Autorità civili, militari e religiose. Salude e trigu! Rivolgo il mio particolare ringraziamento a tutti gli intervenuti e alle famiglie dei nostri sassarini qui presenti, alla città di Macomer che ci ha ospitato e a tutti coloro che, grazie al contributo volontario, hanno permesso la realizzazione di questo evento. Il mio primo pensiero va ai caduti di ieri, a cui dedichiamo questo giorno del ricordo, e a quelli di oggi, la cui presenza tra di noi sentiamo più forte grazie alla testimonianza che oggi le loro famiglie hanno voluto darci, venendo qui a Macomer.
Celebriamo oggi il 95° anniversario della “Battaglia dei Tre Monti”, importante vittoria delle Armi italiane nel corso del Primo Conflitto Mondiale, che segnò la ripresa operativa e la rinascita morale dell’Esercito dopo le infauste giornate di Caporetto e valse alle Bandiere di Guerra del 151° e 152° Reggimento della Brigata “Sassari” la seconda Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il 28 gennaio 1918, al grido di “Avanti Sardegna!”, l’irresistibile slancio dei fanti sardi del 151° e 152 ° Reggimento strappava al nemico le munitissime posizioni di “Col del Rosso” e “Col d’Echele”, due dei tre monti che, unitamente alla Val Bella, costituivano l’Altopiano di Asiago e le formidabili basi di partenza per l’avanzata austriaca verso la sottostante pianura veneta. E’ dunque la Festa di Corpo e delle Bandiere del 151° e del 152°. Ma è soprattutto la Festa della Brigata tutta, che nel nome, nei colori e nelle tradizioni dei due Reparti storici, da sempre si identifica. La Brigata che il nemico ribattezzò dei “Rote Teufel”, ossia “sos Diaulos Rujos” o semplicemente “Dimonios”, per il colore rosso delle mostrine – che stingendo sotto la pioggia copriva il bavero di un’unica chiazza rossa – e per l’irruenza nel combattimento corpo a corpo dove, accanto alla baionetta, i fanti sardi facevano largo uso del fedele coltello a serramanico: “sa resorza”.
Questi uomini, che nell’immaginario collettivo trasmessoci dalle cronache del nemico di allora potevano sembrare una scatenata e formidabile macchina da guerra, in realtà erano i nostri nonni, “sos Mannos”, uomini semplici e genuini: contadini, pastori, minatori, che proiettati in un contesto diverso da quello dell’Isola nella quale avevano sempre vissuto, trovarono nell’appartenenza regionale l’elemento catalizzatore della loro unione. Ogni loro agire era improntato a sentimenti di coraggio, di onore, di fierezza per la loro terra di origine. E’ nelle terribili ore che precedevano l’assalto che i fanti sardi, inquadrati nella stessa Brigata, accomunati nell’ora del pericolo dalla stessa millenaria storia, lingua e tradizioni, scoprirono l’orgoglio di Popolo unito e coeso.
Ecco perché oggi è anche la giornata del ricordo per la Gente di Sardegna, che con il sacrificio dei suoi 13.602 Caduti diede un largo tributo di sangue alla causa dell’unità nazionale, sogno a lungo perseguito dagli Eroi del Risorgimento. Ringrazio pertanto il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, On. Ugo CAPPELLACCI e le Autorità tutte, che con la loro presenza testimoniano l’indissolubile legame della Sardegna con la sua Brigata. Ma oltre all’eredità di una Italia finalmente unita c’è di più. Ci sono dei lasciti che quei giovani di allora ci hanno donato che vale la pena ricordare. Qualcosa di molto più intimo che solo i sardi capiscono appieno. A noi Sassarini hanno lasciato la professionalità con cui affrontare il nostro lavoro con intelligenza, onestà e pragmatismo. Riporto una frase di Alfredo GRAZIANI, Ten. del 151° Rgt., tratta dal suo libro “Fanterie Sarde all’ombra del Tricolore”. Essa si colloca nel momento in cui la Brigata, salendo sull’Altopiano di Asiago, si imbatte nelle impaurite popolazioni messe in fuga dalla guerra. La frase è la seguente: “Poco più oltre, un gruppo di donne levò in alto i bambini, dicendoci: Salvate le nostre creature! State tranquille – dissi – ormai tra voi e loro ci sono le nostre baionette. E, dalle file, la voce di un ignoto “como che semus nois” (ora ci siamo noi). Alla Sardegna intera, invece, hanno lasciato l’orgoglio dei valori della famiglia e del ruolo supremo della presenza femminile. Emilio Lussu in “Un anno sull’Altipiano”, descrive il suo commiato dalla mamma e dal babbo dopo una breve licenza: lui, accompagnato dal padre, esce di casa dopo aver salutato la madre che era rimasta in casa. La mamma lo aveva salutato calma e coraggiosa. Poi strada facendo, Lussu si accorge di aver dimenticato il frustino, torna in casa e così scrive: ” La porta di casa era ancora aperta. Entrai e gridai: – Mamma, ho dimenticato il frustino. Al centro della sala, accanto ad una sedia rovesciata, la mamma era accasciata sul pavimento, in singhiozzi. Io la raccolsi, l’aiutai a sollevarsi. Ma non si reggeva più da sola, tanto, in pochi istanti, si era disfatta. Tentai di dirle parole di conforto, ma si struggeva in lacrime”. Quella mamma non aveva voluto farsi vedere disperata dal figlio, forte di un sentimento più forte di qualsiasi eroe di guerra. Questa scena mi ricorda un quadro del nostro artista (Raimondo) Picci, che raffigura l’archetipo di quella figura femminile, da oggi esposto qui a Macomer all’area fieristica. Lo sguardo della moglie che tiene tra le braccia il proprio sposo è lo stesso sguardo che immagino nella mamma di Emilio Lussu. E così, care Mamme e mogli dei nostri caduti che oggi siete qui a Macomer: Anna Laura, Daniela, Pierina, Rita, Bruna, Luisella, Greca, Ambra, Federica, Marie Claude, Emilia, Maria, Maria Antonia, io rivedo in voi quello stesso sguardo levato al cielo a chiedere misericordia a Dio per la sofferenza che provate, ma forti a testimoniare “io ci sono”, “mio figlio c’è”, “mio marito c’è”. Ed idealmente, i nostri Caduti, di ogni tempo, luogo e circostanza, sono tutti qui presenti oggi, e a loro ci uniamo, levando alto il nostro grido “FORZA PARIS”.
Fortza Paris
Bellissime parole Cte, onorati di averla Comandante dè sa Brigata Tattaresa .