Tra i fattori decisivi per favorire gli investimenti e incrementare le attività produttive, ai primi posti vi sono il costo dell’energia, l’efficienza delle reti di comunicazione (dati, merci e persone) e l’efficacia delle decisioni della pubblica amministrazione. Quando un territorio soffre anche per uno solo di questi fattori, il rischio di crisi è elevato. Purtroppo l’isola è in sofferenza non solo per questi elementi ma anche per altri. Si salva solo dalla mancanza di infiltrazioni sistematiche della criminalità organizzata. Per il resto, l’elenco delle criticità è infinito. Come quello delle aziende in crisi, che ha provocato nel giro di poco più di un anno un incremento di lavoratori ammessi gli ammortizzatori sociali pari a quasi 30mila persone. Un dato in continua ascesa, perché la direzione è solo quella in uscita. Solo due numeri per illustrare la drammaticità della crisi. Sono circa 100mila persone, un sardo su sedici, coloro che utilizzano le diverse forme di ammortizzatori sociali (cig ordinaria, straordinaria e in deroga, e mobilità) e di queste, a fine anno si presume che quasi ventimila usufruiscano della cig in deroga, quella che si rilascia alle aziende che non hanno i requisiti, perchè piccolissime. Nessun settore, nessun territorio è immune dalla crisi.
Demolizione continua e cerimonia funebre che coinvolge tutti i settori. Neppure uno si salva. Negli ultimi otto anni il nord-ovest della Sardegna ha perso quasi 15mila posti di lavoro. Una situazione drammatica che non comprende solo il triangolo industriale di Sassari, Porto Torres e Alghero ma si estende a un sistema imprenditoriale e produttivo che coinvolge commercio e servizi, trasporti e pubblica amministrazione. Per non parlare dell’artigianato e dei filoni tradizionali – agricoltura e pesca – che sono in agonia da troppo tempo. Nel Petrolchimico, la chimica verde – un progetto ancora tutto da chiarire – non basta per salvare la grave perdita – quasi 4500 posti di lavoro tagliati – determinata con la fermata degli impianti chimici. E le bonifiche per ora restano un miraggio. Sull’energia non si muove niente. Non c’è un piano del Governo nazionale, l’ha detto il ministro dell’Ambiente Clini. E neppure una strategia regionale, così i tedeschi di E.On si possono permettere il lusso di negare un intervento necessario (anche sotto il profilo del miglioramento dell’impatto ambientale) e di affossare un finanziamento di circa 700 milioni di euro per una infrastruttura (il quinto gruppo a Fiume Santo) che ha tutte le autorizzazioni approvate. E.On però annuncia 100 esuberi, taglia nell’indotto dove stanno saltando gli ultimi posti di lavoro e il sistema delle imprese del territorio rischia di essere spazzato via. La realtà dell’indotto è a pezzi. Circa 2500 posti di lavoro ridotti a meno di 800. Una cura dimagrante che ha generato una drammatica guerra tra poveri e ha creato una nuova categoria: quella degli aspiranti lavoratori, da formare e sostenere con un sussidio che non è mai certezza e non può essere futuro. L’edilizia è uno dei comparti sottoposti a drastica cura dimagrante. Settemila buste paga perse negli ultimi tre anni e 800 imprese polverizzate. Quella della Vinyls è solo l’emblema di una beffa che continua. Alimentata dalla farsa del Governo, dai trucchi e dai misteri arabi, trevigiani, di fondazioni svizzere e con bandiera ombra, dall’atteggiamento poco trasparente dell’Eni.
Le industrie della Gallura non hanno ciminiere, ma la crisi ha colpito le aziende e i settori traino dell’economia anche in questa fetta ricca di Sardegna. La locomotiva non cammina più. La sua azienda simbolo, Meridiana fly, continua la sua parabola discendente. Da settembre del 2011 in modo progressivo sono andati in cassa integrazione oltre 800 dipendenti. Nell’edilizia in 3 anni si sono persi oltre 2mila lavoratori, una impresa su tre ha chiuso. I disoccupati in Gallura sono più di 12 mila. La cassa integrazione in deroga è cresciuta in un anno del 64 per cento. Le domande di mobilità in 12 mesi hanno avuto un boom del 120 per cento. Solo nel 2011 in tutta la provincia 76 aziende hanno chiesto la cassa integrazione, per un totale complessivo di 750 lavoratori. In questo calcolo non è compresa Meridiana. Il sughero e il granito, un tempo settori trainanti sono vicini al tracollo, con quasi tutte le aziende che hanno chiesto la cassa integrazione in deroga. La grande crisi del turismo ha colpito un altro settore chiave, la nautica. Oltre 700 imprese che hanno registrato un calo del 30 per cento del fatturato. Inevitabile il taglio dei dipendenti. I cantieri hanno smesso di lavorare, e le imbarcazioni sono in fuga dai porti della Gallura. Molte le imprese che hanno fatto scattare gli ammortizzatori sociali. Ma la spirale della crisi ha trascinato nell’abisso anche i settori legati al turismo. Arrivano le prime richieste di cassa integrazione anche nel settore della grande distribuzione. L’autotrasporto da tempo ha dichiarato lo stato di crisi e la bancarotta è a un passo. Da un calcolo rapido della Cisl in un anno sono finiti in cassa integrazione o mobilità oltre mille lavoratori. Meridiana esclusa.
Nella provincia dove la grande industria non c’è e mai c’è stata la crisi economica ha avuto effetti da lanciafiamme. Ufficialmente la percentuale dei disoccupati è pari al 17%, stando però alle stime della Cisl la percentuale è esattamente il doppio. «Pari al 34% » conferma Antioco Patta, segretario provinciale della Cisl. Il paradosso dell’Oristanese, territorio a fortissima vocazione agricola e che sul lavoro dei campi basa lo zoccolo duro dell’economia, ha una storia decennale. Perché qui l’industria di trasformazione, è quasi del tutto sparita. A chiudere i battenti, per primo, 30 anni fa, fu lo zuccherificio di Oristano, seguito a ruota dalla cremeria e, una decina di anni fa, dalla “Pelati Antonella” e, più recentemente, la centrale del riso e dei surgelati. «Una beffa – commenta Patta – se si considera che qui si coltivano il 70% del pomodoro da industria di tutta la Sardegna e il 95% del riso». In piedi sono la 3A di Arborea e la Cao di Fenosu. «Aziende di tutto rispetto che da sole, movimentano complessivamente circa 220milioni di euro all’anno» spiega Patta. A queste si aggiunge il pastificio Cellino e la Martini Mangimificio che però nel corso degli anni ha visto ridurre il numero di occupati da 130 agli attuali 50. E poi ci sono le realtà in eterna crisi. Come la Sbs, la Società bonifiche sarde, colosso a capitale pubblico. Nell’azienda, un tempo modello della moderna zootecnia, oggi è rimasta una trentina di lavoratori (erano 120), sempre in lotta per ottenere gli stipendi. Non va certo meglio al Consorzio di Bonifica, con oltre 200 dipendenti e 30 miliardi di debiti. «Il guaio è che se il Consorzio ha difficoltà, a rischio c’è l’intera economia locale» Con circa mille addetti ed il 40% del naviglio della Sardegna concentrato a Cabras, la pesca rappresenta un’altra voce importante e in eterna crisi. Ma forse lo specchio della crisi economica dell’Oristanese è rappresentato dalla vicenda dell’aeroporto di Fenosu che dopo neanche un anno di attività ha chiuso i battenti, trascinando 40 dipendenti, oggi ridotti a 26 cassa integrati.
Idea Motore a Pratosard,o la Lorica, Ildocat e Cartonsarda a Ottana. Sono le ferite ancora aperte nell’area industriale di Nuoro. Duecento lavoratori che hanno perso il lavoro e non hanno ancora trovato un futuro. Nello tsumani della mobilità i 77 lavoratori della Idea Motore, una fabbrica che produceva motori per lavatrice, come i 70 lavoratori della Cartonsarda, una fabbrica del famigerato Contratto d’area di Ottana chiusa nel 2008, in cassa integrazione sine die. Senza scordare Ex Enichem, 103 operai chiusa nel 2003 e Ottana Energia, 500. Emblematico e paradossale il caso della Ildocat, laminati in alluminio, che ha chiuso i battenti prima ancora di produrre a regime. L’imprenditore è introvabile. Una quindicina di lavoratori sono senza stipendio e senza alcuna protezione economica. E rischia di finire nel lungo elenco delle aziende scomparse per sempre: Legler, 777 operai, Rosmary di Siniscola, Queen, 200, e Minitow, solo per ricordare i casi più recenti. Più di tremila posti di lavoro finiti nel nulla. Cinquemila in casa integrazione e mobilità. Un terremoto che ha travolto anche la speranza.
L’elenco purtroppo è lunghissimo e copre ogni settore produttivo. Non ci sono solo i giganti Alcoa, 500 operai, e Carbosulcis, 463, a rischiare la fine. Ferma, per rimanere al Sulcis-Iglesiente, da più di tre anni è l’Eurallumina, 400 operai, che alimenta Alcoa, e ormai decotta, con i dipendenti in cig e in corsi di riqualificazione è la Rockwool, 120 persone, che produceva lana di vetro. La sua chiusura è il simbolo della crisi dell’edilizia. Anche i dipendenti della Tecnochem, 24, sono in cig da pochi mesi, non come i tanti lavoratori delle imprese d’appalto del settore metalmeccanico che non hanno neppure accesso agli ammortizzatori sociali. Nel Medio Campidano, la Keller non ha ancora riaperto e i suoi 319 addetti ricevono ancora la cig, che dovrebbe avere una proroga prima della scadenza di fine anno. Chiusa negli ultimi mesi anche la Kiloservice, azienda che realizza infissi di alluminio; 15 in cig, come i lavoratori della fonderia di San Gavino della Portovesme srl, che da quasi quattro anni è ferma. Difficoltà in aumento anche nel Cagliaritano, dove a vertenze appena aperte come la Energ.it, 70 dipendenti, si sommano quelle che da tempo sono in stand-by: l’Unilever, alimentari, oltre 100 addetti; Gecopre, manufatti in cemento, una sessantina in mobilità; non va meglio per altri settori come Sielte, appalti per la telefonia, oltre 200 tra mobilità e cig, e da ultimo, nel cagliaritano, Shardna, che si occupava della mappatura del dna: una decina in cig. Nel centro dell’isola, anche la suinicola di Isili, ha collocato i suoi addetti in cig: trenta persone senza lavoro. Nell’alimentare da segnalare la Nuova Valriso, 60 in cig. e nei servizio il call-center Qistio, che ha lasciato a terra una quarantina di persone.