera che non è eccessivo definire monumentale e la cui realizzazione è stata possibile anche grazie all’aiuto prezioso della Fondazione Banco di Sardegna. Il fotografo dei rapaci, questo il titolo del libro, fa parte di un progetto ambizioso: una collana, chiamata “Gemme di natura”, di altissima qualità grafica, dedicata ai più grandi fotografi naturalisti europei. E non è un caso che il primo numero sia dedicato proprio a Domenico Ruiu. Quello scelto dall’editore è un formato insolito(35×50. Una formula che fa risaltare la qualità delle immagini (520 fotografie in 350 pagine) e rende più forte la suggestione che quelle immagini potenti sanno creare. Il libro è introdotto da una testimonianza autorevole di Michel Terrasse, presidente della Vulture conservation foundation che dice di condividere con Domenico Ruiu «la stessa passione adolescenziale per gli avvoltoi, lo stesso bisogno viscerale di avvicinarsi ai rapaci, a queste formidabili creature selvagge, la stessa ossessione di non disturbare…». Ma se è vero, come diceva John Steinbeck, che non sono gli uomini che fanno i viaggi, ma sono i viaggi che fanno gli uomini, allora in questo straordinario libro c’è una dimensione umana, intima, profonda, tutta da scoprire. Perché nelle immagini e nelle note che accompagnano le stagioni della ricerca (fatta di faticose arrampicate e di estenuanti attese infinite) affiorano emozioni forti, intense, indelebili. E si capisce così che tra gli orizzonti da raggiungere per Domenico Ruiu c’è anche quello di una rinnovata consapevolezza dello spirito, una dimensione interiore nella quale convivono la dolcezza dello smarrimento e la sorpresa della scoperta. E in quel sentiero nascosto dell’anima ecco affiorare le emozioni che nascono dalla luce radente del tramonto, dal profumo intenso dell’elicriso o della lavanda, dall’odore del muschio umido o dai riflessi lucenti delle trine di ghiaccio tra le foglie. Domenico Ruiu questi stati d’animo li ha già raccontati in libri come Emozioni, Su Monte e Su Puzonarju con le immagini e con le parole. Quasi un’arte poetica. Sì, perché è sicuramente poesia lo scavare nelle sue radici profonde di nuorese “raccontando” l’Ortobene che, come diceva Grazia Deledda, «è uno solo in tutto il mondo: è il nostro cuore, è l’anima nostra, il nostro carattere, tutto ciò che vi è di grande e di piccolo, di dolce e duro e aspro e doloroso in noi». Ma è poesia anche il racconto dello stupore davanti al sorgere della luna in una gelida e magica notte nella taiga finlandese. Ecco, si può forse dire che nei suoi viaggi nell’aspro Supramonte, sulle scogliere basaltiche di Bosa, nel massiccio del Monte Cinto, in Corsica, alla ricerca dello sfuggente Gipeto barbuto, nell’assolata Estremadura spagnola, nel Massiccio centrale francese, nei ghiacci della Finlandia, fino alla remota Alaska, Domenico Ruiu non solo ha scoperto nuove terre inseguendo i suoi amati rapaci. Ma ha soprattutto scoperto anche se stesso. E in questo modo il grande fotografo-naturalista nuorese, che coniuga rigore scientifico e poesia, ha seguito il proprio destino. Quello segnato dal suo primo incontro da bambino col grifone, facendoci scoprire l’esistenza di quel misterioso dialogo che si crea tra la natura e l’anima o, come diceva Neruda, tra il cielo e il cuore.
* Nuova Sardegna